Se vuoi puoi
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* Come chiedere l'aumento. Strategie e pratiche per darti il giusto valore, Milano, Fabbri Editori, 2024
Già che ci siamo vi segnalo anche: Le signore non parlano di soldi, Milano, Fabbri Editori, 2023Grazie a uno dei miei svariati lavori, in questi giorni ho la fortuna di incontrare molte donne particolarmente interessanti. Ve ne parlerò più avanti. Ma intanto, ho pensato di girare alla donna che reputo la più competente in materia, una domanda che mi è stata posta di recente: “Tutta questa questione sulla dipendenza economica e la violenza economica vissuta dalle donne, non è un tantino esagerata? Oggigiorno, chi lo vuole davvero, dai, ce la può fare a costruirsi e mantenere la propria indipendenza, o no?”
Non voglio privarvi della risposta di Azzurra Rinaldi, economista femminista, docente di Economia Politica presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma, direttrice della School of Gender Economics e fondatrice di Equonomics:
“Io sono contraria alla narrazione del se vuoi puoi. Il se vuoi puoi ignora il set di privilegi che ognuno e ognuna si porta dietro. Parto da me: Sono una donna bianca, senza disabilità evidenti, sono eterosessuale, sono cisgender. Sono una donna che ha avuto il privilegio di studiare, e sarebbe ipocrita da parte mia ignorare tutto questo privilegio da cui sono partita senza meriti e senza colpe, e dire “ma come ce l'ho fatta io, ce la potete fare anche voi”. Perché per una donna nera è più difficile, per una donna lesbica è più difficile, per una donna con delle disabilità è più difficile.
Poi, per fortuna, ci sono i dati e sono davvero agghiaccianti: ci dimostrano che le donne che vogliono lavorare, spesso non possono lavorare. Per esempio, in Calabria ci sono 12 posti d’asilo nido ogni 100 bambine e bambini e laddove culturalmente quando non c'è la struttura è la mamma che deve fornire il servizio di cura, questo è chiaramente un circolo vizioso. I dati dell'ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che sul totale di tutte le dimissioni richieste l'anno scorso sul territorio nazionale, donne e uomini, il 73% viene da madri lavoratrici. E quando si chiede loro le motivazioni, rispondono “Io non ce la faccio. Non ce la faccio perché la mia giornata è talmente piena di cura non retribuita nei confronti dei figli, della casa, dei genitori miei, dei genitori altrui, che non riesco più a lavorare.” Se in Italia una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio, abbiamo un differenziale che aumenta ad ogni figlio. Mentre ad ogni figlio gli uomini beneficiano del paternity-bonus, cioè, la cultura attribuisce loro la funzione di bancomat familiare, quindi devono lavorare di più, guadagnare di più, portare più soldi a casa e il mercato del lavoro questo lo sa e li premia. Ad ogni figlio le donne, invece, perdono sia in termini di retribuzione che in termini di tasso di occupazione, perché la società attribuisce loro automaticamente il ruolo della cura. E quindi, se proprio vuoi lavorare, prendi un part-time! Ricordiamo che in Italia lavora una donna su due e di quelle poche donne che lavorano, una su due lavora in part-time. Quindi in Italia, a tempo pieno lavora solo il 25% delle donne che potrebbe effettivamente lavorare.
I dati sono tantissimi. Certo, io preferirei che la situazione fosse così, che se vuoi puoi. Preferirei poter dire che le donne che non lavorano, lo fanno per scelta. Questo mi rasserenerebbe moltissimo. Purtroppo, non è così. Purtroppo, c’è una serie di fattori sistemici per i quali le donne vorrebbero lavorare, ma non sono messe in condizioni di farlo. Nel mio ultimo libro* ho scritto un capitolo intero sul se vuoi puoi. No, non è assolutamente così. Inoltre, l'effetto di questa narrazione è deleteria: una forma di vittimizzazione secondaria. Voi mi create una situazione per cui io non posso farlo e poi, guarda un po', è colpa mia? Bisogna togliersi questa cosa di mente!”
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