Il tesoro di Levico
A una ventina di chilometri da Trento si trova Levico Terme, un paese conosciuto per il lago, le acque termali e il fatto che l’imperatrice Sissi vi si soggiornasse per mesi come sua residenza di vacanza. Ma la località trentina ospita anche il Centro studi sulla storia dell’Europa orientale (CSSEO), uno degli archivi più importanti a livello nazionale e internazionale sulla storia dell’Est che al suo interno raccoglie – tra libri cartacei e digitalizzati – più di 100.000 titoli gran parte dei quali in lingua originale.
È Fernando Orlandi, presidente del CSSEO, a raccontare che il Centro è nato per caso grazie alla scelta di un gruppo di amici legati da interessi comuni che hanno a che fare con l’Europa orientale e la Mitteleuropa – tra cui lo stesso Orlandi, Piero Sinatti, Giovanni Bensi e Massimo Libardi – di unire sapere e materiale. Se la fondazione ufficiale è datata ottobre 1997, è a cavallo tra il 1999 e il 2000 che il Centro prende forma, quando i suoi membri organizzano due grandi convegni: il primo, nel dicembre del ’99, a memoria di Andrej Dmitrievič Sacharov – fisico sovietico morto nel 1989 famoso per aver contribuito alla messa a punto della bomba a idrogeno e poi dissidente –, il secondo il 14 gennaio del 2000 intitolato “La Russia dopo Eltsin”, titolo che si è rivelato molto azzeccato poiché due settimane prima il presidente russo aveva presentato le sue dimissioni. Gli eventi portano a Trento ospiti internazionali tra cui Fritz Ermarth, una carriera spesa nella comunità dell’intelligence e nella difesa del governo americano e analista della strategia russa. L’eco del congresso del 14 gennaio è enorme: Radio Free Europe spedisce una troupe a Trento e manda in diretta verso la Russia brevi interventi e interviste, uno dei partecipanti scrive un op-ed sull’incontro per un importante quotidiano statunitense e nel giro di poco tempo al CSSEO arrivano 1400 richieste degli atti del convegno.
Oggi l’archivio deve trovare una nuova sede: le centinaia di volumi che occupavano gli scaffali della biblioteca in via Stazione sono comunque consultabili attraverso Fernando Orlandi, ma la ricerca di una casa è di estrema importanza per un tesoro come quello raccolto dal Centro studi sulla storia dell’Europa orientale.
salto.bz: Orlandi, come si crea un archivio?
Fernando Orlandi: Nel nostro caso è nato di sua volontà. Dopo il famoso convegno del 2000 abbiamo iniziato a ricevere scatoloni di documenti di archivio e altro materiale che abbiamo unito a tutto quello che ognuno di noi possedeva. Poi, quando abbiamo deciso di partecipare e fare progetti di ricerca, abbiamo iniziato a cercare e ad acquistare volumi che in Italia ancora non c’erano.
Negli anni, di quali argomenti vi siete occupati?
Ci siamo occupati moltissimo di dissenso e opposizione nei Paesi comunisti. Credo che siamo stati gli unici per lungo tempo a interessarci di questi argomenti e facemmo dei grandi convegni. Ma non ci siamo concentrati solo sull’Unione Sovietica e l’Europa centro-orientale, per esempio ci siamo occupati di Robert Musil di cui abbiamo pubblicato dei testi inediti. Musil è un autore che avevo già studiato quando non c’era ancora il CSSEO. A metà degli anni Ottanta, con Massimo Libardi curammo una raccolta di testi – intitolata L’ultimo giornale dell’imperatore – che Musil aveva pubblicato su una rivista che si stampava a Bolzano durante la Grande Guerra. Si chiamava Tiroler Soldaten Zeitung, poi solo Soldaten Zeitung. Sulla Soldaten Zeitung ci siamo a lungo appassionati.
Quali sono i titoli che rendono unico il CSSEO?
Abbiamo la Pravda – quotidiano russo fondato nel 1912 organo di stampa ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica – dal 1917 al 1991. In Italia non ci sono molti numeri e solo dagli anni Cinquanta in poi, noi invece, un po’ in carta e altri in formato digitale, ce li abbiamo tutti eccetto un paio del ’17, ma non ci sono neanche a Mosca. Poi abbiamo in formato digitale l’Izvestija – quotidiano russo fondato a San Pietroburgo nel 1917 – dal 1917 al 1982. L’Izvestija l’abbiamo digitalizzata in Polonia, alla biblioteca slavistica di Praga e, ovviamente, in Russia.
Secondo lei quali sono le “chicche” del vostro archivio?
Abbiamo vent’anni di servizio di traduzione della CIA: pile di fascicoli di testi tradotti in inglese. Durante la guerra fredda, due agenzie statunitensi riconducibili alla CIA – la Foreign Broadcast Information Service e la Joint Publication Research Service – si occupavano di tradurre quotidiani, serie tematiche, riviste, trasmissioni radiofoniche, documenti di partito dei Paesi sovietici. La selezione veniva fatta da analisti in base a quello che poteva interessare all’intelligence.
Cosa le appassiona del lavoro di archivio?
Mi appassiona la ricerca delle cose che sto studiando e che mi permettono di gettare una luce diversa sull’argomento. Per esempio, quando ho cominciato a mettere le mani sui libri fatti dalle Guardie rosse, ho iniziato a raccogliere i libri a circolazione interna per i funzionari di partito e oggi ho una delle più grandi collezioni.