Vittorio Cavini
Foto: Rai bz
Society | Ricordo

Il coraggio sorridente

In memoria di Vittorio Cavini

La notizia della scomparsa del giornalista Vittorio Cavini mi raggiunge nei giorni in cui, dal lontano Giappone, arrivano notizie delle imprese esaltanti dei nostri atleti paralimpici. È un coincidere che viene quasi in modo naturale e che non mi sorprende, così come non dovrebbe meravigliare chiunque abbia conosciuto in modo poco meno che superficiale la figura di Vittorio.

Nella sua vita hanno trovato espressione concreta quei valori e quei sentimenti che animano questi ragazzi e queste ragazze che danno prova, giorno dopo giorno, di saper superare i limiti imposti loro dalla malattia o da altre vicende umane. In questo senso Vittorio Cavini è stato un precursore, il partecipante vittorioso ad una gara combattuta per buona parte dell’esistenza.

Il Vittorio Cavini che ho imparato conoscere da vicino, al mio arrivo presso la redazione Rai di Bolzano, nei primi giorni del 1988 era già stato toccato nel fisico da una malattia, la sclerosi multipla, che di regola lascia ben poche speranze di una vita normale a coloro che se la trovano addosso come un pesante fardello.

Vittorio era approdato alla Rai di Bolzano alla fine degli anni 70, quando era partito il Tg regionale. Giungeva dall’esperienza fatta presso quella singolare iniziativa politico/giornalistica che era stata, a cavallo tra il 1967 e il 1972, la pagina altoatesina del quotidiano Il Giorno. Conclusa quell’esperienza, Vittorio Cavini, al pari di quasi tutti gli altri redattori che le avevano dato vita, fu trasferito nella sede centrale di Milano. Gli affetti e la passione per questa terra lo chiamavano però ad un ritorno quanto più rapido possibile.

Quando lo conobbi ed iniziai a lavorare assieme a lui era già malato. Ebbene, benché io non possa mettere una mano sul fuoco riguardo ai suoi sentimenti e i suoi pensieri quando era fuori dalla redazione, in quegli anni io non l’ho mai visto una sola volta angosciato, disperato, deluso per quello che il destino gli aveva riservato. Il suo modo di affrontare i limiti che la malattia, giorno dopo giorno, gli imponeva era quello di sorridere, dimostrare una serenità che, era evidente a chiunque lo osservasse, non era una maschera, ma nasceva dal profondo.

E c’era, poi, la sua assoluta indisponibilità ad accettare che l’invalidità diventasse una barriera tra sé stesso e le cose che voleva fare. Ricordo un episodio tra i tanti. Si era innamorato della figura e della vicenda umana di un religioso trentino, Padre Eusebio Chini, che, tra il seicento e il settecento, aveva dato una dimensione così possente al proprio impegno missionario per le popolazioni indigene delle terre tra Messico California e Arizona,da diventare una figura quasi mitica per gli abitanti di quelle terre. Cavini riuscì a tradurre quella storia in documentario, grazie anche alle immagini dell’operatore Paolo Tomasini, che fu il suo compagno di avventura in un viaggio pieno di disagi che avrebbero forse scoraggiato anche una persona in piena salute.

Era il prologo di quello che sarebbe stata la vita di Vittorio una volta lasciata la redazione. Molti altri si sarebbero chiusi in casa a compiangersi, condannandosi ad un destino di progressiva immobilità. Lui, grazie soprattutto all’impegno infaticabile e memorabile di una moglie che lo ha assistito e accompagnato ovunque, ha iniziato a girare il mondo. La sua sedia a rotelle è stata imbarcata su aerei, navi, sui treni della Transiberiana, per un altro tragitto che in genere spaventa anche viaggiatori in piena forma.

Tornava sempre a Merano, dove affondavano le sue radici in una famiglia numerosa e affezionata, in un ambiente sociale e politico nel quale profondeva tutto il suo impegno. Viaggiava e scriveva, della sua vita e delle sue esperienze, di quel suo modo coraggioso e guascone di sfidare la malattia. Come fanno gli atleti di Tokio, regalandoci, in questi giorni, un meraviglioso esempio di forza morale.