Culture | Salto Afternoon
La musica è rumore, talvolta.
Foto: upi
Lo stop ai concerti nei bar e ristoranti durante la prossima “Altstadtfest” è il tema dell’articolo “Musica o Rumore ?” a firma di Andrea Dalla Serra, dal quale abbiamo appreso che per Angelo Gennaccaro “… serve una norma provinciale che fornisca indicazioni chiare agli amministratori comunali, altrimenti questi ultimi possono trovarsi in difficoltà a gestire queste situazioni. In più, si distingua una volta per tutte la musica dal rumore, così si riuscirà a fare chiarezza sulle autorizzazioni da concedere".
Oggi entrando in un supermercato, in uno studio dentistico, quasi sempre ci accoglie una musica. Anche ad alto volume.
Distinguere la musica dal rumore? Del 1913 è il manifesto futurista “L’arte dei rumori” a firma di Luigi Russolo. Nel 1917 Erik Satie utilizzò i suoni di dinamo, macchine per il codice Morse, sirene, motori di aeroplano e macchine per comporre “Parade”. Del 1950 è la “Sinfonia per un uomo solo” di Pierre Scaeffer, un altro esempio di “musica concreta” in cui suoni strumentali si mescolano a suoni presi dalla vita quotidiana di un uomo, ovvero respiri, passi, fischi, porte che sbattono. La distinzione tra musica e rumore è retaggio del passato. Il rumore è musica, talvolta. E viceversa. John Cage docet.
Comunque Gennaccaro ha formulato il personale auspicio a riguardo di un tema serio, che, al di là della contingenza della Altstadtfest, è quello dei suoni che sono propri del nostro “paesaggio sonoro” cittadino, alcuni dei quali precludono la possibilità del riposo e del sonno. Un tema non nuovo. Anche l’antica Roma era rumorosissima, per le feste notturne, il passaggio dei carri nelle anguste strade, i lavori degli artigiani, le grida dei venditori e dei maestri, tanto che per il poeta Giovenale “moltissimi malati qui a Roma muoiono d’insonnia. Quale appartamento preso in affitto permette di addormentarsi? A Roma dormire costa un occhio della testa. A premio dei miei libretti… cosa dunque ardentemente desidero, mi chiedi? Dormire.”
Oggi entrando in un supermercato, in uno studio dentistico, quasi sempre ci accoglie una musica. Anche ad alto volume. Non solo bar e ristoranti si fanno riconoscere in città per una loro caratteristica impronta sonora. Vi sono anche i suoni intonati e no che singoli impongono ai loro vicini nelle più varie occasioni, ne sono esempi comuni la musica ad alto volume dello stereo della macchina, il rumore caratteristico e ostentato di una moto o automobile prestigiosa, il classico decespugliatore o tosaerba con motore a combustione (ne esistono di elettrici silenziosissimi!) spesso al sabato mattina. Sono alcuni dei suoni che concorrono a formare il nostro “paesaggio sonoro”. In generale abbiamo poca attenzione per il suono, al suo propagarsi oltre lo spazio occupato da chi lo genera, sottovalutiamo la sua portata.
Dai suoni non possiamo difenderci più di tanto. Possiamo chiudere gli occhi davanti ad una immagine che ci fa stare male, ritrarre la mano da una sorgente di calore pericolosa, ma tapparsi le orecchie non ci difende da un rumore forte, questo ci entra nella carne e nelle ossa. Lo sanno bene i torturatori delle peggiori carceri. A differenza di altre forme di tortura, quella del suono, della musica ad altissimo volume, può devastare la psiche senza lasciare evidente traccia fisica in chi la subisce. La musica può essere, talvolta, terribile.
Per gli antichi greci Orfeo con il suo suono poteva ammansire le belve e far danzare le piante, con la musica adatta si poteva incitare l’uomo alla battaglia, con una diversa sonorità indurlo a comportamenti diversi. Ancora nel Quattrocento per Tinctoris tra i venti effetti della musica vi erano quelli di allietare Dio, risanare gli ammalati, metter in fuga il diavolo, dare gloria a chi la conosce a fondo.
Seppure il ruolo della musica e del musicista sia marginale nella nostra società, rimane il fatto che la musica che scegliamo ci rende più lieve e interessante la vita, quella che subiamo no. Quella che subiamo nella nostra quotidianità ci può indurre ad acquisti non necessari, a confondere la vendita di alcoolici per una festa, e ci può anche togliere il sonno.
Qualche anno addietro chiesi ad Albert Mayr, compositore che molti conoscono come il figlio del beato Josef Mayr-Nusser, se si stupisse di come molte forme di inquinamento acustico siano accettate, talvolta esibite. “Fino a un certo punto. Per un periodo lavorai con i miei studenti all’interno dell’ospedale psichiatrico di Volterra. Trovammo il silenzio tipico dell’istituzione totale, interrotto da lamenti. Coinvolgendo i pazienti lo riempimmo di suoni. Lì ho visto l’esigenza di “farsi sentire”, di affermare la propria presenza attraverso il suono. Eravamo nel reparto donne, e poco dopo da quello maschile ci giunsero le parole “anche noi!”. Ho visto persone felici di “farsi sentire” battendo un tamburo. In città un ragazzo, spesso con bassa scolarità e pochi soldi, investe sulla moto, e con quella ci dice “mi dovete sentire”. Questo vale anche per il vicino con lo stereo a volume incivile. Vi è anche l’inquinamento acustico dovuto alla mobilità motorizzata, per la maggior parte frutto dell’esigenza di evadere dal proprio luogo di residenza, non motivata da esigenze di lavoro. Dove si vive bene non c’è necessità di andare lontano facendo rumore. L’inquinamento acustico è frutto pure del cinismo delle grandi ditte, che vogliono imporre il proprio marchio anche a livello uditivo. Molti elettrodomestici potrebbero essere più silenziosi, ma allora non sarebbero identificabili acusticamente come appartenenti a una data marca. Questo vale anche per le automobili.”
Le sue parole ci possono suggerire come immaginare e promuovere un nuovo paesaggio sonoro della città, più gradevole e rispettoso di tutti. Albert Mayr, i cui 80 anni sono stati omaggiati da Museion con una mostra, è autore di scritti sulla musica elettroacustica, sulla musicoterapia, sulla musica ambientale e speculativa, sull’estetica del Tempo. Occasioni di letture importanti, non solo per musicisti.
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