"Materia": una distopia low budget
Un reportage fittizio dal futuro, da un’epoca non troppo lontana dalla nostra - in cui tutto è andato male. Ma come è successo? No, per fortuna nessuno ha proclamato una canzone reggaeton come inno globale ma più realisticamente il mondo è stato sommerso dalle acque e sui lembi erosi delle terre emerse si raccontano le storie dei sopravvissuti, le ultime storie della frontiera della civiltà. Mentre tutto va male – le acque si alzano sempre di più, gli animali spariscono e le guerre procedono – tre personaggi fuoriluogo (si trovano a disagio in ogni situazione che si trovano a fronteggiare) sono destinati a incontrarsi tutte le volte, in vari posti e tempi diversi.
Andrea, Gabriele ed Elena si conoscono da sempre e si attraggono e respingono continuamente da una parte all’altra del mondo nuovo: il primo è un mentitore seriale che scappa lontano da casa per andare a lavorare il marmo e guadagnare abbastanza per finanziare una clinica veterinaria e salvare gli animali in via d’estinzione; il secondo è un personaggio riluttante, strettamente collegato alle avventure del terzo, ovvero Elena: il più enigmatico dei tre. Se all’inizio si legge la storia di Elena attraverso gli occhi di Andrea e Gabriele, si scopre che è lei la protagonista del romanzo, una dinamitarda costretta a combattere una non meglio precisata guerra senza causa, una donna fondamentale che viene descritta come esempio folgorante del mondo che langue e lentamente muore.
Materia, libro edito dalla casa editrice effequ è l’esordio come romanziere dell’autore di reportage fotografici Jacopo La Forgia, classe 1990. La Forgia tesse una trama distopica con pochi elementi, una versione futuribile di un mondo avvolto in uno spazio brumoso. Non immettere nella storia troppi elementi di contesto o agghindare la trama fantascientifico-onirica di storyline di stampo geopolitico è stata una scelta quasi vincente per un romanzo che in poco spazio dà forma all’Apocalisse.
“La storia è divisa in cicli, e quello era il ciclo della violenza”. (Jacopo La Forgia)
Mantenere un’atmosfera nebulosa è infatti rischioso, perché alludere solamente al contesto, con poche coordinate - se non si è il Cormac McCarthy de La strada - può risultare un artificio letterario poco efficace. Il romanzo è sospeso su questo crinale. La narrazione non ne risente particolarmente, che invece scorre veloce e cattura l’attenzione del lettore, aiutata da un ritmo cadenzato e dalla giusta scansione dei piani temporali. I nove capitoli che compongono il libro, che appaiono come nove racconti auto-conclusivi, sono messi in una sequenza che consente al lettore di percepire sempre le scene come collegate da un sottile e sinistro filo. Ogni capitolo è intriso di un’oscura atmosfera acquatica.
“La storia è divisa in cicli, e quello era il ciclo della violenza”. Questo c’è nell’attacco del capitolo La cenere la mattina, il capitolo che va più in profondità per spiegare i modi del conflitto tra nazioni, il conflitto che coinvolge la protagonista (il sottile e sinistro filo) Elena, chiamata a imbracciare le armi e a indossare l’armatura: pugnale e cotta di maglia. Il resoconto che fa Elena del conflitto – e qui lo stile e a metà tra il racconto sul lettino del terapista e il bollettino di guerra – è la parte più efficace del romanzo, dove la prosa di La Forgia diventa più controllata e consapevole, dove i dialoghi smettono di essere troppo onirici e dipingono bene la concretezza del futuro peggiore. La distopia low-budget di La Forgia è un buon esordio, da leggere.