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A caccia di farfalle

Un Talk del Museion con Mercedes Azpilicueta e Simone Frangi attorno alla mostra “Bestiario de Lengüitas” sulle streghe di ieri e di oggi.
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Foto: Luca Meneghel

Era caduta soltanto alla fine, per bocca di Letizia Ragaglia, direttrice del Museion che subito dopo l’avvenuto lockdown lo scorso 8 marzo aveva lanciato #TeleMuseion col messaggio “In questi momenti la cultura sotto ogni forma diventa un bene di primaria necessità, l’arte ci aiuta ad accettare l’ignoto, l’altro, e ci invita alla solidarietà: state a casa, state con noi, con TeleMuseion!” – lei la nomina quella parola incriminata che è “contaminazione”… sì, perché in tempi di coronavirus è difficile prendere in bocca quel termine che sin dagli anni novanta del Novecento designa ciò di cui hanno parlato Mercedes Azpilicueta e Simone Frangi nel loro Talk di un’ora attorno alla mostra Bestiario de Lengüitas aperta il 15 febbraio e visitabile (forse) fino al 15 maggio, ma speriamo anche dopo. Ragaglia usa questa espressione nel suo doppio significato sperando che dopo questa “contaminazione paurosa” attorno al Covid19 a maggior ragione il Bestiario di Mercedes possa godere del sostegno della importanza della fisicità e dell’uso maggiorato dei sensi per fruirne a favore di una “contaminazione in senso positivo”.

 

Di cosa stiamo parlando?

Per tenere il contatto col proprio pubblico il Museion – per l’appunto - propone una serie di iniziative sui canali web e social per essere virtualmente vicino al pubblico mettendo a disposizione contenuti e approfondimenti sulle mostre, ma anche attività di mediazione e partecipazione “a distanza”, da farsi rimanendo ognuno e ognuna tranquillamente seduti/e a casa. Museion, fisicamente chiuso a causa dell’attuale emergenza sanitaria, si attiva virtualmente con “TeleMuseion” e di recente c’è stato il Talk con Mercedes Azpilicueta a proposito della sua mostra Bestiario de Lengüitas a cura di Virginie Bobin, realizzata in collaborazione con CentroCentro di Madrid e CAC Brétigny. L’artista nata a La Plata in Argentina nel 1981 ci immerge in un mondo che si muove sul filo del caos e dell’eccesso, prendendo – come si legge nella descrizione sul sito – “le mosse da una sceneggiatura scritta dall’artista per una performance futura che potrebbe o meno accadere: disegni, costumi, sculture, installazioni audio e video, wallpaper e un coro di personaggi grotteschi abitano lo spazio espositivo, che si presenta come un palcoscenico – anche il pubblico è coinvolto con tutti i sensi in questa esperienza - attraverso la combinazione di strategie visive e teatrali e una forte componente umoristica, invitando tutti a mettere in discussione i modi in cui abitano questo mondo”.

 

Premetto, non ho visto la mostra dal vivo e la vedo grazie alle foto pubblicate sul sito, per cui non posso sapere né condividere a priori, ciò di cui parla l’artista con Simone Frangi nel dialogo che si svolge sulla piattaforma Zoom, è in ogni caso intrigante per tema e spunti filosofici. Introdotto con sapienza da Frida Carazzato, lei ci anticipa il nesso profondo che a Bolzano si era creato, grazie all’immaginario collettivo correlato alla strega. Sì, perché la strega è un personaggio fortemente legato con la tradizione locale, tante ce ne sono state qui, e tante ne sono state ammazzate. Perché? Per il loro sapere, un sapere che da sempre ha dato fastidio al Potere, laico e religioso, perché incomprensibile, essendo incommensurabile, imprendibile, inafferabile, a loro avviso – dei Potenti - magico, al nostro semplicemente logico e terrestre, femminile, certo, ma forse per questo a maggior ragione “strano”, imprendibile, “inaccalappiabile” - come dirà poi Simone Frangi. E allora ancora: perché? Carazzato cita le streghe dello Sciliar che popolano le leggende altoatesine, quelle streghe uccise perché avevano subìto la condanna capitale, avevano – si dice – fatto uso di erbe, e sarebbero state legate al diavolo, ai Sabba, a giochi strani, e quindi indissolubilmente connesse a rituali ed elementi folkloristici. La strega di per sé è da sempre un corpo da combattere, un corpo che rappresenta un sapere che era da combattere, o forse un modo di essere?

 

La mostra al Museion, racconta l’assistente curatoriale, è in stretta relazione a un tema già molto frequentato dall’istituzione anche in anni passati, come ad esempio nel 2015 con Der Hexenhammer – a cura sua - dove l’artista Chiara Fumai in un wall painting aveva proposto due figure femminili in costume cinquecentesco che esortavano una donna mentre le porgono la comunione citando una frase che era una citazione della giornalista tedesca, poi terrorista negli anni settanta, Ulrike Meinhof: “O sei parte del problema o sei parte della soluzione. In mezzo c’è il nulla”. Nella mostra questa frase della Meinhof viene associata all’immaginario del trattato medieval Malleus Maleficarum, un celebre trattato contro la stregoneria pubblicato dai frati domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprengler nel 1478 (tradotto in tedesco con Der Hexenhammer che dava il titolo alla mostra).

