Environment | GOODBYE GLACIERS

Ventotto metri

In cammino con la Carovana di Legambiente per monitorare l'arretramento del ghiacciaio Vedretta Lunga. La Provincia: in dieci anni spariti 20 kmq di nevi perenni.
Pecora davanti al Monte Cevedale, visto dalla val Martello
Foto: Salto.bz Fabio Gobbato

Per chi non ha pernottato in rifugio l’escursione della Carovana dei ghiacciai di Legambiente comincia dal parcheggio Hintermartell, a quota 2060 metri. E’ fine agosto ma in alta val Martello, alle 8.30 del mattino, il termometro segna 4 gradi. Dopo una mezzora di cammino si arriva ai 2265 metri del Rifugio Nino Corsi, che in tedesco ha un nome splendido: Zufallhütte, rifugio “coincidenza”. Qui Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente e presidente di Cipra, Marco Giardino, docente universitario e segretario del Comitato Glaciologico italiano, spiegano la missione della seconda giornata di Carovana: misurare l’arretramento del Vedretta Lunga, alcuni chilometri e circa 500 metri di dislivello più in alto, sul sentiero che costeggia il grande solco lasciato dal ghiacciaio nella sua fuga verso la vetta. Una fuga cominciata intorno al 1850, alla fine di quella che è conosciuta come la Piccola era glaciale, i cinque secoli in cui la storia climatica del pianeta conosce un brusco abbassamento delle temperature e il conseguente avanzamento delle masse nevose.

 

Verso sud est una massa d’acqua si getta dalle rocce e precipita in rivoli bianchi per almeno un centinaio di metri. Quando si vede una cascata la prima sensazione è sempre la stessa: meraviglia. L’associazione mentale acqua = vita è inscritta nel DNA e strappa sempre un sorriso di gratitudine. Ma alzando  di poco lo sguardo si scorge la fronte del Vedretta Serana, uno dei ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale. Con lo zoom della macchina fotografica si vede ogni singolo strato. Sembra una Viennetta appena uscita dal freezer. Un tuffo al cuore: Cristo santo, lì dietro c’è un ghiacciaio che si scioglie. Ti spiegano che al tramonto, anche in una giornata per nulla calda come questa, lo spessore si sarà assottigliato di 3 cm. Impossibile non cominciare a sudare freddo.

Le impressioni avute fino a quel momento vengono perfettamente riassunte poco dopo dalla “capocarovana”, Vanda Bonardo: “Ghiacciai – dice, introducendo la giornata - che scappano sempre più in alto, inseguiti dal bosco. Cascate che crescono di volume a vista d’occhio, bellissime, se non fosse che sono il risultato di una fusione sempre più accelerata dei ghiacci”.

 

Dopo il primo breve strappo si osserva dall’alto la diga di Gioveretto, costruita nei primi anni Cinquanta. Nell’agosto 1987, per evitarne la tracimazione, il responsabile dell’impianto decise l’apertura della paratia di fondo. La massa d’acqua che fuoriusciva a 350 metri cubi al secondo provocò ingenti danni lungo l’intera Val Martello fino alla confluenza con il fiume Adige, dove venne allagata la zona industriale di Laces. Non ci furono vittime perché le autorità locali  avevano fatto tempestivamente evacuare la popolazione, ma Edison fu costretta ad un maxirisarcimento e il responsabile condannato per disastro colposo. “Quando piove a lungo – racconta Guido De Monte, guardia forestale della zona  – un’occhiata alla diga vado a darla ancora oggi.  La mia casa non è molto lontana dal torrente Plima”. Poco più a monte del lago artificiale spicca il rosso veneziano dell’hotel Paradiso, disegnato dall’archistar del Ventennio, Giò Ponti (quello del Pirellone di Milano) costruito nel 1935 e ormai diroccato. “L’hotel è chiuso dal 1955 ed oggi è di proprietà di  Margarethe Fuchs von Mannstein, titolare della ditta Forst”, spiega Piero Bruschi, anima del Cai di Merano e responsabile del Servizio glaciologico dell’associazione alpinistica.

 

Poco dopo si fa tappa alla diga denominata "Bau" la cui “corona” di circa 325 metri, realizzata con grandi massi a secco, viene oggi utilizzata come percorso escursionistico per il raggiungimento del rifugio Martello. Un pastore del posto e il suo cane la attraversano correndo con un’agilità che fa sgranare gli occhi a tutto il gruppo. Lo rincontreremo più a monte intento a seguire il suo gregge.  L’opera, spiega Roberto Dinale, direttore dell'Ufficio Idrologia e dighe della Provincia, viene realizzata tra il 1890-1893 per contenere le onde di piena che si generavano a monte per la tracimazione del lago glaciale (con un volume di circa 630.000 metri cubi) che si era formato lungo i ghiacciai del monte Cevedale e della Vedretta Lunga durante la Piccola era Glaciale. Le improvvise piene si manifestavano anche in giornate primaverili di pieno sole con conseguenze catastrofiche per gli abitati della valle.

 

Dopo una quindicina di minuti di cammino ecco la grande piana alluvionale costellata di detriti morenici. Il ghiacciaio arrivava qui qualche centinaio di anni fa. Lo si può quasi "sentire". Nel fondovalle, accanto al torrente, svettano dei larici di medie dimensioni. Più in su se ne vedono altri, più giovani, che sembrano risalire il pendio. Si trovano ad una quota di almeno 2.500 metri. Come evidenziano anche studi dell’Eurac condotti in val di Mazia i larici soffrono sempre di più a causa del riscaldamento globale a basse quote ma superano sempre più spesso quella che un tempo era considerata la quota massima di 2300 metri. Il rado “boschetto” di larici, per usare la metafora di Vanda Bonardo, sembra in effetti impegnato nell’inseguimento del Vedretta Lunga. Speriamo non ci riesca mai.

