Society | Analisi
Hauptsätze e Nebensätze
Foto: upi
Frasi principali e frasi secondarie. Secondo molti, i nazionalisti, i sovranisti e in generale tutti i populisti vincono perché parlano per Hauptsätze, lanciando messaggi chiari e univoci. Coloro che invece si sforzano di considerare la complessità del mondo sono destinati a perdere perché devono distinguere, specificare, contestualizzare e magari ammettere le proprie lacune: troppi Nebensätze, troppo complicato, chi ti ascolta perde il filo.
Questa tesi parte da una valutazione assai severa del livello medio di consapevolezza delle nostre società, che fino a ieri credevamo saldamente civili e democratiche. Detto in parole povere: saremmo collettivamente instupiditi, tanto da non riuscire a seguire ragionamenti complessi e da abboccare alle narrazioni che più ci convengono. C'è del vero in questa spiegazione, se non altro perché i social media impongono alla comunicazione modi e tempi che non sopportano ragionamenti complessi. Peraltro, i leader politici diventano tali proprio trovando parole convincenti. Winston Churchill “prese la lingua inglese e la scagliò contro la Germania nazista”: anche per questo è entrato nella storia. Eppure, riconosciuta tutta l'importanza dell'arte della persuasione, bisogna ribadire che non è la retorica, per quanto brillante, a determinare la politica.
Si è inceppato il meccanismo che ha retto dal dopoguerra ad oggi le società occidentali, quella condizione sociale ed economica che permetteva se non a tutti, alla maggioranza delle persone, di poter avere un futuro migliore del presente.
La politica non si spiega neppure con la psicologia. Molti osservatori interpretano il successo dei populisti tirando in ballo l'età del rancore. Ne scrive Alessandro Baricco in un intervento con molti spunti interessanti. È evidente che nel corpo sociale questo sentimento c'è, non solo nei confronti di una parte della classe politica (un'altra se ne tiene abilmente a riparo), ma in generale delle élite, dei professionisti, degli scienziati, degli intellettuali, degli amministratori, di chi nei ruoli più diversi e con maggiore o minore visibilità, influenza e responsabilità ha diretto il paese. Bisogna chiedersi il perché di questo rancore. Lo sappiamo che è un sentimento negativo, che obnubila la ragione, che fa male prima di tutto a chi lo cova. Ma se è così diffuso e tenace, delle cause ci devono pur essere.
La principale a me sembra la seguente. Si è inceppato il meccanismo che ha retto dal dopoguerra ad oggi le società occidentali, quella condizione sociale ed economica che permetteva se non a tutti, alla maggioranza delle persone, di poter avere un futuro migliore del presente. Giunti a questo punto, un bilancio si può azzardare: indipendentemente da chi fossero governate - conservatori o progressisti, come si potevano definire allora - le società occidentali hanno garantito reali chances di avanzamento ai loro cittadini. Discorsi populisti, nazionalisti o razzisti, infarciti di Hauptsätze, se ne sono sempre sentiti; ma se non suscitavano gli applausi che riscuotono oggi non è perché allora fossimo più intelligenti. È che il patto tra sistema e cittadino funzionava: tu fai il bravo, studi, impari una professione, lavori, paghi le tasse e la previdenza (e se nutri rancore lo sfoghi in modi compatibili); in cambio hai scuola, ospedali, assistenza pubblica, infrastrutture, servizi, la pensione; puoi esprimere liberamente le tue idee e impegnarti a cambiare le leggi, nel rispetto delle regole e procedure; puoi tentare un avanzamento sociale e se ti impegni hai buone possibilità di successo.
Discorsi populisti, nazionalisti o razzisti, infarciti di Hauptsätze, se ne sono sempre sentiti; ma se non suscitavano gli applausi che riscuotono oggi non è perché allora fossimo più intelligenti.
