Cities for life, contro la pena di morte

Il 30 novembre 2002 è stata lanciata la prima Giornata Internazionale di "Cities For Life. Città per la Vita - Città contro la Pena di Morte". Da allora sono 2371 le città nel mondo, di cui 78 capitali, che hanno aderito a questa iniziativa. La data scelta è emblematica e coincide con l’anniversario della prima abolizione da parte di uno Stato: nel lontano 1786 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo firmò il codice leopoldino che ha messo, almeno formalmente, la parola fine a questa pratica. Il Regno d'Italia la abrogò invece nel 1889, nel codice penale opera del ministro liberale Giuseppe Zanardelli, reintrodotta successivamente dal Codice Rocco durante il regime fascista. La pena di morte per i reati commessi in tempo di pace verrà abolita in Italia con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1° gennaio 1948. Successivamente, con la legge costituzionale n. 2 del 2007, è stata eliminata anche dal codice militare di guerra.
A distanza di quasi 240 anni dalla prima abolizione la manifestazione Cities for Life promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e da numerose organizzazioni per i diritti umani si affianca alla giornata mondiale contro la Pena di Morte del 10 ottobre. L'obiettivo è quello di rivolgersi alla società civile, attraverso il coinvolgimento degli amministratori locali, per unirsi in appello all’intera comunità internazionale affinché vengano definitivamente messe al bando le esecuzioni capitali dei prigionieri, spesso reclusi e condannati ingiustamente e in seguito a trattamenti inumani e degradanti.
Le città ogni anno danno vita a mobilitazioni variegate, mettendo a disposizione e illuminando un monumento importante, che diventa così simbolo di impegno e di dialogo con la cittadinanza.
Sono più di due terzi i paesi al mondo che hanno abolito la pena di morte mentre sono 56 quelli in cui risulta ancora in vigore.
Sempre più studi affermano che l’uso della pena capitale non disincentiva il commettere reati e si accanisce ulteriormente nei confronti delle minoranze più povere e marginalizzate. Negli stati democratici uccidere in nome della giustizia arriva a costare più della reclusione stessa, mentre nei regimi non democratici diventa un’arma politica contro dissidenti, scienziati e giornalisti.
Secondo il rapporto di Amnesty International, nel 2019 si sono registrate 657 esecuzioni, con una diminuzione del 5% nel valore riportato nel 2018, ma le condanne a morte comminate a livello globale arrivano a quota 2307. Iran, Arabia Saudita e Iraq dominano la tragica classifica, risultando responsabili dell’81% delle uccisioni totali. I dati riportati non sono tuttavia esaustivi dal momento che paesi come Cina, Corea del Nord e Vietnam, responsabili del maggior numero di esecuzioni, non fanno trapelare alcuna informazione sull’effettiva estensione dell’uso della pena capitale.