“Principianti”, tra immagini e suoni

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Anna Carol, originaria di Bolzano, ha vissuto tra Colonia, Rotterdam e Londra, assorbendo influenze soul, R&B ed elettroniche. Queste esperienze internazionali hanno arricchito la sua espressione musicale, caratterizzata da una fusione di suoni acustici ed elettronici che confluiscono in melodie pop dal respiro cosmopolita.
È da poco uscito Principianti, il suo nuovo album, e in questa intervista con ci racconta il suo percorso artistico, il processo creativo dietro la scrittura e la produzione della sua musica, le influenze che l’hanno ispirata e la visione che guida il suo lavoro.
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SALTO: Prima domanda di routine… raccontaci la genesi di Principianti!
Anna Carol: Penso che i miei dischi nascano da un pugno di canzoni. Nel mio caso, Principianti, anche col titolo addirittura, nasce dopo che avevo già scritto tre canzoni del disco. Più o meno, guardando quando ho salvato le prime canzoni, direi... circa tre anni fa. Avevo appena pubblicato il disco precedente e nel frattempo c’erano queste canzoni in cantiere. Ne ho scritta una, poi due, poi tre e nel mentre ho iniziato a leggere il libro Principianti di Carver.
È una raccolta di racconti e c’erano delle similitudini con quello che stavo scrivendo, soprattutto per quanto riguarda la tematica delle relazioni, in particolare il momento in cui accade qualcosa che le trasforma. Era un tema che stavo casualmente esplorando in quel periodo e mi sembrava che sarebbe stata una ricerca che avrei portato avanti per un po'.
Quando ho letto quel titolo, ho capito che mi sarebbe piaciuto intitolare così il mio prossimo lavoro. Mi piace molto la parola Principianti, e tutto l’immaginario che si porta dietro. Ho continuato a scrivere altre canzoni, esplorando il tema da diverse angolazioni, toccando emozioni e scene differenti.
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Qual è il processo creativo dietro alla scrittura e composizione delle tue canzoni?
Mi piace molto lavorare per immagini visive quando scrivo. Prima mi immagino quasi la scena, poi la descrivo con parole e musica. Poi non saprei dirti con esattezza qual è il mio processo creativo per ogni canzone. So solo che, a un certo punto, emergono delle scene, delle immagini, delle urgenze che sento in quel periodo. Tutto il resto mi sembra sempre un mistero. Non riesco mai a spiegarmi fino in fondo come nascono le canzoni ma posso invece spiegare meglio quello che succede dopo, tutto il lavoro di produzione. Quello è un processo più razionale, anche se ci sono sempre delle casualità e cose che non puoi controllare.
Tornando alla tua prima domanda, l’album è nato anche dopo aver scritto le canzoni. Parte tutto da loro e dalle necessità che hanno. Poi, una volta scritte, bisogna fare delle scelte di produzione: quali sonorità vogliamo toccare? Questo è parte del processo creativo e il lavoro con il produttore è fondamentale. Anche la scelta stessa del produttore è una decisione creativa, perché scegliendo una persona scegli anche la direzione che prenderà l’album. Per questo album ho lavorato con Federico Dragogna. Lui ha un approccio particolare, è un cantautore oltre che produttore e sapevo che con lui avrei avuto un approccio basato sulla strumentazione acustica.
Infatti, abbiamo lavorato molto in studio con i musicisti, scegliendo insieme i suoni e gli strumenti che avrebbero dato un’identità alle canzoni. Ogni brano ha le sue particolarità, ma volevo che l’album avesse un certo senso di uniformità e coesione.
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Uscito il disco è ora di pensare ai live: è prevista anche una data a Bolzano?
Certo, adesso che l’album è uscito, arriva la parte più “vera”: suonarlo dal vivo. Il live è un elemento fondamentale. Abbiamo deciso di portarlo in trio: batteria, basso e io alla chitarra e voce. Ad aprile apro cinque concerti di Dente e poi il 2 maggio suonerò proprio a Bolzano, al Sudwerk! E poi partirà il tour estivo, stiamo ancora lavorando sulle date.
Parliamo un po’ di sonorità. Quali artisti o album hanno influenzato di più Principianti e, in generale, quali sono le tue influenze musicali?
Beh, il bagaglio musicale che mi porto dietro è molto grande, così grande che a volte neanche lo riconosco più.
Nel periodo in cui scrivevo l’album, ascoltavo molto Charlotte Day Wilson, una bravissima artista canadese con influenze soul, che scrive canzoni e le produce. Anche Timber Timbre, un gruppo musicale sempre canadese, mi ha influenzata. Mi piace chi riesce a mescolare elettronica e strumenti acustici. Poi ci sono le influenze del cantautorato italiano, sia passato che contemporaneo. Amo molto anche la scena musicale europea: Belgio, Francia, Inghilterra… Stromae, Christine and the Queens, i Radiohead… Insomma, un mix che cerco di far confluire nella mia musica.
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C’è un tema che lega le varie tracce del disco?
