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Ma tu per chi voti?

Alcune riflessioni su elettori e campagne elettorali a poco più di un mese dalle "comunali altoatesine".

Quando alle elezioni manca, come adesso, poco più di un mese, si usa dire, con un'espressione ormai ben consumata dall'uso, che la campagna elettorale "entra nel vivo", anche se, negli ultimi anni, di vivo, nelle campagne elettorali, è rimasto ben poco.
È arrivato quindi il momento di porsi un quesito cruciale: servono a qualcosa le campagne elettorali?

La risposta non può prescindere dall'atteggiamento di coloro che di tutti questi sforzi sono, o dovrebbero essere, i destinatari e cioè gli elettori.
La campagna elettorale, in teoria, è diretta a influenzare l'opinione di coloro che ancora non ne hanno maturata una, ovverossia di quella categoria degli "indecisi" che i sondaggi di opinione danno quasi sempre come maggioritaria all'interno del corpo elettorale.

Da un lunghissimo periodo di attenta osservazione ho ricavato invece la convinzione che coloro che vanno a votare (e purtroppo sono sempre di meno) possono essere agevolmente divisi, per ciò che attiene al processo di formazione della loro opinione politica, in quattro categorie fondamentali.

Quelli che hanno un'opinione precisa e sono pronti a manifestarla. Una schiera ormai abbastanza sparuta, erede di quelle masse enormi che un tempo formavano il cosiddetto "zoccolo duro" dei partiti. Opinioni forgiate nell'acciaio, a partire dalle mitiche elezioni politiche del 1948, con una fedeltà assoluta ai simboli mantenuta attraverso decenni di scandali e di polemiche. Si votava lo scudocrociato, si metteva la croce sulla falce e il martello, sul sole nascente, sull'edera o sulla fiamma tricolore, senza dubbi, ripensamenti o partigianeria di sorta. Alla campagna elettorale si partecipava non per avere chiarimenti, ma con lo stesso spirito dell'ultras che si avvia a sostenere la propria squadra di calcio.

Quelli che un'opinione ce l'hanno ma nulla confesserebbero mai. Sono molti più di quanto si crederebbe frutto di un processo interno di dissimulazione che trova le sue radici in antiche abitudini e precauzioni che sono entrate a far parte del DNA italiano, per ragioni più che comprensibili, dall'alba dei tempi. Nei momenti più torbidi della repubblica romana, manifestare il proprio appoggio alle ragioni di Mario, mentre nelle vicinanze stazionavano di sgherri di Silla poteva voler dire finire annegati nel Tevere. Così, nella Firenze trecentesca, essere indicato come ghibellino, poteva significare l'esilio perpetuo anche se avevi scritto la Divina Commedia. È una prudenza che ha dunque ragioni secolari quella di chi nega la verità sui propri propositi elettorali anche all'intervistatore più neutrale. Sono indecisi ma solo all'esterno.

Quelli che hanno già deciso ma non lo sanno. Anche questa è una categoria di elettori più robusta di quanto non si potrebbe credere. Sono in genere persone che non si occupano ogni giorno di politica, che non ne discutono al bar o in ufficio, che si interessano del mondo che li circonda, ma senza trarre ad ogni momento le conseguenze ultime dalle cose che vedono, che sentono, che pensano. Se li si coglie di sorpresa con una domanda sui loro orientamenti, risponderanno probabilmente di non avere ancora un'opinione precisa, ma in realtà nel loro intimo, la decisione è già presa. Basterà quell'attimo di riflessione il giorno del voto, magari appena prima di entrare in cabina e verrà fuori.

Quelli che veramente non hanno deciso (e forse non decideranno mai). Sono gli unici veri indecisi, quelli ai quali la campagna elettorale degli ultimi giorni serve veramente per mettere assieme un'opinione, per scegliere il partito o il candidato da votare. In questa categoria si colloca anche il gruppo meno numeroso dei super indecisi. Più che una questione di ideologia è un problema di carattere. Non sanno scegliere. E' già successo che qualcuno di questi uscisse dalla cabina, chiedendo all'attonito presidente di seggio una nuova scheda perché, dopo aver votato, aveva già cambiato idea.

Se queste dunque sono le varie "tribù" in cui si dividono gli elettori, verrebbe da chiedersi se servano veramente a qualcosa le campagne elettorali. Il quesito è più che legittimo dato che noi continuiamo a celebrarne i fasti con le stesse modalità (le tribune radiofoniche e televisive, gli appelli, il volantinaggio al mercato, la giornata di "silenzio" pre-elettorale) pensate in un'epoca nella quale non esisteva ancora la televisione e si andava a votare sui carretti trainati dai muli.

Fatto sta che le elezioni continuano ad essere uno dei momenti caratterizzanti della nostra vita sociale e che, se le elezioni devono essere, sembra inevitabile che vi sia anche le campagne elettorali.

E dunque: buona campagna a tutti!

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Massimo Mollica Tue, 03/31/2015 - 23:57

Bell'articolo!
Io credo che la disaffezione nasca dalla mancanza di ascoltare la gente. Rimane il fatto che le elezioni sono una bella dimostrazione di democrazia e peccato che sempre più gente venga meno a questa opportunità (anche solo per mandare a quel paese i politici). Io spero che la campagna politica sia meno marketing è più confronto sui contenuti...

Tue, 03/31/2015 - 23:57 Permalink
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Maximilian Ben… Wed, 04/01/2015 - 10:21

In reply to by Massimo Mollica

Caro Mollica, temo che la sua speranza sia vana! E temo anche, che alcune forze politiche sull'astensionismo versino lacrime di coccodrillo. Dalla ridotta partecipazione alle votazioni potranno guadagnare principalmente i partiti grandi - in testa la SVP, segue a ruota il PD. Tutti si adopereranno a spostare l'attenzione mediatica (compiacente) dal tema Kaufhaus, Twenty, Grieser Kellerei, BLS-Kathedrale, Circumvallazioni, asili nido, ecc al tema sicurezza. Per poter contiunare a fare accordi immobiliari torbidi. A volte ho l'impressione, che questi accordi servano solo al prestigio politico (affidabilità über alles!). Non so se nelle seconde file ci sia anche della concussione.

Wed, 04/01/2015 - 10:21 Permalink