Society | 1 novembre

La morte? Un tabù

La morte? Un tabù che non aiuta a vivere. Günther Rederlechner (servizio Hospice della Caritas) rema contro una società che chiude gli occhi di fronte alla realtà più certa della vita di ognuno.

“Non è la morte a relegare il malato terminale o la persona in lutto ai margini della società, ma è la nostra paura di prendere coscienza della morte”. Lo sussurra Günther Rederlechner, responsabile del servizio Hospice della Caritas.

Anche in questi giorni tradizionalmente riservati alla memoria dei defunti “la morte risulta un tema da evitare. In particolare quando essa irrompe nella nostra vita”, rendendo evidente che l’esistenza di ognuno (anche la nostra) è, per così dire, “a termine”. “La morte – spiega Rederlechner – non viene vissuta come parte integrante della vita, ma come un fallimento”. In Alto Adige come altrove. “La società ci propone la morte come un qualcosa di esterno a noi, attraverso le notizie e i drammi che entrano quotidianamente nelle nostre case, ma che non ci interessano direttamente. Riguardano altri. In più i progressi della medicina hanno allungato progressivamente la nostra vita”. In questo contesto parlare della morte non è politicamente corretto.

La sera tra l’ultimo giorno di ottobre e il primo di novembre il servizio Hospice prova a rompere il tabù. Propone, nella casa Lichtenburg di Nalles, la “Notte del lutto e del cordoglio”. L’idea è nata nel Vorarlberg. Il suo obiettivo di fondo? Imparare, insieme, ad accettare la realtà della morte. Si tratta di “creare spazi, formulare proposte dedicate specificamente alle persone in lutto. Durante la serata ogni partecipante ha la possibilità di dare espressione alle proprie emozioni attraverso il silenzio, la scrittura, la lettura di testi, il dialogo con chi sta vivendo, a fatica, una stessa esperienza”.

Günther Rederlechner, di fronte alla morte non è meglio cambiare argomento?

La morte fa parte della vita. Per questo motivo è importante poterne parlare nella quotidianità delle persone. Il non confrontarsi col tema della morte porta ad evitare un reale confronto col tema della vita. Affrontare il tema della propria morte o ‘terminalità’ ci insegna invece a vivere con noi stessi in maniera più piena. “E a rispettare ed accogliere quelle le persone che si trovano a sperimentare la morte in maniera diretta. 

La morte come tabù spinge chi sta morendo o chi vive un lutto ai margini della società?

La società nella quale viviamo rifiuta il tema della morte, non riconosce i malati terminali  e le persone in lutto nei loro bisogni fondamentali. Diventa disumanizzante. La morte e il lutto fanno invece parte della vita. Noi cerchiamo, attraverso il Servizio Hospice, di riportare umanità nella morte e nel morire. La società che fa di tutto per allungare la nostra vita e per rimanere attivi a lungo, dovrebbe anche occuparsi di dare qualità alla vita quando il binomio efficienza/salute viene a mancare trasformandosi in malattia e dipendenza. Considerare le persone morenti come uomini e donne con pari dignità e diritti è il passo più importante da fare per garantire loro una morte dignitosa.

In Alto Adige c’è un alto numero di suicidi. C’è chi dice che non bisogna parlarne, altri che è bene farlo (a prescindere dal come). Lei che cosa ne pensa?

Se la morte e il lutto sono temi tabù, ancor più lo è il suicidio. Il giudizio pesante che ricade sulla famiglia porta spesso a negarne la realtà per poterci convivere. Una famiglia che si trova ad affrontare un simile evento è dentro un vortice di sentimenti di rabbia e di dolore, di sensi di colpa e di giudizi negativi. Si chiude in difesa. Abbattere il muro di chiusura e di indifferenza che circonda questi eventi diventa fondamentale. Ma deve partire dalla coscienza di ognuno. Guardare l’altro abbandonando ogni giudizio per far spazio all’amore è il punto di partenza affinché si possa affrontare un tema come questo. 

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gorgias Fri, 11/01/2013 - 13:44

Auch wenn ich die Ziele der Hospitzbewegung an sich für legitim halte, ist zu bemerken dass sie in Italien erst als Reaktion auf die Sterbebewegung stark gepuscht worden.
Dies geschah nach dem "Caso Welby" wo sich dieser bewußt entschieden hatte auf die Unterstützung der eisernen Lunge zu verzichten und so seinen Todeszeitpunkt selbst zu bestimmen.
Dies ist eigentlich nach dem katholischen Kathekismus erlaubt, doch war dies für einige Eklesiasten so irritierend, dass Welby nicht ihrem Menschenbild der leidenden Kreatur entsprach und sich ein minimum an Selbstbestimmtheit herausnahm, dass dank ihrer Lobby-Aktionenen nun in Italien auch die passive Sterbehilfe verboten ist.
Wer eine Magensonde hat oder an Schläuchen hängt hat nicht mehr das Recht auf medizinische Versorgung zu verzichten und wird bis zu seinem unnatürlich hinausgestrecktem Tod zwansgsbehandelt.
In Deutschland gibt es das Recht selbstbestimmt auf medizinische Versorgung zu verzichten und man hat die Möglichkeit eine für den Arzt verbindliche Patientenverfügung zu erstellen. In der Schweiz ist die Beihilfe zum Selbstmord nicht strafbar und in den Niederlanden ist die aktive Sterbehilfe legal.
So legitim die Hospitzbewegung ist, und ihren berechtigten Platz in der Gesellschaft hat, dürfen wir dieses Thema nicht der Kirche und ihren Vorfeldorganisationen alleine überlassen und müssen es breiter diskutieren und nicht nur von dem Blickwinkel betrachten das diese gern hätte.

Fri, 11/01/2013 - 13:44 Permalink