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Chi era Theodor Fischer?

Inaugurata una mostra alla stazione di Merano che ripercorre il piano urbano nelle vicinanze e i dettagli di costruzione della Knabenschule di Lana
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Foto: Elfi Reiter

Scommetto che nemmeno tanti architetti che dovrebbero saperlo potrebbero rispondere a questa domanda. Theodor Fischer è stato un grande architetto nel periodo a cavallo dei due secoli, Ottocento e Novecento: originario della Germania è stato attivo anche in Alto Adige, redigendo una parte del Nuovo Piano Urbanistico per l’ampliamento della città di Merano e curando il progetto e la realizzazione della Knabenschule di Lana. L’occasione per conoscerlo è una mostra allestita nella stazione di Merano e inaugurata martedì scorso (visitabile fino al 31.12.2020), contemporaneamente a quella nella cittadina di Hall nel Tirolo, alle Poste locali. Entrambe sono a cura di Horst Hambrusch, e ideate nonché promosse da Wittfrieda Mitterer, presidente del Kuratorium für Technische Kulturgüter Südtirol in collaborazione con altri enti e istituti.

 

Lungo lo spazio antistante il primo binario sono appesi una serie di pannelli che ne descrivono vita e attività, ma soprattutto il pensiero di Theodor Fischer, architetto che era – come ha sottolineato Mitterer nella sua presentazione – di una particolare sensibilità, attento al dettaglio e all’insieme, così come al contesto più ampio che include l’ambiente. Spezza una lancia a favore dei suoi disegni, Mitterer, donna che lavora da anni con passione attorno a progetti simili per divulgare il pensiero inclusivo dell’architettura, criticando la generazione di architetti e di politici che ci hanno costretto da anni a vivere in una “marmellata di cemento”: le nostre periferie nelle città, più o meno grandi. Partorite per lo più grazie alle pianificazioni e ai disegni generati con l’aiuto dei computer, illeggibili a volte persino da parte di chi è del mestiere, mentre i disegni recuperati di Fischer - realizzati tutti per i vari grandi committenti dell’epoca - trasmettono una profondità molto elaborata per quanto riguarda la pianificazione di ogni singolo edificio, nonché ampie riflessioni per quanto riguarda tutto ciò che si trova(va) nei dintorni, con dovizia di note e informazioni al riguardo. Comprensibili da chiunque, anche al giorno d’oggi, oltre cento anni dopo.

L’invito è quindi soprattutto ai giovani architetti e ai politici responsabili di consultare tali documenti per apprendere dal passato e poter ripensare un futuro vivibile, a misura d’uomo. Va in questa direzione anche il discorso introduttivo di Paul Rösch, sindaco uscente della cittadina sulle rive del Passirio, diventata una metropoli del turismo circa duecento anni fa e sempre in grado di “tirarsi fuori dalla melma con le proprie forze”. Merano, città giardino – è il nuovo slogan per la città delle Terme, la città delle cure, la città aperta alle più varie differenze sul piano etnico, religioso, culturale, eccetera. Rösch, un tempo direttore del Touriseum, sa di cosa parla quando fa un breve excursus della situazione di Merano nel periodo tra Ottocento e Novecento, quando furono eretti i Grandi Alberghi, periodo nel quale, poi, a seguito della scoperta della penicillina da parte di Robert Koch, il turismo di cura per coloro che soffrivano di tubercolosi era andato a picco e Merano aveva saputo riscoprirsi grazie alle cure Terrain, ovvero il movimento fisico all’aria aperta. Non più semplicemente starsene seduti sui balconi a respirare l’aria pulita, bensì camminare per guarire e aumentare il benessere. Così nacquero le famose Passeggiate lungo il fiume e la ancora più famosa Passeggiata Tappeiner, e ora, in tempi di post-Covid-19 la città di cura saprà un’altra volta reinventarsi ampliando le già esistenti passeggiate interconnettendole tra di loro, ampliando le piste ciclabili e i marciapiedi per creare spazio a pedoni e ciclisti per muoversi in città e fuori. Così come il sindaco ha voluto porre un segno concreto di ringraziamento alla cittadinanza intera affiggendo in giro per la città enormi manifesti con splendide immagini di angoli idilliaci (fotografati da Damian Pertoll, che le ha messe a disposizione gratuitamente) con su scritto un semplice “Merano dice: grazie!”.

