Lingue e fortuna

Nella vita ho avuto una fortuna, nascere in Svizzera francese nel cantone de "Vaud", figlia di emigranti italiani, avere un problema con le lingue, e finire con il "vivere di lingue"...
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Spesso quello che può sembrare una debolezza: sei figlia di emigranti, nella vita risulta essere una ricchezza.

Quante persone che hanno avuto una debolezza a scuola poi hanno trasformato questa fatica in una vittoria sulla vita? Pensiamo a Daniel Pennac scrittore di novelle per bambini, ma ben adatte anche agli adulti. Nel suo libro "Diario di scuola" racconta la scuola vista da un somaro, egli stesso, racconta la sua mamma ormai un po' "persa" data l'età, che nel vedere il figlio in televisione intervistato mentre presenta i suoi libri, confida all'altro figlio, il meno famoso dei Pennac della famiglia, "ma quand'è che questo ragazzo finirà di darmi problemi con la scuola?".

Ho iniziato ad occuparmi di bilinguismo precoce, quando i miei figli avevano 3 e 4 anni. Convinta che un approccio alla lingua molto precoce potesse aiutare. Io che, nata a Losanna ed arrivata in Italia (?!) Alto Adige - Südtirol, già a tre anni con le lingue avevo dovuto "combattere".

Sentivo due francesi parlare tra di loro e li capivo, era la seconda lingua con cui ero venuta a contatto. Ma nello stesso tempo la sensazione, che ancora perdura, è quella che "ti manchi un braccio", non riesci ad esprimerti come vorresti, in quel francese che hai "toccato" da piccola, perché manca lo studio e la conoscenza.

Lingue. Conoscenza sì, ma anche competenza. Competenza intesa come capacità nell'usarle.

Ho trascorso gli ultimi tre giorni a Barcellona, nell'ambito di un progetto ambizioso. Il Voluntariat per les Llengües, il volontariato linguistico, un progetto nato a Barcellona, premiato dalla Commissione Europea come una delle  best practices, per l'apprendimento linguistico in età adulta, Scovato tra questi dal Direttore della Ripartizione Cultura Italiana Antonio Lampis e che ha avuto il sostegno dell'Assessorato di Christian Tommasini.

A Barcellona, oggi, ci siamo tornati insieme a quasi una ventina di corsisti, fanno parte di un progetto FSE, coordinato da UPAD, per promuovere il progetto, farlo crescere.

Donare la lingua a chi ha voglia di impararla. Mettere a disposizione 10 ore del proprio tempo per fare in modo che chi la tua lingua non la sa, la impari, la usi, al di là della regolazione grammaticale, della revisione professorale. Un "prodotto al consumo" hanno definito i catalani la loro lingua. Più la usi più ti viene voglia di usarla.

Non hanno uno Stato forte dietro di sé, non c'è un'Italia, una Germania, una Spagna a garantire il mantenimento di una lingua, c'è una coesione sociale, un sentirsi parte di un tutto, la comunità catalana. Hanno subito forti pressioni, arresti, torture, della generazione immediatamente precedente alla loro, per aver parlato, pubblicato libri, insegnato il catalano durante la dittatura franchista.

E' per questo che ti guardano con un sorriso di gratitudine se li saluti con un "adeu" invece che con un "adios", ossia se ti avvicini alla loro lingua.

Progetti di Volontariato Linguistico nelle carceri femminili, una filologa polacca in Catalunya da 5 anni che si sente in grado di scrivere storie in catalano, e riesce a pubblicarle in un libro, dopo così pochi anni di permanenza in questa terra.

"Dinamizzatori" la qualifica tecnica attribuita in Catalunya, alle persone che il progetto lo rendono dinamico, lo pensano e lo ripensano, tengono relazioni umane, contattano le persone, cercano i volontari, i donatori di lingua, a casa propria, mentre gli apprendenti, coloro che la lingua la vogliono imparare gli "piovono" in casa, perchè arrivano dai corsi di catalano organizzati dai centri per la normalizzazione linguistica.

Imparare il catalano per coloro che arrivano migrando, i "nouvingut" come li chiamano loro con profondo rispetto: "i nuovi venuti", è molto più facile, molto più naturale, privo di pregiudizi, rispetto ai castigliani, che si portano dietro anni di conflitto linguistico.

Una realtà molto vicina a quella dell'Alto Adige Südtirol, la realtà Catalana, e con una ricchezza incommensurabile, la voglia di unirsi, di far sentire tutti parte della propria comunità.

Catalunya no és tot el món, però tot el món està a Catalunya. Ti accolgono così, per dire che sono consapevoli che la migrazione c'è e che loro non sono l'ombelico del mondo. E per questo parlano di inclusione sociale e non di integrazione. Pensano che integrare, implichi un integratore ed un integrato, mentre l'inclusione sia un processo sociale. Una persona si sente inclusa automaticamente dalla società, se la società fa uno sforzo, e l'individuo ne fa un altro.

I castigliani criticano i catalani, li considerano autoritari, pensano che "obblighino" gli altri a parlare la loro lingua. Ma non è così.

Non obbligano nessuno, e attraverso il progetto di Voluntariat per la Llengua, che in Alto Adige-Südtirol, ha preso il nome, in loro onore, di Voluntariat per les Llengües, danno una possibilità in più a chi vuole di parlare, usare, sperimentare la loro lingua. Come sappiamo bene, non basta sapere la grammatica, la fonetica, avere un vocabolario per essere in grado di usare una lingua.

" Vogliamo usare la persuasione e non la regolazione grammaticale, per fare in modo che tutti parlino la nostra lingua". Queste le parole di Ester Franquesa Bonet, directora della Secreteria di Politica Linguistica de Catalunya, un ufficio che si occupa della politica linguistica per i 7.000.000 di abitanti la Catalunya, che sta proprio alle dipendenze del Presidente della Catalunya. Una politica linguistica condivisa. Una società costruita non sulla divisione per lingua familiare, ma per capacità o meno di parlare la lingua dell'altro. I bambini? Tutti alla stessa scuola e in base alla densità abitativa, più o meno castigliani, più o meno catalani, più o meno ore di castigliano e catalano a scuola, ma non come materia, se non come lingua veicolare.

Il Ministro della Cultura catalana, Ferran Mascarell, orgoglioso che l'Alto Adige Südtirol, grazie ad un lavoro congiunto di politica e società civile, abbia importato il progetto, e che ci ha ricevuto, ha parlato ai nostri potenziali futuri dinamizzatori linguistici, della garanzia che la scuola dà ai ragazzi, di uscire bilingui dalla scuola e di poter decidere in base alla libertà personale, se usare il catalano o il castigliano. Ha anche raccontato quanto l'uso della loro lingua sia fatto in modo rivendicativo, ma sopratutto ludico e divertente e questo lo hanno raccontato tutti, i volontari che donano il catalano, gli apprendenti che lo ricevono, le Camere di Commercio locali, che sensibilizzano gli esercizi commerciali ad aderire al progetto.

In Alto Adige Südtirol, grazie al Voluntariat per les Llengües, di cui ho l'onore di far parte, 1300 coppie linguistiche, quasi 2.600 persone sono impegnate senza essere pagati, a voler donare e imparare: il tedesco ad altri italiani o l'italiano ai migranti. Amicizie che si creano, conoscenze che si approfondiscono, paure che svaniscono.

Grande, grandissima lezione di vita.

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