Bertha contro la guerra aerea
Le guerre le hanno sempre dichiarate e fatte gli uomini. I maschi della specie. L’imperialista russo Putin è solo l’ultimo della serie.
Invece sono sempre stati in minoranza gli uomini che hanno cercato di opporsi alle guerre. Le donne, dal canto loro, fino all’Ottocento hanno avuto di rado l’occasione di far sentire la loro voce.
Giusto novant’anni fa, alla vigilia della prima guerra mondiale, un’antimilitarista straordinaria, Bertha von Suttner, premio Nobel della pace nel 1905, scriveva un appello contro “L’imbarbarimento dell’aria”, nella speranza che l’umanità ritrovasse la ragione e dicesse no, almeno, alla guerra fatta con gli aeroplani. Il primo volo dei fratelli Wright sulle dune del North Carolina era di nove anni prima, appena.
“Die Barbarisierung der Luft” – documento nobile e impressionante di una donna, un’attivista e un’intellettuale, che cerca di convincere i grandi della terra – è stato appena ripubblicato, con traduzione italiana a fronte e un importante apparato critico di Emilia Fiandra, ordinaria di lingua, cultura e istituzioni dei Paesi di lingua tedesca a Roma Tre (Bonanno editore, 140 pagine, 15 euro).
L’attacco del documento è fulminante: “Quindici o vent’anni fa gli inventori squattrinati ( die mittellosen Erfinder ) che giravano con i loro progetti per costruire palloni dirigibili o macchine volanti si rivolsero ai capi del movimento pacifista. Aiutateci, dicevano, a conquistare l’aria e la guerra sarà superata. … il traffico, facilitato e reso dieci volte più veloce, avrebbe avvicinato i popoli… le ostilità sarebbero svanite ( würden die Feindschaften schwinden ) ”.
Von Suttner non era un’ingenua e registra realisticamente: “è un’arma che può rivelarsi la più diabolica tra quelle finora utilizzate”. Eppure resta convinta che l’arte del volo avrebbe potuto essere utilizzata – dalla buona politica – per distruggere la guerra. Niente meno. I divieti temporanei di bombardamento dall’aria, sanciti dalle conferenze dell’Aia del 1899 e 1907, le davano qualche motivo di ottimismo.
Ecco allora che nella Barbarisierung del 1912 passa in rassegna l’evoluzione tecnologica dell’aviazione degli armamenti, ma anche i romanzi fantascientifici di autori visionari come H.G. Wells e Jules Verne, per poi denunciare inorridita le raccolte nazionali di fondi per gli armamenti aerei: in Francia, in Germania, in Austria, in Italia. E proprio in relazione alla guerra coloniale di Roma in Libia sferra una durissima critica all’informazione giornalistica: “A eccezione dei giornali socialdemocratici tutti i grandi quotidiani ‘liberali’ e benpensanti del mondo… senza battere ciglio pubblicano le cronache dei ‘successi’ che la nuova arma ha già conseguito nella guerra in Tripolitania: panico e distruzione su carovane e campi bombardati dall’alto”. Di qui la domanda, da donna coraggiosa che si appella alla coscienza dell’Europa: “Steigt denn niemandem, der solches berichtet, ein moralischer Ekel auf solchen Meucheleien?”.
Le immagini che ci giungono oggi dall’Ucraina rendono davvero drammatica questa voce di donna di novant’anni fa
“Ma nessuno, riportando queste cose, sente sorgere in sé una ripugnanza morale contro tali massacri?”. Le immagini che ci giungono oggi dall’Ucraina, mentre l’aria è quella di una vigilia di nuova guerra mondiale, rendono davvero drammatica questa voce di donna di novant’anni fa. Con le stesse parole dei volantini della Weisse Rose di trent’anni dopo, Von Suttner scandisce: “Quando accade qualcosa di male è colpevole non soltanto chi lo fa, ma anche chi, in silenzio, lascia che accada”.
La fiducia nella ragione umana non ha mai abbandonato questa amica di Alfred Nobel, nata nel 1843 a Praga, figlia di un generale, con il nome solenne di Bertha Sophia Felicita Contessa di Kinsky von Chinic und Tettau, che morirà a Vienna il 21 giugno 1914, senza vedere la guerra mondiale contro cui aveva, da nonviolenta, vigorosamente lottato.
“Tripoli e l’Aia – osserva Emilia Fiandra – sono i due pilastri storici della riflessione di Bertha, “la sciagura del recente passato e la speranza di un futuro possibile”. Non un sogno. Un programma politico.
La Barbarisierung di Von Suttner si conclude con un appello “alla luce dei costi rovinosi, dei pericoli che minacciano la cultura e delle atrocità che violano la coscienza culturale” indotti dalla guerra nei cieli, per chiedere “un accordo tra le potenze al fine di rinnovare il divieto di lanciare esplosivi dalle aeronavi” ( “von Luftschiffen Sprengstoffe herabzuschleudern” ).
L’appello si conclude in nome del genio umano, di Dio (anche per i non credenti, dice, sinonimo dell’idea più nobile) ma soprattutto “in nome della ragione e della misericordia”.
“Vernunft und Barmherzigkeit” si legge nel testo originale. Ragione e misericordia. Letto oggi, novant’anni dopo, sotto il cielo di Kiev, è un binomio che ci inchioda.