 

Si tratta dunque sempre di esseri marginali, del vivere situazioni estreme. E attorno a queste si parlava nel Talk con Mercedes Azpilicueta e Simone Frangi con l’aiuto di tre figure iconiche: un disegno storico che rappresenta il Bacio vergognoso, una delle sculture esposte della stessa artista al Museion e una poesia del poeta argentino che figura nello script, sempre facente parte della mostra. Passato e presente, disegno, scultura, scrittura – già qui contaminazione in pieno, tra le arti, tra le discipline, tra i tempi, tra le culture.

 

Simone Frangi è professore di teoria e attualità dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti e Design di Grenoble cui piace molto la filosofia di Luciano Parinetto, il quale fu influenzato da Deleuze e Guattari per cui si riconoscono quelle idee soprattutto della deterritorializzazione e del marxismo tout court. Frangi cita Parinetto, per me è come se citasse Deleuze-Guattari quando fa riferimento alla figura della strega come “donna celibe” essendo stato il duo parigino per primo a riferire delle “macchine celibi” di Duchamp aspetti di persona. Poco importa, Mercedes ne rimane stimolata per parlare dell’impatto forte avuto dalle leggende sulle streghe dell’Alto Adige, motivo per cui la tappa bolzanina della mostra è estremamente importante nella sua ricerca artistica. Infatti, Mercedes rimane – se mi è permesso il termine – “stregata” da questa realtà, prima, e doppiamente dopo, tanto che esulta durante il Talk alla luce del termine usato da Frangi, il quale a sua volta lo prende in prestito dallo stesso Parinetto: “streghizzazione” corrisponde al fatto che in realtà la strega di per sé non esiste ma è la “caccia alle streghe” che la crea. Mi viene da aggiungere che è un po’ come accade oggi, con la pandemia del coronavirus, dove i casi di infetti e le morti non sono in alcuna relazione con la popolazione tutta, ma è la “caccia al virus” che lo crea, come “nemico numero uno”… E ciò – dice Frangi, usando parole di Parinetto – ci pone davanti all’inaccalappiabile, l’inafferabile. L’invisibile, come il nostro virus - penso.

 

Mercedes ne rimane affascinata, anche perché quel termine streghizzazione è difficile da rendere in inglese o in spagnolo, per lei, natìa argentina, di origini italiane, e quindi cittadina italo-argentina che vive in Europa: ecco un’altra caratteristica che l’ha accomunata alla realtà altoatesina, l’essere “tra” o “infra” due/tre o più culture, un aspetto che lei fa suo anche nella sua arte, non solo in quella che fa, cioè esprime, ma anche nel come la organizza, o meglio come lei si organizza, chiamando in causa le diverse risorse pluriculturali, le conoscenze in diversi paesi, nelle diverse discipline, mettendo a dura prova le istituzioni che invece vogliono categorizzare, progettizzare, personizzare, per non dire – usando la parola di Frangi/Parinetto – streghizzare gli artisti e le artiste? Un concetto cui - giustamente e prontamente – Ragaglia si oppone nel suo intervento finale di chiusura per ribadire che una istituzione si deve dare delle norme, è il suo mestiere e la sua mission, ma può anche – e lei come Museion lo ha sempre voluto fare – accogliere progetti che fuoriescono da queste norme, diventando ab-norme. E qui va lodata Letizia Ragaglia, per il suo coraggio e la sua intraprendenza lungo un inafferabile percorso dentro l’arte contemporanea.

 

Torniamo a Mercedes che sin da subito aveva riconosciuto la grande opportunità nel lavorare in una realtà come quella bolzanina, coadiuvata per di più dalla ricca bibliografia fornitale da Frida Carazzato riguardo le leggende e la storia delle streghe nelle valli dell’Alto Adige ma anche in riferimento alla figura della strega nella contemporaneità, nella protesta sociale, in ogni essere che non si adatta alle norme imposte dalla società in cui vive.


A questo punto Simone Frangi conduce il discorso verso il “disciplinamento del corpo sociale” ma soprattutto del corpo della strega nel suo “corpo storico” e nel suo “corpo connotato come vagabonda”, per cui equivalente a tanti significati. E di qui si arriva alla connessione col binomio di bestiario vs bestia, nel senso di “corpo polimorfo” come lo intende ancora Parinetto – la strega come processo liberatorio, in quanto lei, priva di nome, non si/ci demonizza, anzi, ci libera assumendo tante forme. È attraverso visioni o meglio lo sguardo di altri che le vogliono dare un nome e affibbiarle così una categorizzazione che essa sfugge alla categorizzazione essendo lei nessuno. Grazie a questo essere nessuno, la strega si fa corpo desiderante, essere libidico – qui di nuovo, mi spiace per Frangi, mi torna in mente il concetto di corpo desiderante di Guattari/Deleuze.


