Economy | Lavoro

La "zona grigia" del mondo del lavoro

In un mondo cambiato da digitalizzazione e nuovi stili di vita, fenomeni come il crowd working e la gig economy rendono sempre più labile la linea di demarcazione tra lavoro dipendente e autonomo. I sindacati sono quindi chiamati a reagire.
Hinweis: Dies ist ein Partner-Artikel und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.
food delivery rider
Foto: Pixabay - KaiPilger
  • Che il mondo del lavoro stia cambiando è sotto gli occhi di tutti: la figura del dipendente “tradizionale” sembra infatti essere sempre meno presente, mentre crescono i lavoratori autonomi e, soprattutto, quelli che si trovano a metà strada tra queste due condizioni.

    La tecnologia e le nuove richieste del mercato stanno infatti attuando una profonda rivoluzione del mondo del lavoro, rendendo sempre più labile il confine tra lavoro dipendente e autonomo, con incarichi che ora vengono affidati on demand e attraverso piattaforme che fungono da tramite. 

    Ciò ha ovviamente aspetti positivi legati in particolar modo alla libertà, ma come in tutto ci sono anche dei risvolti negativi che non sempre vengono tenuti in considerazione.

     

    IL “VECCHIO” MODELLO. 

    In quel modello duale che ha caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi decenni, le differenze sono piuttosto chiare. 

    Guardando al dipendente, questi è controllato e diretto dal datore di lavoro, il quale decide orari, luoghi e procedure, ma si impegna anche a garantire diritti, benefit e uno stipendio fisso. Questa categoria, aspetto di primaria importanza, è inoltre tutelata dai sindacati.

    Il libero professionista è invece libero di gestire il proprio lavoro sotto tutti i punti di vista, con una grande autonomia per quanto riguarda organizzazione del lavoro e decisioni, oltre alla possibilità di guadagni molto elevati. D’altra parte vi sono però molte responsabilità da assumersi in prima persona, i rischi finanziari (il cosiddetto “rischio d’impresa”) e l’assenza di copertura in caso di malattia o infortunio. 

     

    LE NUOVE TECNOLOGIE.

    Complice la pandemia Covid che ha accelerato il processo di digitalizzazione, negli ultimi anni le modalità di lavoro sono molto cambiate. 

    L’adozione di smart working e telelavoro da una parte sempre crescente di aziende ha infatti creato un nuovo lavoratore più autonomo e indipendente e che ha la possibilità di gestire individualmente modi e tempi della propria professione, anche in un’ottica di conciliazione con la vita privata.

    In tanti, dopo aver avuto questa possibilità, faticano a tornare indietro, tanto che (almeno nelle professioni che lo permettono) l’home office è ormai la normalità per diverse aziende.

     

    CROWD WORKING E GIG ECONOMY.

    Le necessità della pandemia (il distanziamento sociale, per dirne una) hanno portato al boom di alcune professioni, come per esempio il rider: con la chiusura di bar e ristoranti, la figura di quello che una volta era chiamato “fattorino” ha assunto un ruolo centrale ed è anche diventato un perfetto esempio di due tipologie di lavoro sviluppatesi di recente: il crowdworking e la gig economy

    Il primo è un sistema che permette a imprese o singole persone di richiedere oppure offrire servizi a una “folla” (in inglese “crowd”) attraverso una piattaforma virtuale che al contempo funge sia da intermediario che da supervisore. Rimanendo nell’esempio del rider, questi offre il trasporto di cibo (o prodotti in generale) a domicilio attraverso una piattaforma virtuale (Just Eat, Deliveroo e Glovo sono probabilmente gli esempi più famosi), la quale da parte sua organizza le consegne, fissa i prezzi, monitora lo svolgimento del lavoro attraverso un tracking che anche l’utente più visualizzare e, ovviamente, paga gli stipendi.

    La gig economy identifica invece un modello economico in cui le prestazioni lavorative continuative (il famoso “posto fisso”, per intenderci) vengono sostituiti da lavori “a chiamata” o, per utilizzare un termine più “moderno”, on demand. Chi lavora in questo sistema offre quindi i propri servizi, competenze o prodotti quando c’è richiesta, senza tuttavia legarsi all’uno o all’altro datore di lavoro. La piattaforma di delivery, per esempio, contatta i rider solo qualora ci siano affettivamente delle consegne da fare, con i fattorini che, dal canto loro, possono anche rifiutare di effettuare la consegna in questione.

  • Foto: Pexels - Markus Winkler
  • LA “ZONA GRIGIA”. 

    Tutto ciò porta in sostanza a diversi problemi di fondo, in primis legati all’inquadramento della tipologia di lavoro. Per semplificare il discorso, ci avvarremo dunque nuovamente dell’esempio dei rider: spesso negli ultimi anni ci si è infatti domandati se i fattorini delle piattaforme digitali siano lavoratori autonomi o dipendenti. 

    Ciò è dovuto al fatto che, in effetti, questi godono di una certa libertà di scelta (una consegna può per esempio essere rifiutata senza il timore di “ripercussioni”), dovendo tuttavia al tempo stesso rispettare a norme e restrizioni tipiche di un lavoratore subordinato (pensiamo per esempio al controllo della posizione attraverso la geolocalizzazione: sotto il profilo della privacy, si viaggia sul filo del rasoio).

    Se si va ad analizzare la situazione, si tratta in sostanza di un lavoro “semi-autonomo” difficile da codificare e in cui la legislazione è ancora carente, il che rende anche difficile il ruolo dei sindacati nell’evitare fenomeni di precariato e di autosfruttamento. 

    Spesso infatti chi lavora in questo campo guadagna pochi euro a consegna ed è costretto a operare in condizioni difficili (caldo estremo, pioggia, traffico, fatica…), inoltre la grande concorrenza (in fondo si tratta di un lavoro molto accessibile per tutti) può rendere difficile effettuare un numero di consegne sufficienti a garantirsi la proverbiale “pagnotta”. A ciò si aggiunge poi l’assenza di ferie e malattie retribuite, oltre che di altre tutele sindacali conquistate nel corso degli anni dai lavoratori “tradizionali”.

    In tal senso l’Europa si è già espressa nel dicembre 2023, introducendo il concetto di “presunzione di rapporto subordinato” per riconoscere i rider come lavoratori dipendenti a tutti gli effetti (a meno che le aziende non dimostrino il contrario) e regolamentando gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme, ma l’iter necessario a rendere questa decisione operativa non è ancora terminato.

     

    IL RUOLO DEI SINDACATI. 

    In termini di contrattazione, i sindacati dovranno dunque prendere atto della nuova situazione e reagire di conseguenza, lavorando in particolar modo su diversi fondamenti, il primo dei quali è ovviamente la creazione di strumenti istituzionali per l’eliminazione della sopracitata “zona grigia”.

    Grande importanza avrà poi la formazione continua, in particolare per lo sviluppo di competenze digitali: le aziende dovranno infatti vederla come un investimento, e non come un costo.

    Due aspetti legati a doppio filo sono poi quelli relativi alla conciliazione vita-lavoro e a tempi e luoghi in cui esercitare la professione, con un intelligente utilizzo delle tecnologie per garantire ai dipendenti la possibilità di accudire bambini (fondamentale in un Paese in pieno inverno demografico) e parenti anziani. Qualora si optasse per queste forme di lavoro, bisognerà infine garantire il diritto alla disconnessione, in modo da evitare che il lavoro invada la sfera privata dei lavoratori.

  • Foto: Domenico Carrieri