Giornata della memoria 2018
È del primo novembre 2005 la decisione presa dall’Assemblea delle Nazioni Unite di celebrare ogni anno il 27 gennaio la Giornata della memoria per ricordare la Shoah. Quella risoluzione fu preceduta dalla celebrazione avvenuta il 24 gennaio nello stesso anno della sessantesima ricorrenza della liberazione dei campi di concentramento nazisti da parte delle forze alleate nel 1945, e quindi della fine dell’Olocausto. È stato scelto il 27 gennaio, perché quella fu la data in cui le armate russe erano entrate nel campo di Auschwitz procedendo verso la Germania impegnate nell’offensiva Vistola-Oder e scoprirono l’orrore più terrificante degli orrori: sopravvissuti, strumenti di tortura e di annientamento. E così, da tredici anni, ogni 27 gennaio, in giro per il mondo, si organizzano eventi culturali, letture di testi, concerti, proiezioni di film e altro - per non dimenticare. Quindi, anche per ricordare che dal populismo più bieco può nascere il male assoluto. Non sono da sottovalutare i segnali che vediamo tutti i giorni sui piccoli schermi nei nostri salotti: la bruciatura di sagome di figure politiche attualmente in carica in Italia vanno in quella direzione. Parole che giudicano e offendono altri esseri umani unicamente perché di culture o di religioni diverse, vanno in quella direzione.
Ben vengano allora film che narrano azioni eroiche, in cui persone “normali” hanno rischiato la propria vita per salvare quella di altre persone perché avevano già dentro di sé quella frase di Hannah Arendt, Nessuno ha il diritto di ubbidire, che sarebbe diventata l’emblema dell’antinazifascismo. A Merano, per esempio, è stato presentato al Cinema Ariston La signora dello zoo di Varsavia di Niki Caro, film del 2017. La regista neozelandese - che forse qualcuno ricorda per il suo intenso racconto maori La ragazza delle balene del 2002 - aveva annunciato già nel 2013 di voler fare un film dal romanzo Gli ebrei nello zoo di Varsavia di Diane Ackermann, a sua volta basato sui diari della “signora” del titolo: i coniugi Zabinski di Varsavia avevano salvato oltre trecento ebrei, tra donne, uomini e bambini, dalla soluzione finale prevista per loro dai gerarchi nazisti (non solo) in Polonia. Come avevano fatto? I due gestivano uno zoo, il quale fu bombardato da subito nei primi di settembre del 1939, quando Hitler invase la Polonia. Poco dopo fu presa la decisione da Göring di chiuderlo definitivamente: gli animali più pregiati vennero trasferiti nello zoo di Berlino dello zoologo tedesco – che dapprima fu loro amico, poi il loro padrone nazista -, e tutti gli altri via via uccisi. Rimasta senza lavoro e avendo da subito compreso cosa stava accadendo, la coppia propone di farne un allevamento di maiali i quali sarebbero stati nutriti con i rifiuti raccolti da loro con un camion nelle strade del ghetto di Varsavia, dove erano stati inizialmente rinchiusi tutti gli ebrei della città e della zona vicina. Nascosti sotto i rifiuti, ogni volta il signor Zabinski portava fuori due o tre persone per nasconderle poi nei locali sotterranei di casa loro o per aiutarli a scappare altrove. Certo, non senza difficoltà e non senza un alto prezzo da pagare: la moglie, ossia la “signora” del titolo si doveva occupare delle relazioni con lo zoologo nazista fino a subire non poche molestie, pur di non far nascere in lui il minimo sospetto.
C’è un altro film di cui vorrei parlare, però, visto per puro caso in dvd preso in prestito in biblioteca: Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli del 2014, dove il “silenzio” è quello che si rischiava nel dopoguerra in Germania riguardo agli orrori nazisti, se non era per un pool di giovani procuratori guidato dall’allora procuratore generale di Francoforte, Fritz Bauer. Il suo operato continua tuttora grazie al Fritz Bauer Institut, un istituto di ricerca sulla storia e le conseguenze dell’olocausto (vedi il sito in lingua tedesca e inglese, fritz-bauer-institut.de). Bauer, egli stesso di origini ebraiche, tornato nel 1949 dalla Scandinavia, dove si era rifugiato, si era occupato della riforma dello stato di diritto e della persecuzione dei responsabili dei crimini nazisti. Fu grazie a lui, proprio perché preoccupato per il futuro della nuova Germania, che Adolf Eichmann, il massimo organizzatore dei trasporti nei lager, fu catturato in Argentina e processato in Israele. Fu Fritz Bauer a prendere i contatti con i servizi segreti israeliani, il Mossad, per comunicare loro informazioni che aveva scoperto dopo che lo stato tedesco non gli aveva dato ascolto e volle censurare il tutto. Di questa storia parla un altro film, Lo stato contro Fritz Bauer di Lars Kraume del 2015.
Nel film-dossier di Giulio Ricciarelli c’è un accenno a questo, mentre l’intera storia - il cui inizio è ambientato nel 1958, quando in terra tedesca nessuno voleva né parlare né sentir parlare del regime nazional-socialista, visto che si era in pieno clima di ricostruzione – narra le vicende storiche per cui si sarebbe poi giunti ai processi di Francoforte, in cui vennero giudicati numerosi gerarchi nazisti responsabili dei crimini compiuti nel lager di Auschwitz. Se non era per Bauer e il suo pool di giovani collaboratori, forse, oggi nessuno ricorderebbe… Non c’era, allora, la volontà di creare una memoria. In quegli anni molti dei pezzi grossi – nonostante la legge vietasse, e vieti tuttora, la presenza di ufficiali delle SS nell’amministrazione pubblica - erano tornati ai loro posti e nessuno voleva ammettere ciò che aveva commesso negli anni passati. “Non ci sono prove”, era la frase più corrente con cui ci si sottraeva a ogni benché minima discussione. Finché un giornalista entrò in possesso di un elenco trafugato da un amico internato ad Auschwitz e sul quale erano indicati alcuni nomi… Fu il punto di partenza per indagini e ricerche estese a tutto campo nell’intera Germania e che grazie alle sempre più numerose e dettagliate testimonianze di sopravvissuti condussero al processo iniziato nel 1963 e durato fino al 1965. Tra i protagonisti dell’accusa c’era stato allora Gerhard Wiese, giurista tedesco, il quale sarebbe poi stato la fonte maggiore di informazioni per il regista Ricciarelli ai fini di scrivere la sceneggiatura del film (assieme a Amelie Syberberg e Elisabeth Bartel) e di fare di lui e dei due colleghi, Joachim Kügler e Georg Friedrich Vogel, la figura fittizia di Johann Rademann, interpretato dall’attore tedesco Alexander Fehling. Nel ruolo di Fritz Bauer appare per l’ultima volta sulla scena Gert Voss, meglio noto come attore-leggenda del Burgtheater di Vienna.
Nel corso delle interviste, inserite come extra nel dvd, veniamo a sapere inoltre che quella fu la prima volta che un popolo aveva processato alcuni dei propri cittadini per crimini di guerra. Il movimento del ’68 avrebbe poi fatto il resto per portare sempre più alla luce i vari misfatti e non da ultimo il Nuovo cinema tedesco… Il labirinto del silenzio, infatti, non a caso si chiude con la frase di Fritz Bauer: “Oggi (il giorno dell’inizio del processo di Francoforte, ndr), scriviamo storia!”