Politics | Doppio passaporto

Patriottismo e razzismo in Sudtirolo

Esistono ancora i veri patrioti che hanno contribuito a combattere il fascismo?
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Scacchi
Foto: upi

In un libro che molti politici locali dovrebbero iniziare a leggere intitolato "Identity and Violence: the Illusion of Destiny", Amartya Sen, uno dei più importanti pensatori del Novecento, scriveva: “l’attribuzione organizzata di un'identità può preparare il terreno per persecuzioni e lutti.” Per attribuzione organizzata di un’identità, Sen, che prima di trasferirsi in Gran Bretagna aveva vissuto da bambino il dramma del conflitto indiano pakistano, si riferisce a quel complesso insieme di processi e istituzioni che inducono gli individui a considerarsi diversi dagli altri in nome dell'appartenenza a una lingua, etnia o cultura. L’idea di potere condividere un comune passato e una comune cultura di per sé non è negativa. Tutti quanti amiamo sentirci parte di un mondo più vasto di noi in cui ci riconosciamo come membri. I patrioti evocano spesso la cura dei riferimenti culturali e sociali di un territorio come un valore morale di cui aspirano a diventare alfieri. Il problema è che quando le identità sono esaltate soltanto in nome di una presunta comunanza di storia, lingua, o cultura, il confine tra patriottismo e razzismo diventa labile e è molto facile sia reso invisibile. Il tema in provincia di Bolzano è affrontato storicamente con difficoltà. Siccome il benessere economico cresce, la qualità della vita è alta e tutti stanno bene perché mai del resto andare a infilarsi in un tunnel in cui l’aria potrebbe uscire così nauseabonda? E’ meglio continuare a parlare di patrioti e patriottismo. Anche se le facce di chi si proclama a alta voce difensore della Heimat non sono così rassicuranti. La questione del doppio passaporto ci offre la possibilità di scavare nella melma e di squarciare quel tenue velo misto di ambiguità, ipocrisia e convenzionalità di cui esplicitamente si fa così fatica a parlare. Le origini del dibattito sono note, così come noti sono i due autori: i parlamentari SVP Brugger e Zeller gli stessi che una decina di anni fa venivano ritratti in copertina di un numero della FF con il sottotitolo “quelli che giocano con il fuoco”. Prendendo spunto dalla concessione della doppia cittadinanza a circa 20000 cittadini di origini italiane istriani e dalmati da parte del governo Berlusconi, Brugger e Zeller iniziarono a preparare il terreno della richiesta del doppio passaporto. Di per sé la doppia cittadinanza non può essere considerata un tabù. I confini sono costruzioni politiche che possono avere una funzione sia di integrazione e collaborazione che di conflitto e oppressione. L’ideologia neonazionalista che si sta diffondendo in Europa in Austria ha trovato però purtroppo un humus fin troppo fertile. Il doppio passaporto è diventato così un grimaldello per rimarcare un’idea di unità di popolo che riemerge da un passato buio e solo parzialmente elaborato. Degni del nuovo passaporto secondo i neonazionalisti austriaci e i cosiddetti patrioti locali, sarebbero solo i membri dei gruppi tedesco e ladino, mentre gli italiani anche se con radici genealogiche tirolesi ne verrebbero esclusi così come esclusi sarebbero anche tutti gli altri cittadini italiani e stranieri nati in provincia. L’idea di cittadinanza che emerge dallo sguardo tra il fiero e l’ottuso dei vari sostenitori della proposta non è certo una visione europea della cittadinanza come vorrebbero fare intendere i vari Zeller, Achammer e Kompatscher. Il richiamo alla funzione di difesa della minoranza tedesca e ladina da parte della madre patria Austria, serve a riempire la bocca della nuova classe politica sudtirolese di parole che suonano drammaticamente vuote. Per logica, se la concessione del doppio passaporto va intesa come atto di riparazione dell’annessione del 1918, tutti i discendenti dei vecchi