I proiettili di Sarajevo
Nel suo libro più bello, Claudio Magris parla delle macchie di sangue rapprese sulla giubba azzurra dell'arciduca Francesco Ferdinando. Il reperto è custodito nel Museo storico dell'esercito, a Vienna, e la sua visione suggerisce allo scrittore triestino considerazioni amare, estese al presente (un presente che però è per noi diventato già distante, in quanto Danubio fu pubblicato nel 1986). “La ferita di quel 28 giugno 1914 è ancora aperta, per tutta l'Europa. Può darsi debba disastrosamente chiuderla una terza definitiva catastrofe, perché due guerre mondiali non hanno sostituito stabilmente l'equilibrio scosso a Sarajevo. (…) Quelle macchie ricordano anche che niente passa, che le cose sono, che nessun momento significativo della nostra vita viene archiviato”.
In realtà non è proprio così. Sono molte le cose che passano, tracce sempre più lievi nella nostra memoria. Ma è chiaro che alcuni eventi si lasciano, per così dire, digerire più difficilmente di altri. I rigurgiti sono sempre possibili e, anche se poi riusciamo a metabolizzarli, non è scontato che poi quegli eventi non ci avvelenino a lungo il sangue, negandoci il possibile nutrimento di cui potrebbero essere comunque considerati portatori (fra parentesi, è lo stesso Magris a suggerire la metafora organica del metabolismo a proposito del nostro modo di ricordare, e scordare, le cose: “Il Menu di Francesco Ferdinando, in quel 28 giugno, comprendeva Consommé en tasse, Oeufs à la gelée, Fruits au beurre, Boeuf bouillé aux légumes, Poulets à la Villeroy, Riz Compote, Bombe à la Reine, Fromage, Fruits e Dessert”).
Thomas Widmann, che apprezza la haute cuisine (a Merano non è raro incontrarlo al Ristorante Sissi, luogo in cui rifulgono soffusi bagliori da Belle Epoque) ed è sicuramente dotato di una buona digestione, in questo giorno di rimembranza solenne ha perciò posato la forchetta, ha impugnato la penna e ha commemorato così quel tragico evento.
Esattamente 100 anni fa sparò Gavrilo Princip: i proiettili raggiunsero già dopo un paio di metri l'erede al trono d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e sua moglie, uccidendoli; ma volarono anche oltre, colpendo dritto al cuore la vecchia Europa.
Quella che doveva essere una breve campagna militare, con cui chiudere un paio di conti aperti e da cui tornare vincitori prima di Natale, finì - dopo inimmaginabili sacrifici - nel totale esaurimento delle parti in guerra e in un nuovo ordine mondiale. L'Austria disgregata, la Germania rovinata, la Russia che avviava il suo esperimento bolscevico, l'Inghilterra e la Francia indebolite e l'America come nuova potenza egemone: il terreno era pronto per il noto sviluppo nel XX secolo.
Tutto può accedere così in fretta: questo è uno degli insegnamenti.
Le forze motrici che hanno portato a questa catastrofe erano le grandi ideologie dell'epoca, cioè nazionalismo, materialismo marxista, razzismo etnico: questo è l'altro insegnamento.
E anche per la nostra terra, il Tirolo centrale, fu preparato il terreno.
Il vecchio Stato multietnico è annientato: per errori propri, certo, ma troppo potenti furono le forze cui era esposto. A molte nazionalità del vecchio Regno non è andata meglio, dopo la sua caduta, e anche noi abbiamo avuto bisogno di tanto tempo per tornare ai diritti che nel periodo imperial-regio erano ovvi.
Probabilmente, però, popoli e Stati hanno dovuto prima sperimentare i limiti della loro autorealizzazione nazionale, per unirsi volontariamente su una nuova base nell'Unione Europea: in questo modo l'Europa avrebbe faticosamente di nuovo raggiunto, dialetticamente, un gradino più alto.
E, in piccolo, anche l'Alto Adige.
Almeno, così speriamo!