Society | Migrazioni

"Il grande cuore turco con i profughi"

Intervista alla presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente Valeria Giannotta, che sarà oggi a Bolzano per presentare i vincitori del premio Langer 2017.
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Foto: Facebook

salto.bz : Il primo Langer è stato assegnato ex aequo nel 2017 ad una ONG greca che assiste profughi, migranti e richiedenti asilo, e ad una associazione di studi giuridici sull’Immigrazione. Qual è il significato di questo premio?
Valeria Giannotta - Oggi l’immigrazione è un tema centrale, sia nella politica interna italiana che nella politica internazionale. Si tratta di un fenomeno che storicamente ci ha riguardato e va ricordato che a livello globale lo sviluppo culturale di ogni paese è di fatto influenzato dall’immigrazione. Oggi questa questione, oltre a polarizzare, pone però diverse questioni. 
La ONG greca premiata svolge un ruolo fondamentale in termini di contenimento, assorbimento e in qualche modo - mi si passi il termine - selezione dei  migranti che si muovono in direzione dell’Europa. 
Ma importante è anche il ruolo dell’associazione che si occupa degli studi giuridici, visti il ruolo cruciale dei trattati che sono stati firmati nell’ultimo periodo, tra cui quello tra l’Unione Europea e la Turchia per arginare i flussi migratori che provengono da luoghi critici come possono essere la Siria e tutto il Medio Oriente in fiamme.

"Esiste il forte bisogno di una regolamentazione, sia a livello locale e nazionale che internazionale. Cercando di allineare il diritto interno con quello internazionale, per gestire un fenomeno con cui oggi tutti noi davvero dobbiamo fare i conti." 

Ci spiega in sintesi cos’è il CIPMO che lei presiede e come opera questa realtà?
Il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente nasce nel 1989 con l’intento di intessere il dialogo israelo-palestinese e promuovere la pace in quel contesto critico. Ovviamente con l’evolversi del tempo il progetto si è evoluto nel contenuto, allargandosi a tutte le criticità del Mediterraneo e del grande Medio Oriente. In questo senso significativa è proprio la tematica dell’immigrazione, cercando di affrontare questo tema dall’interno dalle società in cui operiamo.  

A Bolzano l'anno scorso è stata fondata l'associazione Antenna Cipmo, che si occupa principalmente di mettere a disposizione la nostra esperienza provinciale (Statuto di Autonomia, regole di convivenza, tutela delle minoranze) alle forze che operano per il dialogo Israelo-palestinese. L’esperienza altoatesina è davvero così straordinaria, vista con un occhio esterno? Noi qui  a Bolzano spesso tendiamo più a vedere i difetti che i pregi della nostra autonomia…
Se non un unicum quella dell’Alto Adige è senz’altro per lo meno un’esperienza molto riuscita, specie se guardiamo le cose da un’ottica allargata a livello europeo e globale. Sostanzialmente lo sforzo di Antenna Cipmo è quello di far crescere la consapevolezza del fatto che le minoranze possono convivere in un determinato modo. E l’obiettivo di questo primo anno è stato quello di creare una missione che da Bolzano andasse nei territori palestinesi, portando fuori dall’Alto Adige la peculiarità della sua esperienza. All’inverso l’intenzione era anche quella di portare a Bolzano le criticità della convivenza in altri contesti.

"L’idea è quella di crescere una sorta di capacity building volta a migliorare la convivenza in determinati contesti."

Immigrazione: l’Italia in questi giorni è di nuovo sotto pressione per il forte aumento degli sbarchi. Con l’Europa si è aperto un confronto cruciale nel quale per la prima volta il nostro paese ha ipotizzato anche misure volte a fare pressione sugli altri paesi europei affinché si facciano maggiormente partecipi del problema. Tra cui il possibile blocco delle ONG non italiane che attraccano nei porti italiani. Cosa accadrà nelle prossime settimane?
Senz’altro occorre un importante monitoraggio delle ONG. Alcune di esse operano nella più chiara trasparenza, per altre invece ci possono essere delle condizioni più critiche a seguito delle accuse di collusione con organizzazioni terroristiche. In Italia non ci sono ancora delle policy effettive per affrontare questo problema e stiamo un po’ procedendo a tentoni. Ma fin da ora è importante maturare la consapevolezza che da questo momento in poi non potremo più esimerci dall’affrontare questi fenomeni. Con la necessità che questa consapevolezza vada estesa anche a tutti i cittadini, nel loro piccolo. 

Naturalmente questa ultima prospettiva è molto complessa da attuare, visto che non solo in Italia ma in tutta Europa si è diffusa una sorta di psicosi che - insieme ad una più generale crisi e disaffezione rispetto alla politica - è andata ad alimentare l’ascesa dei partiti populisti, tradizionalmente ostili all’immigrazione. 
Sì e a ciò va aggiunta anche la crisi economica. In ogni contesto dove è presente un malessere di questo tipo unito alla disoccupazione, la percezione verso l’altro muta lasciando spazio alla paura. Occorre naturalmente andare oltre questa dimensione, attuando delle visioni più inclusive. 

Lei mantiene un occhio privilegiato sulla situazione della Turchia, un luogo dove ha lavorato ed insegnato per anni. In questi giorni si parla con preoccupazione della ripresa dei flussi di profughi provenienti da quel paese. Qual è attualmente la situazione lì?
Io provengo da 8 anni di permanenza in Turchia, un paese dove la presenza dei migranti è davvero molto visibile. I profughi - che tra l’altro non godono dello status di rifugiato perché la Turchia non ha siglato la convenzione di Ginevra - sono davvero sotto gli occhi di tutti. Dallo scoppio delle ostilità in Siria, la Turchia da sola sta ospitando 3 milioni di richiedenti asilo siriani. E di questi solo 260mila sono allocati nei campi di accoglienza al confine turco-siriano. In questo senso lo sforzo della Turchia a livello economico è stato enorme. Soltanto il 18 marzo 2016 è stato siglato il trattato di riammissione dei rifugiati con l’Unione Europea, che prende uno stanziamento di 3 miliardi di euro spalmati in tre anni e cioè entro la fine del 2018. A fronte di ogni immigrato irregolare che l’Europa rispedisce in Turchia, la Turchia stessa si impegna a mandare in cambio un immigrato registrato (ovvero censito dall’amministrazione centrale per cui gode in quel paese di assistenza sanitaria e servizi di educazione e formazione). L’efficacia di questo trattato si è vista: il numero dei profughi in Europa è diminuito drasticamente. Restano però delle grandi criticità. La principale - evidenziata dalla retorica sempre molto aspra del presidente Erdogan - è legata al fatto che l’Unione Europea finora non ha ancora stanziato ancora tutti i fondi, ma soltanto la metà. Recentemente alcuni vertici a Bruxelles sono serviti proprio per ribadire questo impegno da parte dell’Europa. Ma naturalmente il tutto è legato anche alla delicata gestione dei visti dei cittadini turchi nell’Unione Europea. Nelle ultime settimane la situazione si è un po’ sbloccata e quindi si è tornati a parlare anche di ulteriori fondi da destinare alla Turchia, per avviare l’integrazione dei profughi siriani in quel paese. 

"In Europa l’immigrazione è una patata bollente, con paesi non disposti ad accogliere ed anzi intenti ad erigere muri. Non vorrei indicare la Turchia come una sorta di modello, ma va senz’altro detto che si tratta di un paese dal cuore grande, nonostante le sue criticità interne."