Kaffee und Zigaretten
Fanno sempre discutere le produzioni dello scrittore tedesco Ferdinand von Schirach, che siano libri, spettacoli teatrali o film basati sui suoi testi. Il più recente “caso” riguarda il film televisivo passato sulla prima rete televisiva pubblica tedesca: Gott (Dio) di Lars Krause è basato sull’omonimo testo dello stesso Ferdinand von Schirach che riguarda l’etica del suicidio assistito dopo la clamorosa vertenza della corte costituzionale tedesca dello scorso 26 febbraio che prevede di approvare le richieste di persone che vogliono morire per loro volontà.
Questo Kammerspiel è uno splendido esempio di come sia possibile affrontare, con dialoghi ben costruiti grazie a una scelta di parole semplici, concetti troppo tecnici onde creare una discussione chiara e intelligibile per tutti. Von Schirach è un ottimo conoscitore del linguaggio del diritto civile essendo stato lui stesso per tanti anni un avvocato e sa come esporre al meglio un argomento affidando le sue tesi ai diversi personaggi che interpretano esperti dei vari settori implicati (un medico generalista, un’esperta di diritto costituzionale, un medico membro della commissione nazionale dei medici e un vescovo) e le persone coinvolte in un simile procedimento giuridico.
Punto di partenza è il desiderio di porre fine alla propria vita da parte di un uomo di 78 anni che aveva perso la moglie due anni prima dopo aver condiviso con lei la dolorosa fase terminale della sua malattia tumorale. Questa situazione era stata difficile da vivere per entrambi, non essendo al tempo ancora stato autorizzato ufficialmente un “aiuto” per la morte della donna, ad esclusione di quello passivo, ossia lo spegnimento delle macchine che la tenevano in vita su esplicita richiesta di quest’ultima… L’uomo sottolinea di aver vissuto appieno la sua vita insieme alla moglie e che vuole evitare una fine che potrebbe essere molto simile alla sua.
L’autore Ferdinand von Schirach non è interessato a proporre opinioni facili o soluzioni, anzi, vuole interrogare i diversi punti di vista, stimolare a fare altrettanto e soprattutto passare il testimone a chi guarda il film, ossia il pubblico televisivo in questo caso… Regia e montaggio sottolineano in parte densità e intensità del filmato, sebbene entrambi gli aspetti siano supportati a meraviglia soprattutto dai e dalle interpreti dei singoli personaggi che con maestria recitano le parti loro affidate, rendendo molto gradevole e attenta la visione di un film che potrebbe risultare assai ostico.
Qui vogliamo però presentare un piccolo libro uscito alla fine del 2019 in Germania dal titolo promettente Kaffee und Zigaretten, sì, esattamente come quel Coffee and Cigarettes che Jim Jarmusch aveva usato per il bellissimo film del 2003, in cui aveva unito 11 cortometraggi che riguardavano ognuno la scena tipica del “caffè con sigaretta”, interpretati tra gli altri da Roberto Benigni, Tom Waits e Iggy Pop. Von Schirach nel suo libro segue un po’ quello schema, riunendo 48 storie brevi senza alcun nesso logico, se non quello che tutte riguardano un po’ sue esperienze personali o riflessioni o ricordi di situazioni comunque valide per ognuno di noi. Lo stile narrativo è il suo solito, con un linguaggio molto asciutto espone vari episodi vissuti nel corso degli anni, come se avesse rovistato nei suoi quaderni di appunti o nella sua memoria, lasciandoli nel loro contesto di purezza reale, un aspetto che non di rado offre spunti per riflettere a nostra volta sulle connessioni storiche da lui offerte o su come a volte realtà e finzione si superino a vicenda.
La lunghezza dei singoli racconti è assolutamente arbitraria, si passa da più pagine a poche righe, da flussi di memoria personale o storico politica, letteraria e cinematografica a sapienti tessiture con citazioni di altri autori, come ad esempio Ernest Hemingway o Scott Fitzgerald o Dylan Thomas. Tutto nel senso delle poche righe citate sulla quarta di copertina: “Allora non esisteva il tempo, così come il tempo non esiste nei ricordi, era sempre e unicamente l’estate in cui eravamo giù al fiume a pescare le trote, e io pensavo che mai più potesse cambiare qualcosa…” Sono tratte dal passaggio forse più personale in cui l’autore narra della morte del padre, narrata in un modo per cui non sapremo mai se quella storia appartiene davvero a lui, se gli era stata raccontata da qualcuno o se l’aveva letta da qualche parte. Il libro viene denominato come “libro più personale” - sarà vero? Di certo non è fondamentale saperlo, per leggere le sue quarantotto storielle, in cui a volte giace la potenza di un romanzo intero. Che a volte celano un filo di ironia e altre tolgono quel velo che spesso aiuta a non (voler) vedere…