 

Con altri 45 minuti di cammino si arriva ai 2.742 metri della stazione fotografica di Giuseppe Perini. A circa un chilometro di distanza si scorge finalmente la lingua di ghiaccio dove “inizia” la Vedretta Lunga. Chi ci viene ogni anno come i volontari del Servizio glaciologico del Cai percepisce visivamente che anche quest’anno i dati saranno negativi. Il raggio laser dei telemetri dà, in effetti, anche per il 2021, un responso angosciante: 28 metri di arretramento della fronte. Consultando il sito del Servizio glaciologico si può vedere l’impressionante regressione del ghiaccio nel tempo.

 

Le cifre del monitoraggio

Il bilancio delle camminate della Carovana dei Ghiacciai viene fatto direttamente da Legambiente. “La discesa sul fondovalle – si legge nella nota - ha permesso di visionare in sequenza i segnali glaciologici posti dagli operatori del Comitato glaciologico italiano e del Servizio Glaciologico del CAI Alto Adige (Franco Secchieri, Giuseppe Perini, Stefano e Giovanni Benetton) fra il 1979 al 2019. Le misure ricavate da questi segnali indicano quasi un km di ritiro frontale: una media di oltre 23 metri all’anno, ma non uniformemente distribuiti: una sostanziale stabilità iniziale, regressi variabili a partire dagli anni 90 e poi una decisa variazione su valori costantemente negativi di diverse decine di metri dall’anno dal 2005 ad oggi. L’ultimo valore, misurato “in diretta” dagli operatori glaciologici durante il sopralluogo, è di 28 metri di regresso fra il 2020 e il 2021”. Un dato molto peggiore rispetto a quelli degli altri ghiacciai. Per quale ragione? “Da un lato – spiega Dinale - il motivo è che il ghiacciaio arriva ad una quota più bassa degli altri ed è quindi esposto a temperature più alte. La fronte è inoltre esposta ad est e non, come altri ghiacciai, a nord”.

 

Il Vedretta Lunga è stato selezionato per il monitoraggio a lungo termine dalla Provincia di Bolzano e Dinale ha illustrato i risultati del bilancio di massa che vi si svolge da ormai 17 anni. Nella serie storica si registra una perdita di 1,20 metri di spessore di equivalente d'acqua l'anno, uniformemente distribuita sul ghiacciaio: ciò significa che nella zona frontale si registrano anche perdite intorno ai 3 metri rispetto ai valori positivi della zona alta del bacino di accumulo.  Il solo anno positivo della serie di bilanci è il 2013-14. “La  linea di equilibrio del ghiacciaio, dove il bilancio di massa è pari a zero, è posta attorno ai 3100 metri. In alto lo spessore (come si vede dal colore blu della foto) è superiore ai 100 metri e questo fa ipotizzare che alla fine del secolo il ghiacciaio, seppur ridotto di moltissimo, esisterà ancora”. Una magra consolazione. Come del resto lo è il fatto che quest’anno sia stato “un po’ meno negativo” degli ultimi.  

 

Secondo i dati raccolti da Legambiente in val Martello il ghiacciaio della Vedretta Alta ha subito un brusco arretramento di circa 400 metri della sua fronte attiva, così come quello della Forcola che continua ad arretrare di 20-30 metri l’anno, mentre per quello del Cevedale il ritiro risulta superiore al km rispetto agli anni 40’. Oltre la regressione i ghiacciai subiscono fenomeni di disgregazione e frammentazione che hanno portato i 168 ghiacciai dell’Alto Adige a frammentarsi in 540 unità distinte distinte . Nel 2005 erano solo 330 a dimostrazione di come il fenomeno di frammentazione dei ghiacciai stia accelerando.  

“La val Martello è una splendida valle alpina in cui il modellamento glaciale ha scandito la storia naturale e dell’uomo”,  commenta Marco Giardino, segretario del Comitato Glaciologico. “ Un’area alpina in cui la salvaguardia dell’ambiente d’alta montagna da parte del Parco Nazionale va di pari passo con l’attenzione alla gestione delle risorse materiali da parte dell’amministrazione provinciale  e comunale. Un atteggiamento più che mai responsabile in considerazione delle trasformazioni in atto sui ghiacciai e sui territori circostanti per effetto del riscaldamento climatico. Uno sforzo comune al quale gli operatori glaciologici vogliono partecipare attraverso i loro contributi allo sviluppo della conoscenza sugli scenari evolutivi dell’ambiente glaciale”.

 

I dati complessivi

Secondo i dati dell’Agenzia per la Protezione civile della Provincia di Bolzano  in 10 anni l’Alto Adige ha perso poco meno di 20 kmq di ghiacciai, passando dai 103,5 kmq del catasto del 2005 agli 83 km2 del catasto 2017. Con questa impressionante progressione si stima che nel 2030 la superficie dei ghiacciai altoatesini sarà dell’ordine dei 50-60 kmq. E se il trend non dovesse essere invertito nel prossimo secolo saranno quasi del tutto spariti. “Se con l’Impegno di tutti – conclude Dinale – riusciremo a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi, a fine secolo potrebbe sopravviverne un terzo, in caso contrario i ghiacciai, si esauriranno”.