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“La nostra università funziona online”

Bolzano, le innovazioni alla didattica e l’epidemia di coronavirus. Baroncelli: “Il 70% dei corsi avanti a distanza, anche su whatsapp”. Gli spunti dal convegno di Bari.
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Foto: Stefania Baroncelli

salto.bz: Stefania Baroncelli, docente e prorettrice alla didattica, l’emergenza coronavirus è l’occasione per mettere in campo le innovazioni per l’insegnamento degli atenei italiani già discusse nel convegno di Bari del 2018, di cui è appena stato pubblicato il volume riassuntivo. Come stanno andando le lezioni a distanza?

Stefania Baroncelli: In maniera si può dire positiva. Da quando abbiamo saputo che l’università sarebbe stata chiusa abbiamo cercato di mettere online i vari corsi. Con tante difficoltà perché ci sono professori già molto bravi, ad esempio nella facoltà di informatica che hanno fatto da apripista, e altri a metà, che magari non avevano molta dimestichezza con questi strumenti. Però è stato un modo per aprire nuovi percorsi, nuovi modi di interagire con gli studenti, i quali hanno ricevuto molto bene l’innovazione. Sono contenti se un docente fa lezione online.

 

La direzione è stata indicata a livello nazionale dal ministero dell’università e ricerca.

Sì, devo dire che è stata manovrata molto bene dal Miur. Subito da Roma hanno promosso una lezione online con i rettori e prorettori di tutte le università, spiegando in che modo fare una lezione a distanza. Tutti si sono subito orientati verso l’attività digitale.

Bisogna garantire che gli studenti imparino una lezione, ma le modalità si possono anche cambiare. Un po’ di creatività.

Quanto dell’offerta didattica dell’ateneo di Bolzano funziona ora in forma telematica?

Abbiamo al momento 438 corsi aperti online, che corrispondono al 70% dell’offerta del secondo semestre, per tutti i nostri studenti che sono circa 4.000. Bisogna anche considerare che questa quota include alcuni tipi di corsi tenuti tramite la piattaforma Teams. Poi ci sono altri corsi già online su altri sistemi. Non vanno inoltre dimenticate le tesi di laurea: anche queste si cominciano a fare online.

 

L’università dunque non è “chiusa”, anche se lo è nei suoi spazi fisici, è così?

Sì, l’ateneo sta funzionando lo stesso nella sua quasi totalità. L’altra settimana abbiamo fatto tre sessioni di tesi di laurea dove lo studente era solo online e i professori in classe. Ma d’ora in poi settimana anche i docenti saranno online. Davvero ci stiamo abituando a fare tutto a distanza, con diverse piattaforme.

 

Quali sono i programmi utilizzati?

Si va da Teams di Microsoft a Zoom, che permette una modalità sincrona, io parlo e lo studente mi vede. Tramite questi programmi si può fare contemporaneamente una chat, con domande a cui il docente risponde via scritta o orale. Ancora, il professore può dare la parola, mostrare immagini, collegarsi ad una lavagna. Altra cosa importante è che le lezioni vengono tutte registrate e messe a disposizione dei frequentanti, che possono riguardarle e capire meglio i concetti.

 

Capitolo esami?

Ci sono esami che abbiamo già fatto online, per il momento solo orali visto che per gli scritti è un po’ complicato. Attendiamo aprile per vedere che succede, poi dovremo trovare un altro metodo.


Sembra di capire che si tratti di un’innovazione per molti versi positiva, al di là dell’emergenza.

Stiamo imparando qualcosa che resterà dopo l’emergenza, quando torneremo a fare le lezioni in presenza, ma dovremo pensare se mantenerne altre online. Un’altra cosa che stiamo facendo è mettere online sul canale youTube dell’università delle lezioni per tutti, microlezioni fruibili durante la quarantena da parte di ciascuno di noi.

 

 

Gli spunti per l’innovazione nella didattica riportano d’attualità proprio il convegno di Bari, nel quale gli atenei italiani hanno affrontato le diverse strategie sull’argomento. Una ragione in più per leggere il volume che ne raccoglie gli atti?

Credo di sì. Il volume che è stato appena pubblicato riguarda da vicino l’innovazione didattica e universitaria e le strategie degli atenei italiani in questo campo. Lo studio segue il convegno ospitato all’università di Bari che riuniva i vari rappresentanti della Crui, la conferenza dei rettori. C’erano 27 atenei e noi siamo intervenuti per illustrare ciò che fa la Libera università di Bolzano. La tendenza delle varie università è garantire delle soft skills, competenze trasversali e multidisciplinari. Noi come Bolzano abbiamo fatto valere la nostra peculiarità: ci distinguiamo per avere un rapporto ravvicinato studenti-professori, per via delle dimensioni contenute, e abbiamo reso disponibili una serie di attività di tutorato ad hoc per gli iscritti del primo anno: gli studi dimostrano che è fondamentale ingranare bene all’inizio per andare avanti con gli studi e ottobre è il mese fondamentale. Ecco il contributo portato al convegno.

 

La panoramica che ha preso in considerazione le buone pratiche delle università che si sono trovate a fronteggiare le calamità, in particolare nell’Italia centrale, e che ora con una nuova emergenza tornano utili. Corretto?

Sì. È stato interessante vedere che ci sono alcune università che hanno sviluppato la didattica a distanza. Camerino ad esempio, oppure Perugia, in seguito al terremoto hanno dovuto riconvertirsi. In un certo senso questi eventi, terremoti e epidemie, influiscono molto sulle modalità di rapporto tra professori e studenti. Anche le università si devono adattare per venire incontro a tutti gli iscritti e in questa fase di epidemia ce ne rendiamo conto ancora di più.

 

Le università “in emergenza” cosa hanno insegnato a tutte le altre?

Ad essere flessibili. Uno dei problemi maggiori è rispettare la normativa che a volte impedisce un cambiamento. Bisogna garantire che gli studenti imparino una lezione, ma le modalità si possono anche cambiare. Un po’ di creatività. Ci sono professori che utilizzano anche whatsapp, l’importante è creare una comunicazione.