Inferno
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Politics | Avvenne domani

…sovra Tiralli

Il ghibellin fuggiasco e la questione altotesina.

A parte il fatto che Dante era guelfo e che quindi Ugo Foscolo, nei Sepolcri, ha fatto, volutamente o meno, un po’ di confusione, rimane indubbiamente un pizzico di incredulità all’idea di collegare il Sommo Poeta alle vicende politiche di questa terra, nella quale, nonostante il suo incessante peregrinare, non mise indubbiamente mai piede. Qualche spunto, a dispetto di tutto, c’è e vale la pena di recuperarlo, come curiosità, approfittando del fatto che in questo 2021 cade il settimo centenario dal giorno in cui l’Alighieri ebbe modo di verificare personalmente se la sua potente raffigurazione dell’aldilà corrispondesse o meno al vero.

Guardando a nord.

Il 14 maggio del 1865, in una sala della Biblioteca Capitolare di Trento veniva inaugurato un busto raffigurante Dante Alighieri. Lo stesso giorno, a Firenze, in piazza Santa Croce, veniva scoperta altrettanto solennemente la statua realizzata dallo scultore Enrico Pazzi. Si celebravano così i 600 anni dalla nascita del Poeta, e le due statue, quella di Trento in particolare, assumevano nel clima risorgimentale di quegli anni, il ruolo di simbolo di un’italianità proclamata e rivendicata. La cosa, in un Trentino dove iniziavano a farsi sentire i primi fremiti irredentisti, non mancò di destare il preoccupato interesse da parte dei funzionari di polizia dell’imperial regio governo di Vienna.

Dante diventava così la figura attorno alla quale si sarebbe coagulato il sentimento nazionale con la rivendicazione orgogliosa di una lingua e di una cultura. Il busto ospitato dalla biblioteca di Trento non fu che il precursore della grande statua eretta al centro dei giardini che separano oggi la stazione ferroviaria dai palazzi della politica trentina e che fu inaugurata l’11 ottobre 1896. Il bronzeo Alighieri guarda verso nord come ad incrociare lo sguardo del menestrello von der Vogelweide, immortalato, già da qualche anno, nel marmo al centro della piazza principale di Bolzano. Da allora v’è chi sostiene che i due poeti si sfidano e chi invece, più ottimisticamente, intravvede in questo osservarsi un simbolo dell’incontro tra due culture.

Sta di fatto, tuttavia, che il nome di Dante Alighieri viene assunto come proprio da una società che nasce proprio in quegli anni sotto gli auspici di un altro illustre poeta, Giosuè Carducci, e che si propone come scopo fondamentale quello di divulgare, difendere, propagare la conoscenza della lingua italiana. La Dante Alighieri diventa però anche uno degli strumenti fondamentali e più penetranti di sostegno alla battaglia per l’italianità delle terre irredente. Con il robusto appoggio che fornisce sin dall’inizio a diversi esponenti del nazionalismo la Dante acquista un carattere politico molto più estremo. L’esempio classico, quello che ci riguarda più da vicino, riguarda Ettore Tolomei che, alla Dante Alighieri si appoggia sin dai suoi esordi in campo politico. La Dante gli sarà accanto in maniera più che concreta nel corso dei decenni successivi, sostenendone con forza le battaglie contro la gestione delle cose altoatesine affidata, prima dell’avvento del fascismo, al liberale Luigi Credaro, diventando parte attiva nella gestione di quell’Istituto di Studi per l’Alto Adige che, nel primo dopoguerra, diviene lo strumento con il quale Tolomei può continuare a pubblicare la sua rivista, l’Archivio per l’Alto Adige. Si può dunque concludere, senza tema di smentita, che la Società Dante Alighieri svolge un ruolo di primo piano nella rivendicazione dell’italianità dell’Alto Adige e nella battaglia per l’italianizzazione di questa terra portata avanti soprattutto durante l’era fascista.

A piè de l’Alpe che serra Lamagna.

Nel bel mezzo di questa analisi sull’utilizzo politico e culturale di Dante Alighieri nel pieno del conflitto tra le nazionalità che attraversa il vecchio Tirolo e poi la nuova realtà geografica disegnata dalla guerra, c’è però un piccolo particolare che assume una curiosa importanza. Se nel quadro che abbiamo disegnato poco sopra sono il nome e la fama del poeta fiorentino a diventare strumenti di propaganda e lotta politica, qui entra in campo addirittura una delle terzine composte dal Poeta. Leggiamola assieme.

Suso in Italia bella giace un laco, 
a piè de l’Alpe che serra Lamagna 
sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.

Innanzitutto un po’ di orientamento. La cantica è quella dell’Inferno, il Canto è il ventesimo. Dante e Virgilio stanno osservando lo strano incedere di una particolare categoria di peccatori, gli indovini, costretti a procedere camminando all’indietro visto che hanno il capo rovesciato a posteriori. Dante li commisera, ma Virgilio gli rimprovera questo sentimento. Poi, però, il poeta latino smette per un po’ la veste della guida spirituale per assumere quella, analoga ma un po’ più prosaica, di guida turistica. Lo spunto gli viene fornito dall’aver individuato, nella torma dei peccatori, la figura di Manta, indovina essa stessa e figlia dell’indovino Tiresia. Virgilio ricorda la leggenda secondo cui sarebbe stata proprio Manta a fondare la sua città natale, Mantova. Orgoglioso delle sue origini inizia ad illustrare all’Alighieri tutta la geografia del territorio circostante. Parte così abbastanza da lontano e per indicare la posizione del Benaco, ovverossia del lago di Garda, spiega che esso si distende ai piedi della catena montuosa delle Alpi, che, dice, racchiudono la terra di Germania (Lamagna) sopra il Tirolo (Tiralli).

L’illustrazione virgiliana prosegue per parecchi versi ancora, illustrando la geografia del lago, la fortezza meridionale di Peschiera, da dove scende il fiume Mincio sino al Po.

La terzina che abbiamo riportato è quella che però attira inevitabilmente l’attenzione di Ettore Tolomei che la assume come una sorta di sacra profezia rispetto alla sua teoria sull’italianità dell’Alto Adige consacrata dalla natura con le Alpi a far da barriera. Il verso viene citato innumerevoli volte e, dalle pagine di Tolomei, rimbalza inevitabilmente ovunque ed entra a far parte dell’armamentario con il quale tutto il fronte nazionalista reclama l’appartenenza all’Italia di tutte le terre sino allo spartiacque alpino. Viene scritto in innumerevoli pagine e inciso nella pietra. Lo si ritrova citato ancor oggi nelle pagine di taglio nazionalistico che compaiono, numerose, nella rete.

La guida turistica ante litteram di Virgilio è diventata e resta strumento di battaglia.