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I Sinti in campo

Creato a Merano un gruppo di lavoro per elaborare le regole di convivenza per il nuovo campo Sinti. Senza dare per scontato che in Alto Adige il rispetto delle minoranze sia un valore acquisito.

“Il gruppo di lavoro è una buona idea. E ci sarà bisogno di una mediazione perché l’operazione potrebbe essere difficile”. In Comune a Merano avevano pensato proprio a Karl Tragust, per vent’anni direttore della Ripartizione famiglia e politiche sociali della Provincia. Lui ha declinato l’invito, per motivi di tempo.

Il nuovo campo Sinti si farà alla confluenza del Passirio nell’Adige, a qualche decina di metri dall’attuale accampamento. “Entro novembre consegniamo in Provincia il progetto del muro ciclopico da realizzare quest’inverno da parte dei bacini montani”, garantisce Alois Gurschler, assessore agli affari sociali. “Nel frattempo comincerà a riunirsi un gruppo di lavoro “per progettare un’azione concordata da tutte le parti”.

Dell’organismo, oltre che il mediatore, fanno parte Sabine Raffeiner e Brigitta Dunkl dell'Ufficio affari sociali del Comune di Merano, Gianluca Dominici (rappresentante del distretto sociale), Nadja Schuster (rappresentante dell'Amministrazione provinciale), il capitano della Polizia municipale Claudio Mosna, Marco Bertoncello e Pier Paolo Filippi (portavoce del comitato di quartiere), Albano Frosch, Saverino Cari, Tomas Cari, Artur Schöpf e Raisali Helt-Herzemberg (rappresentanti delle famiglie dei Sinti).

“Lo studio di fattibilità realizzato a suo tempo – dice l’ing. Mario De Martin, dell’Ufficio tecnico – è stato superato dagli eventi. Le esigenze e la composizione dei nuclei familiari sono cambiati. L’unica cosa certa è il luogo di realizzazione”.

L’assessore Gurschler spiega che sì, tempo fa si era ipotizzata la costruzione di una casetta per ogni nucleo familiare. Poi invece, consultati gli esperti, si è ritenuto più adatto mettere a disposizione cinque piccole aree per altrettante macrofamiglie. “Si prevede un campo che abbia spazio per circa 50 persone”. Il tutto lo “vorremmo fare entro il prossimo anno”.

Nello scorso mese di giugno il Consiglio comunale aveva deciso di inserire nel Piano urbanistico una zona per attrezzature collettive nei pressi della confluenza Passirio-Adige, al fine di realizzarvi il nuovo campo. Con venti voti a favore, un voto contrario e dieci astensioni, era stato approvato il regolamento per la gestione della struttura. Un documento, secondo il sindaco Günther Januth, che “garantisce la corretta gestione del campo, che sarà accompagnata dai servizi sociali e disciplinata secondo chiare regole che dovranno essere rispettate”.

Karl Tragust, perché lei parla di “operazione difficile”?

Come sempre quando si tratta di dare uno spazio a questo tipo di comunità emergono delle difficoltà. Il modo di vivere di questa minoranza è molto lontano dal modo di vivere della maggioranza. La situazione sociale di queste persone è difficile e ciò crea conflitti nella quotidianità.

In Alto Adige ci sono esperienze positive a cui ispirarsi?

Sì, ad esempio a Lana. È stata creata una microarea dove vive una famiglia. Il tutto è bene organizzato. Anche a Bressanone c’è il campo Sinti. Da un po’ di tempo non è più utilizzato come una volta, perché le famiglie sinte sono entrate negli alloggi sociali, ma viene tutt’ora fruito come un’area dove le famiglie si ritrovano insieme per festeggiare e per esercitare le loro attività tradizionali. È un luogo di socializzazione.

Quali sono gli orientamenti a livello provinciale?

L’idea è quella delle microaree. I grandi campi dove si concentrano molte famiglie invece non sono la soluzione ideale. L’orientamento è quello di mettere a disposizione aree più piccole. Il problema è che per farlo bisogna trovare più punti sul territorio e in ogni nuova località partono nuove discussioni.

Dal punto di vista culturale l’Alto Adige dovrebbe essere esperto di minoranze etniche. A che punto siamo in questo campo?

C’è una grossa mancanza. Noi, minoranza, ci comportiamo come maggioranza verso queste persone. C’è ancora un grosso problema di tolleranza verso altre forme storiche di vita. Purtroppo anche noi, come minoranza linguistica, abbiamo ancora tanta strada davanti a noi.