“Torniamo alla vita reale”
“Siamo un gruppo di genitori, insegnanti, rappresentanti del mondo civile, e vorremmo sottoporre all’attenzione di tutti i membri del nostro consiglio provinciale alcune importanti considerazioni per quanto riguarda il futuro della scuola”. Comincia così la lettera, redatta in forma di petizione, che un gruppo di cittadini – tra gli attivisti principali possiamo nominare Francesca Monorchio e Barbara Bussani, che si definiscono semplicemente “mamme” – ha indirizzato al presidente della Provincia Arno Kompatscher, per destarlo dal “sonno dogmatico” che sembra essersi impossessato delle istituzioni allorché queste tenderebbero a favorire, quasi di default, l'uso della didattica a distanza introdotta in seguito ai provvedimenti che hanno reso di fatto impossibile la normale frequenza delle scuole.
Il concetto di assembramento deve essere riletto in termini positivi
“Questa iniziativa – ci spiega Monorchio – è nata sull'onda di quella partita in Trentino circa tre settimane fa. Il nostro scopo è semplice: vogliamo dare voce a genitori, educatori, ma anche semplici cittadine e cittadini (come siamo noi), per esprimere il nostro malcontento sulle decisioni prese per bambini e ragazzi (scuole, attività sportive, centri di aggregazione). È un'iniziativa spontanea, ripeto, che stiamo diffondendo sui social e WhatsApp”.
Il passaggio centrale della lettera/appello mette sotto accusa la pratica della didattica a distanza con queste parole: “I bambini, i ragazzi e i giovani non conoscono e non dovrebbero conoscere il distanziamento sociale, che implica una lontananza non solo fisica, ma anche umana dagli altri. Una distanza innaturale, che non fa parte di ciò che caratterizza ogni essere umano. Vogliamo parlare del concetto di assembramento in termini positivi, perché i bambini naturalmente si assembrano, per fortuna lo fanno. In maniera innata si avvicinano, ricercano contatto, abbracciano le persone che sentono vicine, ricercano conforto, e poi si scambiano oggetti, giochi e si parlano a distanza ravvicinata. Noi non riusciamo a immaginare una scuola, né un mondo, in cui tutto ciò non accada, neanche per un periodo limitato di tempo, perché creare un’abitudine di questo tipo, è molto rischioso, soprattutto in bambini che si apprestano ad affacciarsi alla vita”. Conseguentemente, la proposta configura un modello scolastico che non presuppone alternative a quello sinora conosciuto, o per meglio dire ne propone una che gli estensori della lettera ritengono sia stata adottata in alcuni paesi del Nord Europa, come la Germania e la Danimarca: “Possiamo partire dagli edifici. Le nostre scuole spesso hanno aule inutilizzate, che possono essere riabilitate. Hanno giardini o spazi all’aperto, che possono essere resi agibili! Il denaro può essere investito nella scuola per ripensare gli spazi, non solo per investire nella tecnologia. Nel nostro ricco Alto Adige abbiamo a disposizione grandi spazi immersi nel verde, che si prestano molto bene per meravigliose lezioni all’aperto. L’ambiente esterno è ricco di stimoli per apprendere. Possiamo ripartire dalla natura, per aiutare i nostri giovani a conoscere e sperimentare i luoghi in cui vivono, per apprezzare e valorizzare la ricchezza racchiusa nel mondo che ci circonda”.
La didattica a distanza ha trattato i nostri figli alla stregua di untori
Tra le righe traspare così una critica radicale alle scelte sinora operate a livello nazionale, che (almeno) non si vorrebbero veder applicate nella nostra provincia: “La didattica a distanza ha tolto la vita ai nostri figli, trattati alla stregua di untori. Si dovevano isolare gli ammalati e si è finiti con il recludere i sani. È come se un'ipnosi collettiva ci avesse fatto dimenticare che le persone si ammalano da sempre, e che questo rafforza il loro sistema immunitario. La salute si può garantire, al contrario, favorendo il movimento, i rapporti sociali, e insomma tutte le attività che si possono svolgere solo in presenza”.
Vi siete dimenticati di quando eravamo bambini?
Le promotrici e i promotori di questa azione – che ha preso il nome di “Petizione a favore di una scuola reale” – ignorano volutamente la contraddizione che ha schiantato la società in questi ultimi mesi (la salute generale può essere sacrificata in nome del ripristino di pratiche sociali che non contemplino il distanziamento?), dato che per loro, semplicemente, la salute non solo presuppone, ma si identifica con il contatto sociale (e gli eventuali rischi fanno parte della “vita”). Tutto quindi ruota intorno alla domanda: “Vi siete tutti dimenticati di quando eravate bambini?”. E la risposta è perentoria: “Dobbiamo rimettere la pedagogia al centro dei nostri pensieri insieme all’educazione civica, alla formazione completa dei cittadini di domani. Vogliamo inoltre affrontare la gravità del problema di tutti i bambini con bisogni educativi speciali, con un piano educativo individualizzato, che la didattica a distanza sembra aver completamente dimenticato. Può darsi che essa sia stata utile a mantenere un minimo contatto in questi mesi, ma non è sufficiente, perché questa modalità di relazione non è reale e non può essere accettata nella normalità”.