Stanchi ma ancora collaborativi
L’umore degli altoatesini peggiora, di poco ma comunque in maniera evidente. Le restrizioni cominciano a far storcere il naso un po’ più spesso, la fiducia negli organi di informazione tende a barcollare così come il benessere psicologico della popolazione.
Un cittadino su sei continua a voler rifiutare il vaccino, ma le motivazioni e le variabili sembrano non avere a che fare nè con l’orientamento politico e neppure con il gruppo linguistico, né tantomeno con il grado di istruzione del riluttante soggetto. Quello che emerge dall’indagine campionaria realizzata dall’Istituto provinciale di statistica ASTAT, realizzato in collaborazione con l’Istituto di medicina generale della Claudiana, è da un lato la paura di un qualche effetto collaterale dovuto alla somministrazione e, dall’altro, un’immaginata inefficacia del vaccino stesso. Altri intervistati sostengono invece di vedere minacciata la propria privacy mentre i negazionisti del Covid ammonterebbero all’1% della popolazione provinciale.
Chi non sente la necessità di vaccinarsi (se non quando decide di opporsi in toto) spera in parte nel raggiungimento dell’immunità di gregge per vie naturali (15%), mentre per il 22% la campagna di vaccinazione sarebbe stata orchestrata solo per andare tutta a vantaggio dell’industria farmaceutica. La maggior parte dei novax (57%) è quella che teme la possibilità di rischi a lungo termine e il 36% mette in discussione i criteri prioritari di vaccinazione. La gravità di una situazione pandemica ha comunque spinto sempre più persone, prima indifferenti, a dichiararsi favorevoli a un piano vaccinale nazionale obbligatorio.
Meno preoccupati, più insofferenti
Rispetto alla scorsa indagine risalente a gennaio, gli altoatesini sono meno preoccupati di contrarre l’infezione da Sars-cov-2: due cittadini su tre lo ritengono improbabile e il 70% degli intervistati, in linea con la scorsa rilevazione, non sarebbero in pena per il decorso, che prevedono non particolarmente grave.
Nonostante questo, le misure di prevenzione vengono generalmente seguite ma si registra un aumento dei cosiddetti “no mask” che in pochi mesi sarebbero passati - secondo una stima dall’altissimo standard-error-relativo - dall’1,5% al 2,9%.
I diversi tipi di restrizione applicata da governi e amministrazioni continuano invece a dividere: in generale, alcune misure, incontrano un favore positivo nella popolazione: dalle mascherine obbligatorie, al distanziamento, all’obbligo di isolamento per persone positive fino allo smart-working.
Decisa insofferenza invece per la chiusura dei confini comunali, le limitazioni all’attività fisica individuale e la rinuncia totale alle lezioni in presenza.
Più freddo sarebbe invece il dibattito inerente alla chiusura delle strutture ricettive e dei confini regionali, nonché nel divieto di incontrare amici e parenti e di praticare sport di squadra.
Il risultato che colpisce maggiormente è che per ciascun provvedimento si registra una piccola diminuzione relativa al consenso - la cosiddetta compliance - anche nel caso delle regole più accettate, specchio di un aumento significativo della stanchezza e del malessere psicologico dei cittadini provocati da oltre un anno di pandemia, divieti e limitazioni.
A peggiorare è anche la fiducia nelle fonti di informazione. Più del 70% preferisce tuttora affidarsi agli operatori in ambito sanitario e della protezione civile, sottolineando di preferire il parere di un lavoratore attivo in prima linea che di un dirigente della Sanità.
Ai giornali si preferisce la TV mentre a non venir presi particolarmente in considerazione a sorpresa sono proprio i social media e i cosiddetti influencer, ritenuti affidabili solamente dal 10% della popolazione.