Finché questo patto funziona, finché vediamo e crediamo nella prospettiva di migliorare la nostra condizione, siamo disposti a chiudere un occhio (spesso anche due) su molte ingiustizie, inefficienze, prepotenze. Infatti, gli antagonisti e i rivoluzionari che promettevano di cambiare il mondo, trasformare la vita, “innervare l'utopia nella realtà” e emancipare gli oppressi, nonostante le loro suggestive Hauptsätze avevano assai poco seguito. E quando è venuto il loro turno hanno fallito. Il corpo sociale sapeva e sentiva che il sistema non era poi così male e questo è stato il collante che lo ha tenuto insieme.
Si è rotta la fiducia nel domani, come dice il sociologo Giuseppe De Rita, e probabilmente qualcosa del genere sta avvenendo anche negli altri paesi dell'Europa comunitaria. Il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2018 riporta dati significativi in proposito. Meno di un quarto degli italiani (il 23%), ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: è la quota più bassa di tutta la Unione europea. Due terzi di noi guardano al futuro con paura o incertezza. Per reazione, dice il rapporto, diventiamo non solo rancorosi, ma “cattivi”; ci inganniamo nel percepire la realtà (nulla di strano nel nostro paese, dove chi la nega passa per saggio), crediamo alle soluzioni facili, individuiamo nemici, ci esaltiamo in preda a un “sovranismo psichico”: definizione che ben descrive molti comportamenti collettivi e individuali nell'Italia di oggi.
Il paese che noi adulti, alle soglie della terza età, consegnamo ai nostri figli è peggiore di quello che abbiamo ereditato dai nostri padri. È questa la radice del rancore e della “stupidità” che ci rende insofferenti alle Nebensätze.
Volendo essere polemici, si può attribuire la responsabilità ultima di questa situazione alle élite. Non quelle che hanno ricostruito l'Europa distrutta dalla guerra, ma quelle dei loro figli, nati durante il boom economico, divenuti classe dirigente negli anni '70 e '80, oggi in uscita o già usciti dal mondo del lavoro. Non ne faccio una questione di schieramento politico e so bene che milioni di persone hanno lavorato e lavorano in modo onesto e serio: non siamo tutti corrotti e fanfaroni. Forse è più giusto metterla sul piano generazionale. Il paese che noi adulti, alle soglie della terza età, consegnamo ai nostri figli è peggiore di quello che abbiamo ereditato dai nostri padri. È questa la radice del rancore e della “stupidità” che ci rende insofferenti alle Nebensätze.
Si dirà che non si possono fare confronti. Nel dopoguerra c'era un paese da ricostruire, le famiglie facevano figli, i consumi crescevano e con essi il Pil, a cifre oggi inimmaginabili; protette dai confini e dalle politiche nazionali, l'economia e la produzione consentivano una certa pianificazione e progettazione; c'era sicurezza, fiducia, il patto funzionava. Oggi dobbiamo fare i conti con la globalizzazione, l'informatizzazione, la digitalizzazione: i capitali si spostano e così le persone, le fabbriche chiudono o si trasferiscono, la concorrenza internazionale mette fuori gioco interi settori produttivi, il lavoro a tempo indeterminato scompare, la società invecchia, le richieste di prestazioni sociali e assistenziali aumentano. Tutto vero. Però la conclusione non cambia: le sfide del tempo sono quelle che sono, per ogni generazione; le risposte che abbiamo dato noi sono insufficienti.
Se vuoi capire cosa avviene in una società, guarda alla sua economia.
Prendendola alla larga invece, si può ricordare il vecchio Marx e in particolare la sua teoria della struttura e sovrastruttura. Se vuoi capire cosa avviene in una società, guarda alla sua economia, al suo “modo di produzione”, alla sua struttura; è questa che determina la sovrastruttura, l'impalcatura istituzionale e politica e in definitiva tutto il sistema. Questo mi è sempre sembrato un ragionamento chiaro e convincente, anche se fatto di Nebensätze. La struttura del mondo è cambiata, il vecchio sistema sta franando, chissà cosa ci riserva quello nuovo.
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