Culture | Without Thought

“Design senza pensiero” (dall’oriente con furore)

Sessioni di Tai Chi, laboratori di calligrafia con un tatuatore, tre giorni in un monastero zen all'insegna del silenzio e della convivialità. Il curioso progetto della Facoltà di Design e Arti della Lub.
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Che tipo di formazione deve aspettarsi un futuro studente della Facoltà di Design e Arti alla Libera Università di Bolzano? È presto detto, il modello di lezione frontale viene sostituito da un altro approccio allo studio: gli studenti di una classe, o meglio atelier, lavorano per 6 mesi a un progetto comune. Ognuno di loro individua una sua lettura del “brief”, lo sviluppa, produce un “output” che solitamente è un prototipo in scala 1:1 e alla fine viene presentato il progetto finito in una mostra (che equivale a un esame). Il team di docenti è sempre composto da tre persone che hanno delle competenze diverse. A spiegarci questo curioso iter didattico è il 35enne Simone Simonelli, uno dei docenti della Facoltà di Design che, insieme ad Andrea Maragno e Roberta Bonetti, ha condotto, nel semestre estivo (da febbraio a giugno) relativo all’anno accademico 2014-2015, il progetto “Design senza pensiero”.

Simonelli, ci parli di “Design senza pensiero” (“Without Thought”), di che progetto si tratta?
Partiamo dal team: Andrea Maragno è il project leader, e ricopre il ruolo di una sorta di art director, Roberta Bonetti si occupa di antropologia, esplora con i ragazzi i contenuti teorici a cui fa seguire una ricerca pratica sul campo, io invece insegno il digital model making ovvero come ottenere risultati fisici attraverso nuove tecnologie come la stampa 3D o il taglio laser. In particolare il progetto che abbiamo sviluppato deriva da un approccio filosofico orientale, dal “Without Thought”, appunto, introdotto dal designer giapponese Naoto Fukasawa. Siamo partiti da questa lettura degli oggetti per poi aggiungere tutta un’altra serie di esperienze che hanno a che fare con il tema della riduzione e della pratica.

E cosa c’è alla base di questa filosofia?
La teoria di Fukasawa, che si ispira anche a tutta quella che è la filosofia zen, è questa: un oggetto diventa “senza pensiero” quando è progettato talmente bene da diventare quasi invisibile, nel senso che non ci si accorge razionalmente che lo si sta utilizzando. 

Torniamo al vostro progetto.
Oltre al “Without Thought” ci siamo ispirati anche al design di Dieter Rams, alla teoria del Wabi-sabi che fa dell’imperfezione un valore aggiunto, o anche al concetto di equilibrio fra il pieno e il vuoto. Abbiamo invitato lungo il percorso diversi ospiti: Gianfranco Bertagni, un autore esperto di estetica zen che ci ha illustrato il suo campo di studio e Lupo Horiokami, un tatuatore che ha coltivato la sua tecnica vivendo per 10 anni in Giappone e con il quale abbiamo fatto un laboratorio di calligrafia. Con lui abbiamo lavorato sulla ripetizione del gesto. È intervenuto anche un maestro di Tai Chi, Roberto Galli, con cui abbiamo fatto alcune sessioni di esercizi con lo scopo di lavorare sul corpo. A maggio scorso, poi, siamo stati ospiti di un monastero zen, il Sanboji, situato fra Parma e La Spezia, dove abbiamo fatto tre giorni di meditazione e di pratica consapevole. Da tutti questi input gli studenti hanno poi sviluppato i loro progetti.

Com’è stata l’esperienza nel monastero?
Abbiamo riscoperto il piacere della convivialità e del silenzio, anche perché abbiamo abbandonato per un po’ i nostri “legami social” dal momento che non usavamo i nostri telefoni. Abbiamo lavorato l’orto e fatto dei piccoli lavori manuali che ci riconducevano a una sorta di consapevolezza, uno dei temi chiave di questo nostro lavoro.

E quali risultati hanno presentato alla fine gli studenti?
Con l’aiuto degli input descritti ogni studente si è osservato, come in uno specchio, e ha individuato delle attività, dei gesti che ripete ogni giorno quasi automaticamente. Ad ognuno di loro abbiamo assegnato una parola che aveva a che fare con queste azioni e un oggetto totem. Un esempio: ad una studentessa è stata assegnata la parola “contatto” e come oggetto una calamita. Secondo il principio del “Without Thought” questa ragazza avrebbe dovuto portare sempre dietro questa calamita senza concentrarsi troppo sull’oggetto in sé ma al contrario quasi assimilandola nel suo vivere quotidiano. Curiosamente, senza che noi lo avessimo chiesto esplicitamente, gli oggetti che gli studenti hanno prodotto sono risultati tutti molto piccoli: una penna, un nuovo tipo di pasta, una bussola, una bustina dello zucchero, carte da gioco, eccetera. Tutti avevano lavorato sulla riduzione.

Cosa ne sarà del progetto “Design senza pensiero”, avrà un futuro?
Probabilmente sì, pensiamo a una sorta di progetto 2.0 da mettere in piedi con gli stessi studenti che hanno partecipato al semestre estivo. Stiamo considerando di organizzare una mostra autonoma, non quindi all’interno del circuito universitario bolzanino ma fuori, magari a Milano, chissà.