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Politics | Avvenne domani

Babele all'asilo

Una questione di enorme importanza. Una soluzione molto dubbia.

Ammettiamolo: non ci sono più le mezze stagioni è anche la Suedtiroler Volkspartei non è più quella di una volta.

Se messe una sopra l'altra, le mozioni contenenti buone idee e proposte ancor migliori, bocciate in questi decenni, solo perché presentate dall'opposizione, raggiungerebbero sicuramente il soffitto del Consiglio Provinciale di Bolzano. Non si capisce, quindi, perché sorte diversa debba essere stata riservata all'iniziativa dell'opposizione di destra sudtirolese sulla questione del sovraffollamento di alunni provenienti da famiglie italiane o di immigrati negli asili e nelle scuole dove si insegna la madre lingua tedesca. La mozione, della quale Salto ha riferito qui, qui e qui è stata approvata l'8 novembre scorso, da una larghissima maggioranza composta, per l'appunto, dal partito che l'ha presentata, quello dei Freiheitlichen, dalle altre forze della destra sudtirolese e, compattamente, dai consiglieri SVP.

Non ci sono dunque vie d'uscita. O la questione è stata giudicata di scarso interesse, ed allora la mozione poteva essere tranquillamente affossata, o si è ritenuto che fosse urgente ed importante (come in effetti è) e quindi, a maggior ragione, il partito che governa l'Alto Adige, che occupa tutte, ma proprio tutte le posizioni di potere non poteva e non doveva farsi cogliere impreparato ed accodarsi supinamente alle strategie e alle tattiche altrui.

Sono errori che, a meno di un anno dalle elezioni, possono costar cari.

Questo per quel che attiene al problema delle strategie politiche, che è problema di forma, ma non per questo meno importante. Sul piano della sostanza va subito ripetuto quanto accennato più sopra: la questione è assolutamente importante. Tutto quello che riguarda la scuola, quando ci si muove su un terreno dominato dalla questione della tutela delle minoranze linguistiche, acquista un valore assolutamente preminente su tutti gli altri problemi. Se ci sono classi di scuola materna o della scuola dell'obbligo o delle superiori nelle quali la presenza massiccia di alunni poco avvezzi alla lingua d'insegnamento principale mette a rischio i livelli di apprendimento, la questione va affrontata con tutta la serietà possibile.

Bisogna solo vedere come.

La soluzione che si intravede in trasparenza dietro il contenuto della mozione approvata in consiglio provinciale presenta non pochi problemi. Innanzitutto è bene sgombrare il campo da un equivoco. Il documento, in apparenza, si limita a proporre una semplice rilevazione della presenza di bambini provenienti da famiglie "non tedesche". Che non si tratti di una semplice indagine statistica, come qualcuno ha sostenuto, è  smentito nettamente dalla pubblicazione, nei giorni successivi, da parte delle stesse forze politiche che hanno lanciato una proposta, di tutti i dati riguardanti il fenomeno. Non vi è dubbio, e ci sarebbe da stupirsi del contrario, che chi di dovere ha già nel cassetto una rilevazione statistica completa, alla quale nulla resta da aggiungere.

È chiaro quindi che quel che si vuole ottenere va ben al di là di una semplice analisi numerica della situazione. L'obiettivo, neppure troppo nascosto, e quello di arrivare alla creazione di un percorso educativo, dalla scuola materna alle superiori, al quale vengano ammessi a formare la maggioranza delle classi solo gli alunni dei quali si sia certificata la conoscenza della madrelingua di insegnamento.

E qui cominciano i problemi. Il primo metodo possibile per accertare questa qualità è quello di raccogliere, all'atto dell'iscrizione, come la stessa mozione auspica,  le dichiarazioni della famiglia. Un obbligo che impone di rendere pubblico un dato particolarmente sensibile, molto più gravoso di quello richiesto oggi per partecipare ad un concorso pubblico o chiedere in affitto una casa dell'IPES, dato che in quel caso basta una generica dichiarazione di adesione ad uno dei tre gruppi etnici principali. Anche questa sorta di confessione sulla lingua parlata in famiglia potrebbe comunque non bastare, dato che non sono da escludere dichiarazioni di comodo, fatte solo per poter ottenere l'iscrizione del pargolo alla scuola desiderata. Il procedimento, per produrre gli effetti desiderati, dovrebbe essere quindi completato con una sorta di esame, effettuato, si suppone, dagli insegnanti.

Solo così si potrebbe  raggiungere il risultato desiderato: quello di escludere dagli asili e dalle scuole con insegnamento nella madrelingua tedesca un notevole numero di richiedenti.

In questo modo, però, si andrebbe al tempo stesso a scardinare completamente uno dei fondamenti dell'autonomia altoatesina, così come essa è stata configurata dal 1948 ai giorni nostri.

Già nel primo statuto di autonomia e poi in quello attualmente vigente, nel famoso articolo 19, da sempre oggetto di feroci critiche risentite le polemiche, è stato stabilito un principio fondamentale. In Alto Adige, al contrario di quel che si usa dire per comodità di linguaggio, non esistono una "scuola tedesca", una "scuola italiana" e una "scuola ladina". Esiste una scuola nella quale la lingua di insegnamento è quella tedesca e i docenti devono essere di quella madrelingua. Esiste una scuola nella quale alla lingua di insegnamento ladina vengono affiancate anche quelle italiana e tedesca. Esiste infine una scuola, nella quale l'insegnamento avviene perlopiù in lingua italiana ma che altro non è se non quella che lo Stato deve garantire, senza possibilità di esclusione alcuna, come il suo dovere fondamentale, in tutta Italia, dal Brennero a Palermo e che, in Alto Adige, assume a volte caratteristiche diverse, ma senza perdere mai questa sua universalità.

