Il suono di una mano sola
Se due mani battendo una contro l’altra producono un suono, qual è il suono di una mano sola?
Pierluigi Mattiuzzi sembra voler giustificare con questo koan la propria posizione nel mondo dell’arte. Il classico quesito zen è tradizionalmente l’inizio di un percorso di meditazione che invita il discepolo a liberarsi delle categorie razionali per approcciarsi alla conoscenza del mondo attraverso lo spirito. Le opere di Mattiuzzi, esposte al Pavillion des Flerures di Merano in una ricchissima monografica che ripercorre tutta la produzione artistica del pittore meranese e funge da contraltare visivo alle Settimane Musicali Meranesi, sfuggono allo stesso modo ad una categorizzazione, anche di merito, rispetto al panorama dell’arte contemporanea, e percorrono una via del tutto personale, assolutamente onesta e visibilmente spirituale.
Ogni opera è un mondo e l’insieme delle opere nello spazio della mostra è un universo densissimo di colori e forme, brulicante e ridondante come è la Creazione, un’intensa visione caleidoscopica distorta.
Un’illuminazione purtroppo non sempre felice disvela di volta in volta soli che divengono mari, lune che diventano colline, piramidi, città, planisferi immaginifici, mappe involontarie, navi e astronavi, come sembrano talvolta i bassorilievi maya, Cleopatre distese che emergono dalle acque del Nilo e si fondono con palazzi solenni, guerrieri danzatori, figure femminili fluttuanti, che si rivelano nuvole e terre tra i fiumi…
Una bulimia visiva che echeggia di primitivismo ed esotismo, di richiami all’Oriente (quando l’Oriente era ancora esotico e l’esotico era ancora fascinazione), rispecchiando tratti della biografia dell’artista, che a lungo ha soggiornato in India per completare, discepolo di maestri spirituali, la propria ricerca. Alcuni lavori sono firmati dalla sua ultima evoluzione spirituale, Satyen, il “portatore della verità”. E sicuramente c’è molta verità personale nelle sue opere, forti di colori acrilici e luminose di una velatura di resina.
Ogni opera, con la sua densità di forme, colore, decorazione, linee e tratteggi, è un mandala che ha certamente condotto l’artista da uno stato meditativo ad una puntuale rivelazione. Ogni opera rimanda ad un totem e sembra volersene assumere la funzione, attraverso simbolismi di semplicità primordiale, fungendo da tramite tra il mondo materiale dell’esistenza e quello immateriale della trascendenza.
Brulicanti, come quando si osserva la terra da vicino, le opere di Mattiuzzi non risolvono tuttavia mai una seppur presente tensione dinamica, rimanendo sospese in un movimento statico, che le rende quasi sospese nel tempo.
Il suono di una mano sola, quella che dipinge, è una sinfonia di mondi, come delle sfere celesti; è l’avvio di un ciclo ininterrotto di domande e risposte per approdare a risposte che non hanno più domande.