Giustizia per i morti di frontiera
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L’architettura forense al servizio dei diritti umani
Eyal Weizman, architetto israeliano, è il primo a declinare l’architettura forense – disciplina utilizzata fino a quel momento a fini assicurativi per accertare le responsabilità nel caso di un crollo di un edificio – in un’ottica di giustizia sociale. Weizman applica questa metodologia per indagare le violazioni dei diritti fondamentali operate dagli Stati a danno delle persone, con tre obiettivi: ricostruzione della realtà dei fatti, individuazione dei responsabili del crimine e restituzione di una “nuova” verità. Attraverso i suoi primi lavori l’architetto israeliano dimostra, per esempio, che il cimitero di Al-Araquib, considerato illegittimo dallo Stato di Israele, esisteva già da prima del 1948. Recuperando immagini di archivio, infatti, smentisce le autorità israeliane, che affermavano di essersi insediate su un territorio fino ad allora deserto.
Nel 2010, Weizman fonda poi il centro Forensic Architecture presso il Goldsmiths, London University. Tra i lavori più noti dell’agenzia spiccano le contro-inchieste sui crimini perpetrati in Siria dal regime di Bashar Al Assad e il crollo del Rana Plaza a Dacca, in Bangladesh, che causò la morte di più di mille operai dell’industria tessile. Forensic Architecture conta su un team interdisciplinare composto da architetti, sviluppatori di software, film-maker, giornalisti, ricercatori e avvocati. Tra loro l’architetto Lorenzo Pezzani e il ricercatore e video-maker Charles Heller che decidono di concentrare il loro lavoro sulla questione migratoria e nel 2011 realizzano “Left to die boat”. L’indagine ricostruisce la deriva nel Mediterraneo di un’imbarcazione con a bordo 72 persone e – attraverso le testimonianze dei nove sopravvissuti, le immagini satellitari e il lavoro, tra gli altri, di oceanografi – dimostra come, nonostante il Mediterraneo in quel periodo fosse controllato a tappeto, nessuno sia andato in soccorso del gommone. Con l’obiettivo di allargare il campo della loro indagine ad altre frontiere, Pezzani e Heller nel 2021 fondano Border Forensics.
Guardando alle Alpi, i due coinvolgono Cristina Del Biaggio, geografa e ricercatrice dell’Università di Grenoble.
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La morte di Blessing Matthew
Nel 2017 Cristina Del Biaggio vince il concorso istituito dall’Università di Grenoble Alpes e dal laboratorio di ricerca Pacte e si trasferisce nella città dell’Alvernia-Rodano-Alpi, a un paio d’ore di macchina da Briançon e dal confine italo-francese. “Su quel versante di confine i primi passaggi verso il Colle della Scala erano iniziati intorno al 2015, anno in cui la Francia proclama lo stato di emergenza e sospende gli accordi di Schengen ripristinando i controlli alle frontiere”, spiega la ricercatrice. Il Colle della Scala congiunge Italia e Francia, collegando la Val di Susa e la Valle della Clarée, un passaggio pericoloso, soprattutto in inverno. “Per questo le associazioni e i collettivi del territorio da un lato cercarono di spingere le persone che volevano provare a passare il confine a tentare da un altro colle – da Oulx passando per il Monginevro –, dall’altra organizzarono delle maraudes, ossia delle azioni di monitoraggio per individuare e mettere in sicurezza eventuali dispersi nelle montagne”, ricorda Del Biaggio. Così facendo i solidali speravano di evitare morti. Speranza che si spezza il 9 maggio 2018, quando il corpo di Blessing Matthew, giovane donna nigeriana, viene ritrovato nel fiume Durance, intrappolato nelle griglie della diga di Prelles, a una decina di chilometri a valle di Briançon.
L’associazione “Tous Migrants”, in prima linea nel sostegno alle persone migranti, non crede alla fatalità e prepara un dossier di contro-inchiesta per sporgere una denuncia penale. “Nei casi di morti alle frontiere una delle difficoltà è che la denuncia penale la possono sporgere solo i familiari”, precisa Cristina Del Biaggio. Qui entra in gioco Christiana Obie, una delle sorelle di Blessing, entrata in contatto con l’associazione solidale e determinata a chiedere verità e giustizia per la morte della sorella.
