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Archeologie del moderno, luci del futuro

Una mostra all’Accademia delle Belle Arti di Bologna per conoscere il progetto grafico in Italia dal 1950 al 1980.
veronesi
Foto: Veronesi - Copertina 1954

 

Cos’è un libro? Un manifesto? Un marchio e tutta la relativa retorica della corporate identity? Dove è finita o è davvero esistita la grafica di pubblica utilità? E – soprattutto - ha ancora senso parlarne?

Sono solo alcuni tra i tanti quesiti che pone la mostra Archeologie del Moderno. Il progetto grafico in Italia 1950-1980 in corso a Bologna (fino al 21 novembre) presso l’Accademia di Belle Arti. Archeologie del Moderno, curata dal CDPG/Centro di Documentazione sul Progetto Grafico di Aiap, l’associazione italiana design della comunicazione visiva, espone con intenzione critica numerosi progetti di ordine diverso: libri, manifesti, packaging, allestimenti, marchi e identità visive.

Realizzata per la prima volta a Roma nel settembre 2017, nell’ambito di Aiap Design Per, International Graphic Design Week, la mostra raccoglie la produzione grafica di progettisti come Mimmo Castellano, Giulio Confalonieri, Silvio Coppola, Massimo Dolcini, Franco Grignani, Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Anita Klinz, Alfredo Mastellaro, Claudia Morgagni, Ilio Negri, Bob Noorda, Aldo Novarese, Albe Steiner, Antonio Tubaro, Massimo Vignelli, Heinz Waibl, attribuendo un valore simbolico ai loro progetti. Testimonianze di maestri e di autori poco conosciuti, opere funzionali a esplicitare una pratica progettuale che diventa ancora più peculiare se confrontata alle modalità del nostro tempo, totalmente mutate grazie alla rivoluzione tecnologica e sociale degli ultimi trent’anni che tanto impatto ha avuto sulla professione del progettista grafico. Reperti del passato da vedere oggi come strumenti critici, per interrogarsi su qual è il campo della grafica oggi. Leggiamo dal catalogo, curato da Mario Piazza e da Francesco E. Guida: “Vedere un’immagine sul telefono - diciamo un’ovvietà - è una pratica di gran lunga più comune che vedere (o addirittura leggere) un manifesto appeso al muro. Ma al di là dell’obsolescenza del mezzo, porta con sè problematiche molto più ampie. Eppure ci ostiniamo a dare al manifesto un’aurea di sacralità pur sapendo della sua inaridita efficacia comunicativa. È davvero finita l’epoca delle vestizioni, degli addobbi percettivi e dei dogmi modernisti. Senza il significato, senza il possesso del contenuto, senza la modestia e il buon senso raziocinante e servile la grafica è solo una pelle decorativa.”

Particolarmente utile è quindi, soprattutto per giovani grafici e studenti, vedere questi artefatti contestualizzandoli rispetto alla contemporaneità, e in questa dimensione strumentale apprezzarne le qualità formali e comunicative.

La mostra si inserisce nell’ambito di una collaborazione già esistente tra l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Aiap, tesa a fornire contenuti di prestigio a studenti e professionisti in termini di comunicazione, promozione della cultura del progetto grafico e interscambio tra professione e studio.

Guardiamo ad esempio la “linea” dello svizzero Max Huber (1919-1992), di cui vediamo qui un esempio della sua collaborazione con la ditta di cappelli Borsalino (1948-49). Tra le sue collaborazioni indichiamo l’innovazione della linea grafica delle pubblicazioni della casa editrice di Giulio Einaudi, il marchio della Rinascente, e - assieme al famoso designer Achille Castiglioni (di cui quest’anno si festeggia il centenario della nascita) - una serie di allestimenti per importanti aziende nazionali, tra cui la Rai. Tra i suoi committenti figuravano inoltre le case editrici Feltrinelli e l’Istituto Geografico De Agostini.

Un altro nome di prestigio è Pino Tovaglia, designer e grafico italiano (1923-1977), tra i principali esponenti della scuola svizzera in Italia. Qui vediamo uno dei suoi manifesti più famosi, quello realizzato per il Brandy Stock, è suo anche il marchio della Alfa Romeo, mentre nel 1958 aveva vinto la Palma d’oro per la pubblicità.

“La vita del designer è una lotta contro il brutto”, parola di Massimo Vignelli, tra i più importanti designer e grafici della seconda metà del Novecento italiano (1931-2014). Il suo motto era Design is one, ossia la disciplina del design è una soltanto! Dopo che si era sposato nel 1957 con la sua Lella, con cui avrebbe collaborato per tutta la vita, si trasferirono insieme negli Usa per restarvi fino al 1960, periodo in cui aveva insegnato in un Istituto del design a Chicago e aveva conosciuto importanti architetti internazionali, tra cui Mies van der Rohe. È alla tipica essenzialità di quest’ultimo che va il nostro pensiero quando vediamo le copertine progettate per le edizioni della Sansoni (qui sotto), nonché altri incarichi da parte di Olivetti, Xerox e Pirelli. Alla fine del 1964 tornò definitivamente negli Usa e fondò assieme ad altri soci lo studio internazionale Unimark International che lasciò nel 1971 perché troppo orientato verso il marketing. Sua la celebre mappa della metropolitana di New York ove riassume in modo astratto le diverse linee che passano attraverso la città: un diagramma dove ogni linea di metrò è identificata con un colore diverso e ogni fermata con un pallino. Grazie a tante modifiche dovute ai tanti dibattiti nati attorno, rimase in uso fino al 1979, oggi è considerata l’opera magnum di Vignelli e si trova nella collezione del MoMa di New York.

Di Confalonieri e Negri è il biglietto augurale Bruno Danese del 1958 riprodotto nella foto qui sotto, Giulio Confalonieri (1926-2008) e Ilio Negri (1926-1974) avevano fondato nel 1956 con Pino Tovaglia e Michele Provinciali lo Studio PNCT. Tra i committenti lo stesso Confalonieri aveva Ferrari, realizzò manifesti, tra gli altri, per Esso e la Triennale di Milano, inoltre era art director di diverse riviste importanti.