Detroit di Kathryn Bigelow
Il film ricostruisce fatti realmente accaduti durante le prime rivolte della popolazione nera nella città di Detroit nel luglio1967 per concentrarsi poi sulle vicende accadute la sera del 25 presso il Motel Algiers: alcuni ragazzi neri, tra cui anche un veterano del Vietnam (ricordiamo che quella guerra è ancora in pieno svolgimento in quell’anno), si divertono finché uno di loro fa partire alcuni spari da una pistola giocattolo. Siccome il governatore George Romney per affrontare la rivolta, considerata una guerra in casa, aveva autorizzato (lo vediamo in alcune immagini tv di repertorio) l’intervento della Michigan National Garde e degli Army Paratroopers, questi hanno reazioni a volte sin troppo esagerate per cui nel motel questi ultimi hanno agito con violenza inaudita. Vediamo una ricostruzione nuda e cruda dei fatti sulla base di racconti di chi vi era coinvolto – come impariamo dai titoli di coda – non essendo mai stata fatta luce davvero. Ciò che rimane quando si esce e si riflette sulle immagini appena viste è l’abuso del potere che c’era stato, quel potere con la “P” che si percepisce ovunque sono stati e sono in gioco scontri tra gruppi che si credono più forti verso altri più deboli.
Detroit di Kathryn Bigelow è un film corale sul piano degli attori, tutti scelti secondo le caratteristiche somatiche azzeccate per ogni singolo personaggio con occhio davvero acuto dalla regista nota sin dagli esordi per i temi forti da lei affrontati con ritmi d’azione mozzafiato, a partire dal primo grande successo Point Break del 1991 con il giovanissimo Keanu Reeves: vent’anni dopo, infatti, nel 2010 è stata lei a salire sul podio a Los Angeles durante la consegna degli Oscar come prima regista donna che aveva vinto per la miglior regia del suo The Hurt Locker, girato nel 2009, ambientato nella guerra in Iraq attorno alla quotidianità di un gruppo di soldati statunitensi in mezzo a quel terribile conflitto del 2003 (il film si era aggiudicato altri cinque Oscar, per la miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior film, miglior montaggio sonoro e miglior sonoro). Dopo una pausa di cinque anni, eccola tornata per narrare la “guerra” interna degli Usa, gli scontri violenti svoltisi nella metropoli del Michigan, quinta per ordine di grandezza negli Stati Uniti nel 1967.
Kathryn Bigelow inizia i centoquaranta minuti di narrazione con una sequenza a disegni animati che scorrono come una carrellata di edifici colorati lungo una strada per spiegare il contesto storico in cui erano i bianchi a regnare sui neri, ossia la popolazione nera era talmente oppressa da non poter frequentare locali o mezzi pubblici. Tutto ha avuto inizio con una razzia della polizia in un bar notturno privato, e privo di licenza, dove si festeggiavano alcuni veterani neri tornati dal Vietnam, e gli ospiti, tutti neri, vennero arrestati, picchiati, attirando l’attenzione delle persone nella strada, per cui era montata a vista d’occhio la rabbia tenuta a bada per tanto tempo facendola letteralmente esplodere a suon di molotov mettendo a fuoco e fiamme un intero quartiere di periferia. La rivolta era durata quattro giorni, dal 23 al 27 luglio, che in qualche modo scandiscono la prima parte del film. Il vero cuore del racconto si evolve dopo una sequenza che funge da premessa, in cui ci viene mostrato un inseguimento “gratuito” di un nero che aveva rubato un po’ di alimenti in un negozio venendo colpito vigliaccamente alla schiena dal poliziotto Philip Krauss, interpretato magistralmente dall’attore britannico Will Poulter che incarna nel suo personaggio tutto l’odio razzista di tanti cittadini americani. Inizialmente messo in guardia dai superiori, dato che ciò è paragonabile a omicidio e quindi contro il codice dei diritti cittadini, puntando il dito sulla dimensione razziale Krauss ne esce indenne.
Quindi, il racconto si focalizza sulle vicende accadute nel motel, dove ritroviamo in pattuglia sempre il poliziotto Krauss con un gruppetto dalla mentalità affine: Bigelow apre questa pagina di storia americana in tutti i suoi terrificanti dettagli, dalle tecniche di intimidazione alle strategie di interrogatorio in cui si fingeva di ammazzare uno dopo l’altro i testimoni messi al muro con metodi davvero brutali. Nella vicenda è coinvolto Dismukes, guardia notturna nera in un vicino negozio (John Boyega), che prova a far ragionare sia gli uni che gli altri. Niente da fare, lui vale quanto gli altri, tutti accusati di essere cecchini. Sul piano della violenza della polizia, nulla di nuovo, se pensiamo a ciò che nella nostra Italia era accaduto a Genova nel 2001, sia nella scuola Diaz che a Bolzaneto, e non c’è da stupirsi che il processo svoltosi due anni dopo contro i poliziotti statunitensi finì col verdetto dei giurati: “non colpevoli”… Le riprese, spesso eseguite con cinepresa a mano, e le inquadrature molto addosso agli attori ci fanno sentire partecipi suggerendo al contempo dimensioni soggettive e oggettive, stile visivo per altro tipico della Bigelow al fine di risucchiare chi guarda dentro l’azione per riaccompagnarlo poi nuovamente “fuori”, in modo quasi impercettibile, affinché il pubblico possa attivare le proprie opinioni, una propria visione e interpretazione dei fatti, ma unicamente dopo aver appreso, trasmesse dai film, storie che si rifanno alla Storia, con distacco emotivo, in modo quasi brechtiano.