L’inaugurazione della mostra è avvenuta nella hall della stazione di Merano, interrotta di tanto in tanto dagli annunci dei treni in partenza o in arrivo, rendendo il tutto ancora più vivo e più vivido nel senso che una stazione – come ha sottolineato Daniel Alfreider, assessore provinciale alla mobilità – è il luogo simbolo dell’andare e tornare. Dell’incontrarsi. Certo, oggi, tutti dotati rigorosamente di mascherina, come tutti i presenti, tanto da stimolare Gerd Staffler, giornalista storico del Tagesschau in lingua tedesca sin dal lontano 1966, qui in veste di moderatore, a fare la battuta: “sembriamo tutti a far parte della Banda Bassotti di Topolino!”.

Poi anche lui ha indicato lo spirito di apertura di Merano e dintorni, dove in breve tempo sono state costruite una chiesa evangelica e una sinagoga, dove nel 1906 era nato un Theater-Express che collegava il teatro Puccini di Merano a Lana, allora il paese più grande vicino, da dove a sua volta partiva quell’Apfel-Express che conduceva le casse piene di mele fino alla stazione del treno di Postal per portarle da lì in tutta Europa. Perché la linea ferroviaria arrivò presto fino a Merano, collegata con la linea del Brennero, essendo la meta a sud delle Alpi ambita già da tempo e ci voleva un mezzo pubblico che portasse i turisti in città. Personaggi famosi o sconosciuti, artisti e non, come Franz Kafka (di cui si compie quest’anno il centenario del suo soggiorno tra aprile e giugno nel 1920) o Christian Morgenstern o Max Regler, per citarne alcuni.

Bisognava offrire passeggiate anche in montagna, e soprattutto estendere i diversivi invernali alle vicine montagne, per cui furono realizzati gli impianti, le piste da ski e funivie. Furono erette le prime funivie, da Lana a San Vigilio, nel 1912, un’altra sul modello di quella che portava sul Renon da Bolzano si voleva fare da Marlengo a San Vigilio – la corrente elettrica non mancava di certo, con la vicina centrale elettrica di Tel all’inizio della Val Venosta. Spuntarono inoltre le prime seggiovie…

 

Cos’ha a che fare tutto questo con Theodor Fischer? Il suo pensiero era stato il leitmotiv di quel periodo di innovazione: conservare l’esistente senza precludere l’innovazione. Un motto raccolto e ribadito anche da Carlo De Vito, presidente di FS-Sistemi urbani, partecipe via internet all’inaugurazione, mentre era in viaggio su una Freccia per andare a un altro incontro. Gli sono piaciuti i tre punti chiave attorno a cui sono girati gli interventi in presenza: l’integrazione, una Weltanschauung verso l’utilità massima del trasporto pubblico e l’architettura. Per lui il paesaggio della Val Venosta è tra i più belli, e lo cita avendo sentito che la stazione di Merano era stata spostata dalla sua posizione originale nell’odierna Piazza Mazzini a quella attuale nel progetto di Fischer, essendo  fu costruito il tratto allungato fino a Malles. Loda le tante iniziative portate avanti da Wittfrieda Mitterer anche con le FS e il suo motto di mantenere le tante cose belle esistenti, tra cui i tanti edifici storici delle stazioni, senza mai dimenticare - al contempo - le necessarie innovazioni.

Via internet arriva un’altra voce, stavolta dal nordest, quella di Bruno Maldoner, consigliere del presidente del consiglio austriaco nel dipartimento di cultura, attento a tradizioni e tracce lasciate sul territorio ai tempi dell’impero austro-ungarico. Gerd Staffler ci ha ricordato che il Club di calcio di Merano porta gli stessi colori di quello di Vienna, bianco e nero. Come mai? La prima squadra in Alto Adige fu fondata nel 1910 a Merano, e partecipava al campionato assieme a quelle di Trento e di Innsbruck, dove il gruppo di undici giocatori con la maglietta trentina erano di fatto soldati ungheresi, allora, e la squadra ungherese era tra le maggiori a livello europeo, assieme a quella inglese! Le connessioni Vienna-Merano datano parecchio indietro nel tempo, a più livelli, come vediamo, senza dover sempre andare ad attingere alle famose cavalcate di Sissi, l’imperatrice onnipresente lungo le passeggiate e/o nei parchi di Merano…