tirolesi tedeschi ladini e italiani dovrebbero avere diritto se interessati alla nuova cittadinanza. Se invece il doppio passaporto dovesse servire nel vero spirito europeista come ponte tra i popoli per costruire un futuro di pace e condivisione non solo i discendenti dei vecchi tirolesi, ma tutti gli abitanti delle provincie di confine dei paesi europei andrebbero considerati come possibili candidati di un doppio passaporto oggi, per arrivare un domani a un passaporto europeo definitivamente sostitutivo dei documenti nazionali. Selezionare i titolati alla nuova cittadinanza in base alla lingua e all’etnia fa sprofondare così il dibattito nel fango del più becero neonazionalismo etnico e del più torbido pensiero razzista. Perché allora utilizzare la parola patrioti quando si parla di razzisti? Perchè continuare a essere indulgenti con persone che spargono il veleno della divisione in una società che cerca da decenni di risollevarsi dal dramma dell'annessione e del Ventennio fascista? La risposta purtroppo è che la distinzione tra patriottismo e razzismo richiede una capacità di riflessione che le strutture, le istituzioni e la stessa architettura della cosiddetta Autonomia non sono state fino a oggi in grado di promuovere e metabolizzare. In una società dove l’appartenenza etnolinguistica continua a essere a quaranta anni dalla approvazione del Pacchetto il dominus della vita civile, economica e politica, le divisioni sono categorie instillate direttamente nella testa delle persone dal momento della nascita. Si cresce in questa terra già da piccoli con la convinzione che prima di esistere altri bambini, altri ragazzi, altri adulti vi siano i tedeschi e gli italiani (e per comodità i ladini). Quando i politici locali parlano senza accorgersene continuano a fare riferimento a queste categorie. “Dobbiamo parlarci tra italiani e tedeschi” “Dobbiamo difendere le identità di italiani e tedeschi” eccetera. Nel surreale mondo costruito attraverso questo linguaggio, è la realtà stessa a rischiare di non essere più percepita e compresa nella sua interezza. Sono le persone che devono andare d’accordo, i singoli che devono riconoscersi come simili, gli individui a ampliare e migliorare il proprio portafoglio linguistico per comunicare con i propri vicini. Il sentirsi tedeschi o italiani può integrare ma mai sostituire il sentimento dell'essere prima di tutti esseri umani che condividono un medesimo spazio vitale, un presente comune e un destino tragicamente eguale. Quando un intero sistema si dimentica che le persone hanno identità multiple e che il mondo non può essere diviso in base a categorie semplicistiche e manichee, la cura delle tradizioni diventa escludente, la difesa della patria assume lo status di dogma ottuso e ringhiante, il diverso è osteggiato in base a criteri di natura ascrittiva e morale. Il patriottismo da virtù diventa vizio, da stato psicologico positivo, malattia. Il capolinea è quello sotto gli occhi di tutti in questi giorni natalizi: è benvenuto il turista che porta i quattrini, mentre stigmatizzato e rifiutato eè il profugo che chiede un riparo dal freddo e qualcosa con cui sfamarsi. Dove può portare un sistema politico strutturato su queste basi non è difficile da prevedere. Anche se moralisti e benpensanti continuano a decantare le lodi dell’autonomia migliore della terra, la sensazione è che il Sudtirolo sta andando dritto a sbattere verso quel muro contro cui ogni sistema che misura il senso di appartenenza dei suoi membri solo sulla base della razza è destinato prima o poi a deflagrare. Non sono tanto i Pahl, i Lang o le Eva Klotz con il loro armamentario da film horror a fare paura. E' avere alla guida del partito di raccolta, non più il vecchio, autentico, patriota Silvius Magnago ma un giovane arrembante che è stato capace di perdere in pochi mesi tutti i punti della patente, a rischiare di essere una garanzia che il tonfo prossimo venturo farà male a molti.