Questo è il sistema che si è preferito adottare, nel secondo dopoguerra, per agevolare al massimo la ricostruzione della scuola con insegnamento in lingua tedesca, da riedificare completamente dopo un ventennio fascista di totale proibizione. È il sistema che garantisce, proprio perché basato sulla lingua di insegnamento e non su altri criteri, totale libertà dei genitori di iscrivere i figli alle scuole da loro preferite.

È un sistema, come si diceva, che non è stato esente, in questi decenni, da contestazioni  anche forti. Il fatto che esso preveda ancor oggi l'inizio dell'insegnamento della seconda lingua (italiano nelle scuole tedesche e tedesco nelle scuole italiane) solo a partire dal secondo anno delle elementari (nella versione originaria del Pacchetto si parlava di terza elementare) ha bloccato per decenni i tentativi avviati soprattutto nel gruppo italiano di realizzare l'apprendimento precoce dell'altra lingua.

Adesso il sistema è sottoposto ad una pressione ancor più robusta. Nelle scuole materne e nelle scuole dell'obbligo con insegnamento in lingua tedesca crescono, come detto,  le iscrizioni di alunni provenienti da famiglie italofone o da famiglie di immigrati. In alcuni casi, si dice, il loro numero è tale da mettere a rischio l'apprendimento della loro lingua materna da parte dei bambini che invece provengono da famiglie tedescofone.

Non vi è dubbio che la prospettiva di far saltare l'intera struttura autonomistica mettendo al posto della scuola con insegnamento nella lingua della minoranza una scuola "tedesca" tout court possa essere affascinante per le forze politiche che contro questa autonomia si sono sempre battute. Resta da capire se lo stesso debba valere anche per un partito come la SVP che invece per questa autonomia e per questo modello di scuola si è sempre battuto.

Se però la strada indicata dall'estrema destra sudtirolese appare quanto meno impervia e non priva di pericoli, occorre comunque pensare rapidamente a delle soluzioni alternative.

Un primo passo, concreto, in avanti potrebbe essere quello di restituire il bandolo della matassa a coloro che hanno titolo maggiore dei politici (specie in anno di elezioni) per dipanarlo: le donne e gli uomini che nella scuola lavorano tutti i giorni e che sino ad ora hanno fatto praticamente scena muta. Siano consultati, possano liberamente esprimersi e confrontarsi sulla situazione attuale e sulle necessità future.

La questione è complessa e coinvolge anche, in parallelo, un altro tema spinoso tornato  recentemente agli onori della cronaca: quello dell'insegnamento della seconda lingua.

Un esperto, il professor Hans Drumbl, ha scritto su il Corriere dell'Alto Adige una cosa molto importante. La questione dell'insegnamento delle lingue e nelle lingue in provincia di Bolzano, ha detto, ha caratteristiche diverse e pone problemi particolari rispetto quelli che si riscontrano altrove. Proprio per questo andrebbe affrontata con metodi basati su questa diversità. Resta senza risposta, a questo proposito, la domanda sul perché non si sia mai pensato di inserire presso la Libera Università di Bolzano una facoltà di linguistica applicata, capace di attrarre studiosi di vaglia da tutta Europa, di impegnarli nell'esame del "caso Alto Adige", nella produzione di strumenti didattici pensati appositamente per questa realtà e soprattutto di sfornare ogni anno decine e decine di docenti specificamente preparati per andare nelle scuole di questa terra a colmare un vuoto che, nonostante tutti gli sforzi, si avverte ogni giorno di più.

Tutto questo, si dirà, costa. La risposta viene spontanea. Se c'è una ragione, inoppugnabile, per la quale l'autonomia è stata data a questa terra è quella che essa è lo strumento indispensabile per garantire nello stesso tempo la tutela delle minoranze e la convivenza tra tutti i gruppi linguistici. La scuola è il terreno fondamentale cui si realizzano questi obiettivi. Non c'è spesa che sia troppo alta sotto questo punto di vista.

Silvius Magnago, con uno dei suoi paradossi politici più noti, usava dire che se si fosse convinto che per tutelare la sopravvivenza dei sudtirolesi come gruppo linguistico occorresse dotarli, uno per uno, di un elicottero, lui avrebbe chiesto tutti quegli elicotteri.

Ebbene quell'elicottero sono gli insegnanti, le strutture scolastiche, la facoltà linguistica e quant'altro possa servire di fare in modo che la scuola in Alto Adige si adegui alle mutate esigenze dei tempi ma senza perdere con le caratteristiche di libertà e di apertura che ha assunto quando finirono gli anni tristi delle dittature.

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kurt duschek Sat, 11/25/2017 - 20:58

Complimenti per questo articolo che condivido in pieno! Als sogenannter Südtiroler mit deutscher Sprachgruppenzugehörigkeit bin ich für die freie Wahl bei Kindergarten und Schule OHNE weitere Angaben für meine Entscheidung im Interesse meines Kindes. Una scuola bi- o trilingue sarebbe uns ottima soluzione, un passo giusto per i giovani della nostra terra ricca di culture e lingue diverse.

Sat, 11/25/2017 - 20:58 Permalink