Ultimo dettaglio attorno a un vero e proprio dettaglio, sempre a cura dell’architetto Fischer che vi ha dedicato la stessa attenzione riservata all’intera struttura della scuola per ragazzi di Lana: la testa di un serpente, immagine che compare anche sulla copertina del catalogo che accompagna l’esposizione curata da Horst Hambrusch di Innsbruck. Il serpente è del tipo esculapio e nei tempi antichi la leggenda raccontava che chi ne mangiava anche soltanto una fettina della sua squisita carne, acquisiva la saggezza di tutti gli animali. Tale saggezza dice che ognuno occupa e prende tanto quanto serve al proprio vivere. La testa del serpente esculapio forma il finale della stanga orizzontale che regge tuttora le cartine geografiche da srotolare - o altro - in classe, subito davanti alla lavagna, da mostrare ai ragazzi durante una lezione. Un semplice dettaglio, quindi; oggi un tale finale sarebbe semplicemente un arrotondamento della stessa stanghetta. Theodor Fischer, nato nel 1862 e morto nel 1938, aveva inteso ogni sua costruzione come un organismo. Per lui anche una città era un organismo, che cresceva in modo organico, e questo principio vale la pena ripensarlo, oggi, in tempi difficili, come i nostri attuali, dove peraltro andrebbe riprogettato un po’ tutto lo spazio di vita, di cultura, della scuola e del lavoro. In questo contesto bisognerebbe tener conto di tanti aspetti, dal punto di vista del vivibile, per esempio nel momento in cui si pianifica una nuova costruzione, all’interno di un altro complesso architettonico e non solo, della armonia tra sé e gli altri, nell’insieme, e soprattutto: assumersi la responsabilità verso il prossimo e la generazione che arriva dopo di noi. Andrebbero poste domande del tipo: Che cosa lascio a loro? Come lasciamo il mondo? è un mondo vivibile? “Desidero che il Tirolo e la sua gente sia consapevole di sé, prima che sia troppo tardi”, aveva detto Fischer oltre cento anni fa. Che lo ricordino i responsabili anche oggi. Lui era stato professore ordinario di urbanistica al Politecnico di Monaco a partire dal 1908, e ha insegnato ai suoi studenti che “una città storica non è la somma di edifici vecchi bensì uno spazio cresciuto organicamente, da tutelare”.

 

Infatti nel suo piano di espansione della città di Merano del 1898 si era raccomandato di evitare angoli acuti, di curare le ampiezze e un andamento sinuoso delle strade nonché grandi viali di accesso, affinché i turisti e non solo possano muoversi adagiati e all’ombra, dalla periferia verso il centro storico. Prescirzioni queste di cui si nutre tutt’oggi la città di Merano. Peccato che non sempre sono state “tutelate” le sue proporzioni armoniche e la cura delle forme negli incroci quando edifici vecchi sono stati abbattuti e nuovi sono sorti, creando quelle “marmellate” anche nel centro città.

Un altro esempio del suo genio progettuale applicato alla struttura del quartiere est di Merano, che copre la zona da Corso Libertà fino a via Laurin: il tutto si aggirava attorno a tre poli che erano sul piano come le punte di un triangolo equilatero: la nuova stazione attuale, il centro storico e la Casa del teatro popolare, purtroppo andata distrutta dopo la Grande Guerra e che doveva essere stata nella posizione dove oggi c’è il Martinsbrunn, al confine quindi tra l’allora comune di Quarazze e quello di Merano. A partire da queste linee ideali nello spazio urbano ha progettato quel quartiere che oggi è attorno all’ospedale, con assi visuali ben definite come lo aveva imparato curando lo sviluppo urbano a Monaco ponendo attenzione persino alle posizioni e ai confini dei terreni privati. Per creare un continuum tra architettura e ambiente, urbanizzazione e giardini privati.

Forse il Covid-19 con tutte le sue limitazioni ha anche tanto da insegnarci e può essere visto come una opportunità per (ri)pensare la città, la nostra polis, la nostra casa della nostra comunità?