LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Narrare scientificamente la dipendenza affettiva - o quella d’amore e/o sessuale - potrebbe risultare un’esperienza decisamente impegnativa. Argomento articolato, vasto e complesso e, a ragion del vero, la mia intenzione inizialmente non è stata quella di trattare questo tema che, seppur eterno e universale, non si adattava alle mie necessità. Affascinato dall’universo delle prospettive, come prisma che riflette differenti visioni della propria realtà, la precipua analisi di quel “prodotto” immaginario - creato dalle “nozze” chimiche tra neuroni – destava il mio interesse. Molti filosofi, psicologi, fisiologi hanno approfondito questo particolare aspetto dell’essere umano. Sia nel suo “flusso” regolare, sia sotto la “veste” patologica.
Secondo Jung esiste un’immagine tipica archetipica “contrassessuale”, ossia un’immagine della donna nell’uomo, e l’immagine interiore dell’uomo nell’inconscio della donna (Animus e Anima). In altri termini, siamo composti da una psiche “ermafroditica”, quanto maschile quanto femminile. Principio che si adatta ai parametri di una psicologia concepita per “singolarità contrapposte” (come maschile e femminile). La differenza essenziale tra la passione amorosa di una relazione “sana” e l’amore-passione di una “relazione dipendente” è paragonabile a quella che esiste tra un buon piatto consumato con piacere e un raptus alimentare consumato con “voracità bulimica”. Il piacere che ne deriva risulta essere qualitativamente e quantitativamente molto differente. Nel primo caso il piacere dei cibi che compogono il piatto è temporaneo ma soddisfacente, e la sua assenza provoca una frustrazione parimenti temporanea. Nel secondo caso l’alimento serve essenzialmente a riempire, a compensare, e viene usato in gran quantità senza appagamento né soddisfazione. La differenza sta nel piacere e nella soddisfazione passionale od alimentare che sia. In tal senso, e da una differente prospettiva, il matrimonio potrebbe essere visto come un atto di amore estremo o sommo egoismo destinato a colmare “vuoti” su vari livelli (solitudine, ansia, depressione, insicurezze personali ecc.): la paura di perdere l’altro fa nascere un sentimento d’insicurezza intollerabile, pari a quello del bambino che teme di perdere la madre. Per tale motivo ci sono individui, “programmati” più di altri, che vivono nella coppia ricreando continuamente un contatto che tiene lontano lo spettro del reciproco allontanamento.
E, come miraggio, nella membrana vitrea degli occhi, si presenta l’immagine dei miei nonni: l’interazione raggiante, sincrona, a volte scontrosa - ma nella fattispecie paradossalmente di comune accordo -, mi affascinava. Il de otio del rapporto di coppia per antonomasia; due vite in un “globo” di vetro “intossicate” dall’abitudine di stare insieme… morirono a breve distanza l’uno dall’altra. Nella dipendenza affettiva si percepisce l’impellente bisogno di vivere il proprio “oggetto” d’amore e la costante necessità di stare insieme. In questa circostanza la minima separazione genera sofferenza e dramma. La vita quotidiana - sia professionale che personale - é perennemente invasa dall’immagine, dal desiderio e dal vissuto dell’altro. I propri bisogni e desideri individuali vengono negati e annullati in una relazione simbiotica. Anche se, diversamente da quanto comunemente si crede, l'amore nasce dall'incontro di due unità, non di due metà, senza annullarsi, senza perdersi nell'altro.
A. Giddens riporta specifiche caratteristiche della dipendenza affettiva paragonabili alla dipendenza da droghe: l’ebbrezza; la dose; la perdita dell’Io e via dicendo. Mettendo da parte l’ipotesi dell’apprendimento sociale, Giddens sostiene che la dipendenza affettiva è una vera e propria “reazione difensiva di fuga”, un riconoscimento di mancanza di autonomia. Le persone con dipendenza affettiva hanno appunto alle spalle una storia infantile di maltrattamenti fisici e psichici da parte di adulti; presentano comportamenti attuali caratterizzati dalla forte subordinazione dei propri bisogni a quelli degli altri con una conseguente perdita di identità e una bassissima autostima (J.L. Herman, 1992).
Uno dei principali fattori eziopatologici delle addiction, dunque, risiederebbe nelle relazioni traumatiche vissute nella prima infanzia. In tal senso la dipendenza affettiva avrebbe funzione di auto-cura che il craving sostiene. Questa confusione provoca una tale eccitazione che le due parti sono spinte ad agire come se l’apparenza ed il modo di fare siano fondamentali: si cerca di mostrare il meglio di sé, di catturare l’altro, come se questa volta fosse arrivato l’essere straordinario tanto atteso. In questa "danza" narcisistica si diventa di colpo capaci di interessarsi ad argomenti “insipidi” o stupidi, poiché tutto diventa commestibile se proviene dalla persona amata. Si diventa subito capaci di trovare i mezzi per iniettare dosi di novità o di cambiamenti.
Per quanto, invece, concerne gli uomini e le donne che sostengono di amare ma, che son dediti/e a costanti ed accaniti tradimenti, essi/e usano il rapporto coniugale come “porto d’attracco” rassicurante, e le/gli amanti utilizzate/i come “oggetti” a consumo limitato coll’unico scopo di soddisfare il bisogno di sensazioni forti. La prima condizione permette di soddisfare meglio la seconda. L’unione delle due costituisce un tutto coerente e ben organizzato che consente al tempo stesso di trovare dei modi per riempire il vuoto, per avere un legame sicuro e controllare l’altro.