Giuseppe Penone. Scultura
Per chi non lo sapesse, dal 19 marzo al Mart di Rovereto è in corso una retrospettiva dedicata a Giuseppe Penone, tuttavia se qualcuno si avventurasse all'interno del museo senza questa informazione, si renderebbe immediatamente conto della presenza delle opere del maestro dell’arte povera, appena varcata la soglia d’ ingresso, perché di fronte si troverebbe l’enorme mole di Spazio di luce, installazione monumentale in bronzo e oro che trova spazio arrampicandosi lungo le pareti del cavedio. La grande scultura, ricavata dal calco di un albero, tagliata in sezioni, il cui interno è completamente ricoperto di foglia d’oro, denuncia immediatamente la sua origine, plasmando in modo spettacolare gli ampi spazi del Mart, e introducendo lo spettatore allo spirito che permea l’intera mostra intitolata semplicemente “Giuseppe Penone. Scultura”. E, a partire da questo spettacolare lavoro, il visitatore si trova calato nello spirito che muove l'artista, perché è letteralmente impossibile non fermarsi a guardare l’aureo incavo e, come spiega Penone: “Osservando il suo interno, il nostro sguardo percorre lo spazio di luce occupato dall’albero e diventa albero.”
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Come accennato, le opere dell’artista segnano profondamente il territorio museale in un intreccio che lega scultura e architettura in modo indissolubile. L'allestimento dell’esposizione che perseguirà fino al 26 giugno, curato dallo stesso Penone e da Gianfranco Maraniello, indaga profondamente il rapporto tra opere e ambiente che le ospita, a partire proprio dal lavoro introduttivo, datato 2008. Lo stretto rapporto tra opera e struttura che lacontiene, trova il suo apogeo nell’installazione Sigillo, interamente realizzata in marmo, delle dimensioni di quasi 20 metri. Oltre all’indagine degli spazi museali e ad una loro reinterpretazione da parte dell’artista, la mostra ha i merito di offrire una panoramica dell’attività di Penone, che permette di apprezzare molte sfaccettature del lavoro dell’artista, a partire dallo spirito di immersione nella Natura, simbolicamente quanto efficacemente materializzato in Soffio di foglie, realizzato per la prima volta nel 1979, con il segno lasciato dal corpo dell’artista, a condensare sapientemente in un semplice gesto, l’atto dell’immersione nella natura, non solo in senso simbolico ma letterale.
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Lo spirito dell’artista che da tempo ha fatto di Torino la propria residenza e sede operativa, viene rappresentato intensamente anche dalla serie di opere raccolta sotto il titolo Avvolgere la terra – corteccia, nella quale l’immersione dell’artista nella materia, trova espressione tridimensionale, con il segno del corpo dell’artista impresso all’interno dell’argilla, poi divenuta terracotta, espressioni di una serie di gesti che commuovono l’osservatore, letteralmente “muovendolo con” l’artista, grazie all’impronta lasciata dall’atto dell’abbracciare, dell’avvolgere la terra che dà il nome alla serie. In questo ciclo, datato 2014, riesce a trasmettere un senso di empatia nei confronti della materia, un sentimento di rispetto ed affetto che trovano espressione nel tentativo di divenire un tutt’uno con essa. Da questa serie di lavori si può comprende come il processo di attuazione dell’opera sia parte integrante nella ricerca dell’artista, come spiega Gianfranco Maraniello: “Il lavoro di Penone è arcaico, ossia incarna l’archè, l’origine e l’essenza del fatto scultoreo, ne costituisce una possibile ontologia non condizionata da cronache o tendenze dell’attualità.”
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Con lo stesso spirito, ne Il vuoto del vaso ancora con le parole di Maraniello, Penone “ha radiografato il vuoto testimone dei suoi gesti”, in una serie di lastre infatti vengono raccolti i movimenti compiuti dalle mani dell’artista intente a plasmare l’argilla attorno ai vasi di terracotta, componendone una sorta di negativo.
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Chiudo con le parole del regista Alan Fischer, presenti all’interno del catalogo edito da Electa che accompagna la mostra (256 pg 35 euro in libreria), nel quale “Ci fu un’epoca in cui la storia della scultura portava la firma di Rodin, poi ci fu quella di Brancusi, di Giacometti. Direi che la nostra epoca sia quella in cui la scultura porterà la firma di Penone […]”