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Wi-fi libero: una porta troppo aperta?

Riflessione in compagnia di Flavio Pintarelli a proposito della proposta di chiudere gli hotspot free nei parchi di Bolzano per ‘tenere alla larga i profughi’.

L’accesso alla rete è ritenuto ormai un fondamentale diritto di cittadinanza e per questo nelle città tendono a proliferare i luoghi pubblici dove per collegarsi alla rete è sufficiente agganciarsi ad un wi-fi reso disponibile a chiunque, senza la necessità di accreditarsi
Nelle scorse settimane però il processo a prima vista inarrestabile di ampliamento della geografia cittadina wi-fi free è stato frenato dalla constatazione che la presenza di connessioni gratuite in luoghi come parchi e strutture pubbliche di vario genere (Museion, altri edifici pubblici) attira tra gli altri anche un certo numero di ‘profughi’ che come sappiamo da qualche tempo sostano in alcune zone della città. 
In particolare la situazione come sappiamo ha rischiato di precipitare al parco Premstaller dei Piani dove un presunto allarme sociale è stato dalle forze politiche in parte sopravvalutato e in parte sottovalutato, mentre alcuni media in maniera poco accorta si lasciavano andare al facile allarmismo.  
Sta di fatto che il giovane presidente della Circoscrizione Armin Widmann (SVP) ha pensato bene di ipotizzare la chiusura del hotspot wi-fi nel parco per evitare che lo stesso sia così attrattivo nei confronti del profughi che stanziano nella vicina ex caserma Gorio. 
La proposta naturalmente ha suscitato un certa riflessione. L’idea di chiudere gli hotspot per confinare una fascia di ospiti della città in zone ben delimitate sembra essere per molti versi un passo indietro. Anche se, paradossalmente, potrebbe ora crearsi una strana sinergia tra coloro che vedono il wi-fi come il fumo negli occhi per motivi di salute e coloro che invece non lo vogliono per non doversi confrontare con gli effetti bolzanini dell’esodo dei rifugiati. 
Per cercare di chiarirci le idee abbiamo pensato di parlarne con l’esperto di internet e nuovi media Flavio Pintarelli.

Pintarelli, il wi-fi free è una porta troppo aperta per la nostra società locale?
Il wi-fi libero più che una porta, per i rifugiati è un bisogno essenziale. Di fatto una connessione a internet e un device sono gli unici modi che hanno per comunicare con le famiglie e per accedere a informazioni essenziali per chi come loro affronta un viaggio in determinate condizioni. Mappe, orari dei treni, traduttori automatici e simultanei sono tutte cose che stanno dentro uno smartphone e a cui un migrante può rinunciare solo a un costo molto alto. Un presidente di circoscrizione può non sapere queste cose, ma quando fa delle proposte dovrebbe almeno informarsi, credo rientri tra i suoi doveri di rappresentante eletto. Negare il wi-fi libero, a noi che abbiamo vissuto lo sviluppo tecnologico in un certo modo, può sembrare irrilevante; non lo è per chi ha vissuto altre condizioni e altri tempi e modalità di sviluppo tecnologico. La connettività, in questo caso, è un bene essenziale. Capisco che ci possano essere dei problemi a gestire numerose persone che non parlano la nostra lingua e che certe situazioni creino disagio. Ma a memoria non ricordo che negare un diritto abbia mai contribuito a risolvere un problema. Piuttosto ne causa altri e più grossi. 

La città di Bolzano è all'avanguardia in Italia/Europa quanto a wi-fi free?
Bolzano, come il resto d'Italia, non è particolarmente all'avanguardia in questo campo. Per anni la cultura del wi fi libero è stata frenata da una legge demenziale che imponeva l'identificazione di chi si connetteva per delle nebulose esigenze "antiterrorismo". Da due anni, con il cosiddetto Decreto del Fare questa limitazione è caduta. Ma quanto a diffusione siamo ancora parecchio indietro rispetto al resto d'Europa e del Mondo. Oggi l'accesso alla rete in luoghi pubblici o esercizi commerciale è uno standard praticamente ovunque, fatta eccezione per una manciata di stati autoritari.

La rete negli scorsi anni è stata sinonimo di democrazia, libertà ed anche liberazione. Anche e soprattutto sul l'altra sponda del Mediterraneo. È ancora così? Per molti la rete deve essere senza rete cioè libera il più possibile. Qual è il senso profondo del regolare la rete? C'è n'è davvero bisogno?
La rete è un'infrastruttura e in quanto tale non è mai stata libera, ma sempre soggetta al controllo di una qualche forma di potere. Al suo interno si possono creare spazi di libertà, linee di fuga dai dispositivi e forme di resistenza, com'è successo durante le Primavere arabe. Ma la libertà non è una caratteristica ontologica di internet. Regolare la rete significa poter esercitare un potere enorme sia in termini strategici che in termini di controllo delle informazioni. Di questo gli stati nazione si rendono conto benissimo, tanto che in The New Digital Age, il libro che Jared Cohen ed Eric Schmidt - rispettivamente esperto di cybersecurity e CEO di Google - hanno scritto insieme, si parla di una balcanizzazione della rete. Intendendo con questo termine la creazione sempre più frequente di protocolli e infrastrutture di rete nazionali, separate dal resto del mondo. È quello che, ad esempio, succede in Cina ormai da diversi anni.

L'ingresso del Parco Premstaller in via Esperanto a Bolzano