“Cerco l’eccellenza, senza pregiudizi”
Ingrid Fliter è la Presidente di Giuria della 64a edizione del Premio Busoni: abbiamo incontrato la pianista argentina, già IV premio al Busoni nel 1998, per farci raccontare il concorso dal suo punto di vista privilegiato.
salto.bz: Signora Fliter, dall’esterno il compito di un giurato può apparire semplice: quali sono invece le difficoltà legate a questo impegno?
Ingrid Fliter: Sedere nella giuria di un concorso è un compito difficilissimo! Innanzitutto bisogna “donarsi” completamente ai giovani che si stanno ascoltando in modo da essere sia completamente imparziali sia permeabili: imparziali perché si deve ascoltare senza pregiudizio, mettendo da parte l’idea che un giurato, come pianista, può avere di un determinato brano e del modo di suonarlo, e invece mettendo in campo un ascolto aperto e fresco. Permeabili perché bisogna essere sempre disposti a lasciarsi trascinare e a farsi emozionare dal messaggio che l’interprete sta lanciando. Bisogna sempre rendere “giustizia” ad ognuno dei partecipanti, andando oltre i tanti concetti con cui ognuno di noi è cresciuto. Abbiamo di fronte persone diverse, espressioni diverse: la nostra ricerca, mia e di tutta la giuria, è in direzione di uno stesso livello di eccellenza.
Quali sono le caratteristiche che rendono un pianista “eccellente”?
L’eccellenza è frutto di un connubio vincente: da un lato ci deve essere una tecnica pianistica naturale e risolta, che permetta di esprimere liberamente il messaggio musicale. E per tecnica non intendo la meccanicità, la pura capacità di suonare tutte le note, e di suonarle forte e veloce: dominare la tecnica significa riuscire a tradurre in gesto tutte le sfumature della musica, la struttura del brano, le sue emozioni, in modo da arrivare al pubblico e trascinarlo. E qui entra in gioco l’altro elemento indispensabile, il carisma: un interprete deve saper catturare l’attenzione del pubblico, deve emozionare e suscitare la voglia di riascoltarlo.
Quanto è importante – al di là della vittoria – la partecipazione ad un concorso per un giovane pianista che sogna di affermarsi come concertista?
È importantissimo. E lo dico pensando anche a chi è stato fermato dopo le prime fasi: già il fatto di preparare un repertorio così lungo e difficile è una vittoria, una soddisfazione personale; c’è poi la ricchezza dell’esperienza di esporsi non solo davanti a una giuria internazionale, ma a un pubblico internazionale dato che il Busoni grazie allo streaming è seguito in tutto il mondo. Poi, naturalmente, chi riesce ad andare avanti ha maggiori opportunità: si rinforza, crede di più in sé stesso. E arrivare a vincere un premio che ti permette poi di esibirti in concerto in tutto il mondo è una straordinaria occasione di crescita.
Nell’annunciare i concorrenti selezionati al termine della semifinale, lei ha raccomandato agli esclusi di non farsi abbattere e non farsi prendere dallo scoraggiamento. Nei curriculum dei pianisti affermati si citano sempre i successi, i premi vinti e i riconoscimenti, mai (ovviamente) gli insuccessi: nel suo caso, ci sono stati momenti di grande scoraggiamento e sfiducia? Come li ha superati?
Certo che anch’io ho avuto momenti di sconforto e sfiducia. Dirò di più, anche per un artista affermato la lotta dentro di sé è quotidiana: abbiamo un obiettivo chiaro, ma non sempre conosciamo la strada per raggiungerlo, né quanto ci vorrà. Io ho imparato che nella musica bisogna essere molto pazienti, alimentando giorno per giorno la curiosità e la voglia di imparare, nutrendo la nostra fiamma interiore, una passione senza la quale non si può riuscire in questa professione.
Rispetto all’edizione a cui lei partecipò nel 1998 il Busoni è cambiato molto: da annuale è diventato biennale, con una selezione a distanza, ed è stato introdotta la prova di musica da camera. Come valuta queste modifiche?
Sono fondamentali: tra le cose che apprezzo maggiormente c’è l’inclusione della musica contemporanea, una scelta molto in linea con la visione di Ferruccio Busoni, che fu un artista rivoluzionario e visionario – raccomandava lo studio dei classici, ma calandosi nel presente. E naturalmente sono molto felice che sia stata introdotta la prova cameristica: l’artista di oggi deve essere eclettico, capace di aprirsi a nuovi orizzonti, alle collaborazioni; non si può più pensare di fare una scelta univoca.
Quando arrivò a Bolzano per sostenere il Busoni, che impressione e che impatto ebbe su di lei questa città?
Un impatto bellissimo. Adoro questa città, non solo per le bellezze naturali di cui è circondata e per il fascino architettonico (mi piace vagare tra i vicoli del centro). Di Bolzano mi colpisce la forte tensione culturale che la anima: non è una città rilassata, si percepisce l’energia vitale di una città che nel suo essere di confine unisce le diversità ed espande i propri confini.