Qui entra in gioco l’opera di Mercedes de La scatola con quelle due gambette, esposta assieme ad altri esseri strani all’ultimo piano – quella scatola che a detta dell’artista inizialmente era semplicemente una scatola che migrava di casa in casa, poi con l’aiuto di una coreografa era diventata un costume di scena e ora al Museion è un personaggio, con gambe e senza braccia –per ora. Chissà se nella prossima tappa del Bestiario ne avrà e/o forse sarà dotata persino di altro?
A questo punto è Mercedes a farsi strega designando la stessa pratica artistica come “bestia”, una “forma bestiale” pluriforme, senza inizio e senza fine, dentro un rapporto con altri artisti che si nutre di “energia bestiale” per tessere un “dialogo bestiale” che assume forme parziali nel corpus di un mostro/mostra.

 

Un essere “strega” poi “normizzato” nella istituzione Museo che la ospita, afferma Frangi, e che “legittima una pratica perché riconosciuta e delegittima altre”, per poi dire che Mercedes in ogni caso continua a giocare sulla base della sua innocenza che è al contempo competenza e incompetenza…
Mercedes acconsente autodefinendosi una “ricercatrice disonesta” nel suo simpatico mix linguistico tra lo spagnolo, italiano, inglese, francese e olandese, una dimensione in cui il gioco “accade” e dove questa “innocenza ci vuole per relazionarsi col materiale, ai fini di un lavoro artistico gruppale, dove ci deve essere spazio per errori, dove si può essere lost, dove ci può essere contingenza, anzi, dove tutto questo si fa necessario…”

 

Un’altra componente fondamentale nel lavoro di Mercedes, infatti, è quello che lei chiama il “lavoro gruppale”, il lato performativo, installativo, quella energia bestiale che si fa dirompente, fisica, per scatenare quella formicolante, brulicante – ovvero quel brusio della sua scrittura artistica, per dirla con Roland Barthes.
Perché secondo la stessa Mercedes nella mostra di Bolzano non si vede quel lato bestiale, ma la mostra è bestiale in sè, lo è nel lavoro sonoro e nei dettagli, lo è sottovoce, nel silenzio. Ci vuole uno sguardo attento per percepire il non detto, i sensi vanno usati in modo diverso, perché “è negli interstizi dei sensi che si vede la bestialità silenziosa”. Ed è proprio qui che lo spettatore può diventare “bestiale”…

 

Adottando l’ultimo concetto messo in campo da Simone Frangi, il “corpo utopico” preso in prestito da Nicoletta Coldimani e che nel lavoro di Mercedes sta proprio in questo seguire nella migrazione delle componenti e nel sottrarsi alla visibilità e al controllo acustico. L’immagine sono i versi poetici a parlare di diversità come perversione. Mi viene da pensare all’universo che si serve del di-verso nel farsi per-verso, volendo giocare con le parole. Perversione nel senso di una differenza da nascondere perché malvista dalla società e per essere accettata deve essere codificata come al di fuori di essa. Censurata. Senza dilungarci arriviamo subito al punto, ossia alla perversione nel senso di necro-politica, dove rientra la spettacolarizzazione della strega, i roghi (cosa è se non necro-politica, il bruciare un corpo, umano, letterario, artistico, esso sia?).

 

C’è un altro aspetto che si mette in evidenza, la pratica artistica come forma di lotta sociale, quella di Mercedes, ma dove entra in campo anche il rogo come atto educativo per il popolo. Così come Simone Frangi conia la definizione di “ortopedia della identità” per parlare di un sistema dell’arte in cui da un lato una pratica artistica è accettata, da un altro è considerate esotizzata, esogena, proveniente da altre dimensioni, o persino inaccettabile. Per Mercedes un aspetto importantissimo, emerso enormemente proprio lavorando al Museion, dove I border del suo Bestiario non erano mai chiari ma l’istituzione ha seguito con pazienza e grande capacità di adattarsi a un progetto bestiale di un’argentina con cittadinanza italiana, cresciuta in un paese dove c’erano stati tanti morti nel corso del processo di nazionalizzazione di una colonia e che si era posta la questione di cosa significhi mostrare questo suo Bestiario nella stessa Argentina, in Italia e un domani forse in Olanda o altrove…


Andando forse – tutti - all’insegna di una riscrittura della Storia all’insegna del non-detto alla scoperta del sommerso, del di/verso, del per/verso, che così forse potrà emergere, paese per paese, assumendo forme diverse, silenti, più o meno bestiali, minimali e astratte, creandosi nelle sfere delle sensibilità di ognuno e ognuna per elaborare – finalmente – un tempo che fu per creare un tempo che sarà affinché possiamo vivere il tempo che c’è – in pace con noi e tra noi. Senza più roghi e/o virus. A caccia di farfalle…