Jobs act: ovvero come togliere diritti ai giovani

Partiamo dall’agosto 2014. Polemiche ferragostane sull’art 18 tra Maurizio Sacconi (Ncd) e Nicola Fratoianni (Sel), così dichiarò il 13 agosto il Premier Renzi. Neanche un mese dopo l’art. 18, era, sempre per Renzi, la madre di tutte le battaglie!
Ricordiamo che il dibattito e la proposta del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, era iniziato in un contesto completamento diverso e senza modifiche all'articolo 18 della Legge 300, (Licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, Reintegrazione nel posto di lavoro).
E’ evidente che non è la UIL che ha cambiato posizione sul contratto di lavoro a tutele crescenti. Lo sostiene qualcuno che “forse” pensava di utilizzarlo per “riformare” il mercato e il diritto del lavoro riscrivendo le norme dello Statuto dei lavoratori in senso restrittivo. Ci troviamo di fronte all'ambiguità di certo riformismo che considera riforma qualsiasi cambiamento a differenza di chi, e la UIL è certamente tra questi, ritiene che il contenuto sia più importante del contenitore e delle definizioni.
Il Parlamento il 10 dicembre, quindi ha approvato il Jobs Act, Legge 10 dicembre 2014, n. 183, che contiene cinque deleghe su: ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive, semplificazioni, riordino delle tipologie dei contratti, conciliazione vita-lavoro.
Quindi Il 24 dicembre il Governo ha varato il primi due decreti sul jobs act.
Contratto a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori sociali.
Il contratto a tutele “crescenti” dovrebbe significare che le tutele aumenteranno con il passare del tempo. Peccato che non sia così, infatti il nuovo assunto, se verrà licenziato, il suo indennizzo sarà solo di natura economica. Quindi in realtà è un contratto a tutele calanti! Sarà più facile licenziare.
Le nuove regole si applicano soltanto ai nuovi assunti. Chi ha già un contratto a tempo indeterminato, dunque, mantiene lo Statuto del passato.
Con le nuove regole si penalizzando ancora i giovani!
Certo rimane anche il reintegro sul posto di lavoro, ma solo in caso di licenziamenti nulli e discriminatori.
Così non va! Di fatto si sono monetizzati i licenziamenti.
La promesse di maggiori tutele per i giovani si è conclusa, così, a favore solo degli imprenditori giovani e non.
La strada maestra, per la tutela dei lavoratori da licenziamenti individuali, senza giusta causa o giustificato motivo, rimane il mantenimento dell’art.18, che non è nè un totem né un tabu, è solo uno strumento che tutela la parte più debole!
La strada per combattere il precariato è quella di ridurre le forme contrattuali atipiche ed il cui costo deve essere più alto, in quanto la flessibilità precaria si paga di più. Il contratto a tempo indeterminato quale forma di contratto centrale va invece incentivato strutturalmente con vere tutele. Ma dove sono gli stanziamenti per ricerca e innovazione, veri propulsori per nuova occupazione.
Il secondo Decreto è sugli ammortizzatori sociali, contiene anche cose positive, peccato che manchi la parte importante: la copertura economica.
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