Cinema | salto weekend

I vitelloni tornano al cinema

In sala il 28 febbraio a Bolzano il film che segnò la rivalsa di Fellini. Ritratto della mediocrità giovanile tra citatissime pernacchie ai lavoratori e speranze di fuga.
I vitelloni
Foto: Screenshot

Era il 1953 e fu l’anno della rivincita per Federico Fellini. Alla Mostra del Cinema di Venezia si presentò con I vitelloni e vinse il Leone d’oro riscattandosi dopo il flop de Lo sceicco bianco con Alberto Sordi, il primo film (che oggi è un cult) a firma solo sua. Nel 1954 con La strada arriverà anche la consacrazione internazionale.
Fellini è stato infatti nominato 12 volte al premio Oscar e ne ha vinti quattro per il miglior film straniero: La strada, Le notti di Cabiria, e Amarcord. Poi la statuetta del 1993 alla carriera. Indimenticabile quel “Thank you, dear Giulietta, and please, stop crying!” di Fellini dal palco dell’Academy, rivolto alla moglie visibilmente commossa.

Federico Fellini riceve l'Oscar alla carriera nel 1993

 

La buona novella è che domani, lunedì 28 febbraio, verrà proiettato, nell’ambito della rassegna ospitata dalle multisale del Circuito UCI Cinemas (Bolzano compresa), il film con cui Fellini riuscì di nuovo a scritturare Sordi, anche se i produttori non vollero il nome dell’attore romano né sulla locandina né nei titoli di testa delle prime venti copie.
Proprio la sequenza in cui Sordi, in macchina con degli amici, sbeffeggia un gruppo di operai gridando “lavoratoriiii” seguito da una pernacchia e dal gesto dell’ombrello, è diventata una delle più iconiche, non solo de I vitelloni ma del cinema italiano tout court. Quando si dice il karma.


 

L’occasione di rivedere I vitelloni - un film che come ha detto Martin Scorseseha un’intimità alla quale [Fellini] non è mai più tornato” - su grande schermo è imperdibile.
Fellini ha assorbito le lezioni del neorealismo; il film semi-autobiografico - scritto insieme a Ennio Flaiano con le musiche di Nino Rota - ruota intorno alle vicende di cinque amici sui trent’anni, scapestrati e viziati, Moraldo, Alberto, Fausto, Leopoldo e Riccardo, i cosiddetti vitelloni, “i disoccupati della borghesia”, amanti dell’ozio e del gioco, che vivono a casa con mammà e che sperano di fuggire dalla loro squallida città di mare, la Rimini del dopoguerra che il regista romagnolo ricreò ad Ostia. Un film agrodolce, nostalgico e ironico, sulla mancanza di scopo della giovinezza e le sue aspirazioni velleitarie, sulle piccolezze umane, sul (non) crescere e sulla monotonia della vita. L’inadeguatezza dell’uomo a stare al mondo, che risulta inevitabilmente familiare.

È il più convenzionale tra i lavori del maestro, sebbene alcune scene come quella del carnevale, con Alberto che vaga ubriaco, ossessionato dal testone di un clown, con quella fortissima tromba che suona, siano un preludio al Fellini che verrà. “Perché faccio I vitelloni? Dunque - spiegò il regista - io volevo realizzare La strada che mi sembra il mio film e quando l'avrò fatto potrò ubbidire a tutti gli ordini e a tutti i desideri, ma ho avuto un sacco d’intoppi. Strano, perché è un copione semplice che non dovrebbe spaventare alcun produttore. Comunque, rimandato La strada a primavera, qualcosa bisognava ben fare, e allora mi è venuta la tentazione di giocare ancora uno scherzo a certi vecchi amici che avevo lasciato da anni nella provincia dove sono nato”. Una visita guidata negli anni ’50. Approfittatene.