Nel febbraio 2021, però, a seguito delle indagini preliminari delle autorità francesi, il PM di Grenoble archivia il procedimento. “'Tous Migrants' e Christiana non ci stanno”, afferma Del Biaggio, “e chiamano noi di Border Forensics per raccogliere nuove prove e chiedere la riapertura del caso”.
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La contro-inchiesta di Border Forensics
Il team interdisciplinare di Border Forensics – composto da Del Biaggio, la dottoranda Sarah Bachellerie, Heller, Pezzani alcuni tecnici, videomaker, designer, ingegneri – lavora alacremente da settembre 2021 a maggio 2022 per individuare eventuali tracce ed elementi ignorati dal gendarme enquêteur, che aveva condotto le indagini preliminari.
La svolta arriva quando “Tous Migrants” risale a un testimone, Hervé S., compagno di viaggio di Blessing. Al gruppo di indagine era già noto che due giorni prima una pattuglia della gendarmerie mobile aveva intercettato un gruppo di persone, tra cui Blessing, e ora, grazie alla testimonianza di Hervé, viene a conoscenza del punto esatto in cui la donna è caduta in acqua.
L’indagine di Border Forensics (consultabile qui: www.borderforensics.org/investigations/blessing/) si fonda dunque su tre pilastri: la condizione geopolitica del confine italo-francese a quel tempo nella quale si iscrive la morte di Blessing, la testimonianza in situ di Hervé S. e l’analisi e il confronto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dai sei gendarmi che inseguirono Blessing e che con Hervé sono stati gli ultimi a vedere la donna in vita. La contro-inchiesta di Del Biaggio e colleghi evidenzia che la ricostruzione dei fatti di Hervé “si è dimostrata coerente e precisa, mentre sono emerse numerose contraddizioni nelle dichiarazioni dei gendarmi intervenuti quella notte, che abbiamo evidenziato con una resa cartografica”.
Dalla testimonianza di Hervé risulta che i gendarmi abbiano inseguito Blessing e i due compagni di viaggio, uno di loro l’abbia braccata fino al limite del fiume, afferrandola per un braccio. Probabilmente nel tentativo di liberarsi, Blessing avrebbe perso l’equilibrio, cadendo nella Durance. Le prove raccolte da Border Forensics, inoltre, indicano che le forze dell’ordine non hanno intrapreso alcuna azione dalla caduta di Blessing al ritrovamento del suo cadavere. “Sulla base del nostro lavoro, tramite l’avvocato della famiglia di Blessing, abbiamo chiesto pertanto la riapertura dell’inchiesta”, dice Del Biaggio. Dopo soli dieci giorni, il 23 giugno 2022, il Pubblico Ministero di Grenoble ha comunque confermato di non voler procedere con un’indagine, stabilendo che “le contraddizioni riportate nella memoria riguardo le diverse dichiarazioni dei gendarmi... non sembravano rilevanti, poiché ogni gendarme ha descritto il suo intervento e la sua posizione” e giudicando “la testimonianza di Hervé non utile per stabilire la verità”.
Un ulteriore tentativo di ottenere giustizia viene fatto portando il caso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che in primo grado accoglie il ricorso ma che, nel maggio 2023, si allinea alla decisione del PM di Grenoble chiudendo definitivamente la porta alla possibilità di un processo.
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Una violenza strutturale
“Anche se non abbiamo raggiunto l’obiettivo sperato, siamo almeno riusciti a fare emergere una contro-narrazione che confuta la ricostruzione dei fatti delle autorità francesi sulla morte di Blessing”, afferma Cristina Del Biaggio. Una morte che secondo la geografa si inscrive in un ampio sistema di violenza strutturale sul confine alpino. Del Biaggio ha individuato 151 morti riconducibili a tentativi di passaggio della frontiera dal 1993 a oggi. Il 77 percento di questi è avvenuto a partire dal 2015, quando, sottolinea, “tutti i Paesi della regione – Svizzera, Francia, Austria, Germania, Slovenia – avevano ripristinato i controlli alle frontiere”.
