La croce assassina
Il decesso di Marco Gusmini, il ragazzo di 21 anni morto a Cevo (in Valcamonica) in seguito al collasso del grande crocifisso realizzato nel 1998 dall'artista Enrico Job in occasione della visita a Brescia di Papa Giovanni Paolo II, lascia senza parole. Morire schiacciati da una croce colossale, alla quale per di più era appesa l'effige del Redentore, non è certo un caso tra i tanti. Eppure, si tratta di un fatto che forse può ad essere interpretato come qualcosa di più che un semplice, ancorché sfortunatissimo, caso? Tra il considerare la croce un simbolo di salvezza o un ordigno di morte si apre molto sobriamente il campo delle indagini rivolte a scoprire chi ha sbagliato e come.
Saranno i giudici a stabilire in quale misura la colpa debba essere attribuita a chi ha voluto quello sproposito alto trenta metri e pesante diverse tonnellate, a chi ha condotto le perizie tecniche che hanno dato il non obstat, a chi ne ha autorizzato l’installazione, a chi l’ha progettato e a chi l’ha costruito, ma fin d’ora, dinanzi a quanto è accaduto, ci è lecito evidenziare un dato incontestabile: a fare il morto è stata quella smania di grandiosità che dall’ardito schizzo di un artista contagia, per ragioni assai diverse ma tutte convergenti, alti prelati, amministratori della cosa pubblica ed esecutori d’opera.