Penso che il tema principale sia quello delle relazioni, esplorate da diversi punti di vista: relazioni amorose, romantiche, ma anche rapporti di amicizia. Ho voluto raccontare queste dinamiche in tutte le loro sfumature, partendo da esperienze personali ma anche osservando schemi ricorrenti nelle relazioni in generale. Mi sono soffermata su come i legami si sviluppano nel tempo.
Questo tema si estende fino a situazioni più intime, come nel brano Mayday, che ha un’atmosfera più sensuale, quasi da immaginario a luci rosse. Mi piaceva l’idea di esplorare tutte le sfaccettature delle relazioni, perché credo che ciascuno di noi ne viva molteplici.
Un altro aspetto fondamentale è la relazione con sé stessi. Tornando in Italia dopo sette anni all’estero, mi sono ritrovata a riflettere sulla mia identità. In un contesto in cui ci sono così tante possibilità, mi sono chiesta: "Chi sono io in tutto questo?" Penso che questa sia una domanda che riguarda molti, specialmente chi, come me, è nato a Bolzano e ha vissuto esperienze legate a più culture.
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A proposito di identità: Boreale è l’ultimo dei singoli usciti ed è presente nell’album e affronta la questione da una prospettiva molto interessante. Di cosa parla e qual è il punto di vista?
Il punto di vista è il mio. In Boreale ci metto la faccia, perché il brano parla di quanto spesso si traggano conclusioni affrettate sulle persone basandosi solo sull’apparenza. Oggi basta un profilo Instagram per farsi un’idea di qualcuno, ma spesso quella percezione è lontana dalla realtà.
L’ispirazione nasce da episodi che mi hanno sempre fatto sorridere. Viaggiando molto, soprattutto nel Nord Europa, mi sono trovata spesso a dover spiegare da dove venissi. In Germania, ad esempio, parlavo tedesco, ma senza l’accento giusto, e quindi la gente cercava di etichettarmi: "Sei polacca? Sei francese? Danese?" La stessa cosa è successa quando ho lavorato nei ristoranti e persino dopo essere tornata in Italia, entrando nella scena musicale. Anche lì mi sentivo dire: "Ma da dove vieni? Non sembri italiana."
Il titolo Boreale richiama anche un altro aspetto del brano: l’essere percepiti come freddi e distaccati. A volte le persone hanno paura di relazionarsi con chi appare distante, e questo è un tema che ho voluto esplorare nella canzone. L’identità e la percezione, anche in relazione a come ci vedono gli altri, sono temi centrali per me, e in Boreale cerco di esplorarli.
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Dove si colloca questo disco nel tuo percorso artistico e dove vorrebbe andare Anna Carol?
Vedo ogni disco come un’entità a sé stante, quindi non posso dire con certezza quale sarà la direzione futura del mio sound. Mi piace l’idea di restare mobile e aperta al cambiamento. Questo album rappresenta una tappa del mio percorso, ma non un punto di arrivo: continuerò a scrivere e a sperimentare.
Dicono che il terzo disco sia il più difficile, ma io non so se sia vero. Per me è stato un momento in cui ho avuto una visione più chiara di cosa volessi esplorare, sia a livello sonoro che di scrittura. Scrivere in italiano è ancora una novità per me, ma con questo progetto ho iniziato a sentirmi più a mio agio. Spero che questa crescita possa continuare.
Oltre alla musica poi, sto sperimentando anche altre forme di racconto. È appena uscito Tecniche per non imparare a ferirsi, un progetto che mescola parole e immagini: i testi di Principianti si intrecciano ai racconti di Sonia Lisco, che ha anche scritto con me alcune canzoni, e alle fotografie di Alecio Ferrari.
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Un’ultima domanda, un po’ spinosa se vogliamo. Sarebbe bello non doverlo dire, ma non siamo ancora arrivati a una reale equità, e proprio per questo è importante continuare a parlarne: com’è per una donna lavorare nell’industria musicale?
Credo sia giusto parlarne, ma senza farne sempre il punto centrale. Quando un articolo si concentra solo sul fatto che un’artista è donna, si rischia di ridurre tutto a quello. È un peso che ci portiamo dietro perché vogliamo che, giustamente, tutti siano percepiti e valorizzati allo stesso modo, ma non siamo ancora arrivati a quel punto. Quindi bisogna parlarne.
Non mi considero un’esperta di femminismo, anzi, spesso mi confronto con amici e amiche per capire meglio certe dinamiche. Sto ancora imparando, un po’ come tutti e tutte. Penso che siamo in una fase di riscoperta dei ruoli e delle strutture della società, e mi metto anch’io in discussione in questo processo.
È vero che le donne hanno ancora meno credibilità degli uomini in molti settori, ma credo che, con il tempo, il pubblico inizierà a supportare artisti e artiste senza farsi condizionare dal genere. In questo momento, vedo tante colleghe che stanno facendo cose incredibili, sento di far parte di una scena ricca e stimolante, di cui sono non solo parte attiva, ma anche spettatrice entusiasta.
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