Ancora oggi nell’area si assiste a quella che la ricercatrice ha definito un’“oplopoiesi del confine alpino”, ossia la trasformazione della montagna in uno spazio ostile. Intorno ai confini, infatti, gli Stati trasformano l’ambiente, le infrastrutture e la topografia del territorio – per esempio la neve o la ferrovia – in una vera e propria arma al fine di controllare le persone migranti, rendendole più vulnerabili e causandone, in diversi casi, la morte. Un’ulteriore accelerazione, dunque, rispetto alla “militarizzazione dei confini”.
Nei giorni scorsi la ricercatrice di Border Forensics ha condotto alcune indagini in Alto Adige, cercando possibili casi di persone morte alla frontiera. “In questa fase preliminare ho consultato le fonti documentali, setacciando gli articoli dei giornali locali, e mi sono confrontata con le realtà associative e i collettivi del territorio”, spiega. Parallelamente Del Biaggio ha setacciato gli archivi dell’Ufficio Servizi Funerari dei Comuni di Brennero, Bolzano e Trento. I cosiddetti funerali di povertà, infatti, possono essere un buon punto di partenza per trovare casi da approfondire e, al contempo, ridare un nome e un’umanità a persone che in vita erano state lasciate sole e che spesso anche da morte vengono relegate ai margini dei cimiteri delle nostre città. “Pubblicare un nome può aumentare anche di poco la possibilità che persone al di là del Mediterraneo possano piangere il loro caro deceduto, vivere il lutto e risolvere eventuali difficoltà amministrative che possono sorgere in assenza di un atto di morte”, precisa Del Biaggio.
Un altro effetto importante delle contro-inchieste di Border Forensics è l’attività di denuncia e sensibilizzazione nei territori. Le contro-indagini del team interdisciplinare presentano una sorta di marchio di fabbrica. Attraverso un linguaggio riconoscibile, basato su una resa estetica tecnica e scientifica, il gruppo riesce a raggiungere un pubblico ampio, eterogeneo e molto attento.
”Di fronte alla violenza del sistema giudiziario” – e in questo senso il caso di Blessing è emblematico – “sento tanta indignazione”, confessa Del Biaggio. “Tante persone ci ringraziano, un ragazzo in accoglienza a Oulx ci ha spronato ad andare avanti e ha fatto un disegno bellissimo in cui ha riprodotto il ritratto di Blessing, una parte dei miei grafici e un testo”.
La ricercatrice, inoltre, ritiene fondamentale, “oltre a seguire l’iter giudiziario, costruire un contro-archivio per cui ora forse non c’è ancora spazio, ma che sarà importantissimo tra venti o trent’anni”. Uno spazio in cui la parola dei familiari delle persone venute a mancare e dei sopravvissuti può essere accolta e ascoltata, come accaduto a La Vachette quando il team di Border Forensics ha raccolto la verità di Hervé. “Nonostante stesse ricostruendo alcuni momenti terribili della sua vita, in quei tre giorni Hervé è rinato”, rivela la ricercatrice. “Il fatto che fossimo lì ad ascoltarlo e che credessimo alle sue parole gli ha permesso di liberarsi di un peso enorme”.
Cristina Del Biaggio e l’equipe di Border Forensics, quindi, sono determinate a proseguire nel lavoro di ricerca di verità e giustizia per tutti i morti di frontiera, perché ci sono ancora tantissime persone nell’incertezza che non hanno la possibilità di vivere un lutto e che convivono con un costante senso di ingiustizia – dai familiari ai testimoni e compagni di viaggio, dagli attivisti agli impiegati degli Uffici Servizi Funebri comunali. “Sono troppi i morti, troppa la violenza e il senso di impotenza di fronte a questa situazione”, conclude Cristina Del Biaggio. “Anche per questo dobbiamo riprendere possesso della narrazione di questo fenomeno”.