Casa Arnika, un condominio alle porte di Merano
Una casa multi-piano alla periferia sud di Merano. Il cartello toponomastico che segnala l'inizio della città termale è a venti metri, siamo alle porte della città, fuori le mura si sarebbe detto nei secoli passati.
Dall'esterno mi colpisce un lenzuolo a fiori colorati steso al sole, parvenza di normalità. Mentre cerco parcheggio noto l'adiacente concessionaria di autovetture di lusso, un signore ammira l'ultimo modello. Due mondi fisicamente vicini, lontani anni luce.
Da un punto di vista prettamente architettonico, stilistico, la struttura, eretta probabilmente negli anni '70 del '900, appare del tutto convenzionale. Si può parlare di stile vernacolare, termine che indica una declinazione stilistica locale come la parlata tipica di un'area geografica. L'edificio riprende le caratteristiche dell'architettura alpina cittadina, tre piani, un tetto a falde con travi in legno a vista, balconi con ringhiere lignee. L'interno è strutturato come un piccolo condominio, dalla porta d'ingresso un corridoio porta agli uffici, mentre a destra si sale una scala che porta ai piani superiori e a quello seminterrato. La pianta riprende lo schema classico del corridoio distributivo centrale, con camere a destra e sinistra. Dai piani più alti si gode una piacevole vista su montagne e frutteti, sorge tuttavia il dubbio se questo paesaggio, carico di significati e orgoglio per noi locali, possa placare gli animi degli ospiti di Casa Arnika, fuggiti da guerra e distruzione, abituati a paesaggi diversi.
A uno sguardo più attento non sfuggono le telecamere che controllano la struttura, mi spiegano che servono per controllare gli accessi e garantire la sicurezza. É difficile esprimere un giudizio a riguardo di queste misure di sorveglianza, indubbiamente gli abitanti hanno il diritto a un luogo protetto da persone malintenzionate.
Il pregio della struttura, mi spiega una collaboratrice, è che Casa Arnika era un residence. Ogni piano, diviso in piccoli appartamenti, oltre alle camere da letto dispone di una cucina comune. Di primo acchito mi ricorda un appartamento condiviso, una Wohngemeinschaft studentesca. Poi mi rendo conto della banalità di questo pensiero, le persone che abitano qui non sono libere e non hanno scelto questo destino, scappano da guerre, persecuzioni, terrore. Ricordiamo che molti profughi scappano proprio da quello stato islamico che in questi giorni turba gli animi di noi europei e non solo.
Il personale incaricato della gestione della struttura ribadisce l'importanza della cucina come spazio comune, la valenza del cibo per ricollegarsi alle proprie radici (Proust ci aveva proprio azzeccato). Una parte dei soldi a disposizione di ogni abitante viene data loro per gli acquisti quotidiani: fare la spesa come piccola conquista di normalità.
Mi raccontano che alcuni abitanti hanno allestito un orto, lavorare la terra è, simbolicamente, un modo per appropriarsi del luogo in cui si soggiorna, per lasciare un segno della propria presenza. Altri hanno creato un mini parco giochi all'aperto per i bambini più piccoli. Molti degli ospiti di Casa Arnika si danno da fare, al piano seminterrato c'è una stanza da cucito attrezzata con macchine da cucire. Altri, tuttavia, non hanno l'energia per darsi da fare (e ne hanno il diritto ndr.). Sono presi dalle preoccupazioni riguardanti le loro sorti - sarà riconosciuto loro lo status di rifugiato o meno? Pensano ai loro cari rimasti a casa. Alcuni sono traumatizzati da eventi recenti.
Parlando di difficoltà, sono le cose semplici, quotidiane a creare problemi. Più che di gravi problemi si tratta di piccoli intoppi. La struttura era stata concepita come residence, quindi la corrente elettrica è tarata per un utilizzo delle cucine che prevede la preparazione della prima colazione, la cottura di cibi precotti. Se vengono usati tutti i fornelli elettrici contemporaneamente salta la corrente.
Il personale che lavora presso la struttura si occupa di pratiche burocratiche, della gestione finanziaria, delle questioni legali. Manca un tuttofare, qualcuno che si occupi dei problemi di ordine pratico, che aiuti gli ospiti nelle piccole riparazioni, un Hausmeister.
I 60 ospiti di Casa Arnika provenienti, tra l'altro, da Kurdistan (un territorio diviso tra Turchia, Iran, Iraq, Siria, Armenia), Nigeria, Ghana, Senegal, Bangladesh, vivono in una condizione di attesa. Aspettano il riconoscimento dello status di rifugiato, hanno ottenuto il respingimento e si apprestano a fare ricorso o hanno ottenuto il respingimento definitivo e devono ri-partire. Da un punto di vista abitativo l'impressione è che la condizione di chi abita la casa sia quella degli ospiti di un albergo, una condizione spazio-temporale sospesa, non stabile. Questa realtà determina che gli spazi comuni risultino anonimi. Non ci sono poster o quadri quadri appesi alle pareti tinte di bianco. Il problema è che si tratta di stanze usate da molte persone, bisogna chiedere il permesso per apportare delle modifiche, spesso le menti degli ospiti sono afflitte da altri pensieri rispetto all'abbellimento della cucina.
La domanda che si pone chi si occupa quotidianamente di architettura e di arte è quale tipo di spazio offrire a chi vive questa condizione di passaggio. Come personalizzare una casa adibita a ospitare persone provenienti da realtà diverse? Quali sono le esigenze estetiche di chi sa di essere soltanto ospite e spera di trovare a breve una dimora propria, tutta sua?
Una struttura come Casa Arnika ha bisogno di volontari con professionalità pratiche (falegnami, idraulici ecc.) come anche di persone creative che abbiano delle idee per ingentilire gli spazi. Il presupposto è la collaborazione con direzione e amministrazione della casa, progetti di questo tipo sono sempre ben accetti. Diamoci da fare.
Ringraziamo gli ospiti della struttura, la direzione e il presonale d'ufficio.
[...] come annunciato nel prossimo articolo proseguiremo la riflessione sul tema della casa raccontando la realtà di un progetto di co-housing a Trento.