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L'irresistibile fascino della danza

Qual è il fascino della danza? La 39esima edizione di Bolzano danza ha proposto almeno 27 risposte, tante quanti gli eventi del festival appena concluso.
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Foto: Bolzano Danza

Il corpo protagonista in scena,  e mille declinazioni del movimento a risvegliare sensazioni ataviche, coinvolgenti, e insieme a porre domande che hanno a che fare con la società umana, sull'accettazione e rifiuto del corpo, con tutte le tragedie e riscatti che uno o l'altro atteggiamento sociale comporta. Non è questo, in fondo, la danza?
Il festival Bolzano danza, con la direzione artistica di Emanuele Masi, torna ogni estate a confrontare la città con una disciplina che ruota intorno al corpo e supera le barriere linguistiche, che assume sempre nuove forme per raccontare in fondo, a passi di danza, una storia antica, comune e accomunante, aldilà delle interpretazioni più o meno apprezzate che i singoli coreografi possono mettere in scena.
 

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Foto: Andrea Macchia


Un altro aspetto della danza, evidenziato anche in questa edizione del festival, è l’impatto diretto che la creazione e l’attività delle compagnie e gruppi di danza hanno spesso sul tessuto sociale problematico delle città contemporanee. 
E ancora il dialogo della danza con l’arte visiva, di nuovo per trovare un terreno comune nell'affrontare tematiche contemporanee, politiche e di dissenso.
La danza insomma non è solo bellezza, anche se usa spesso il linguaggio della bellezza e induce a una commozione, che arriva ad essere quasi religiosa.
 

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Foto: Andrea Macchia


Bolzano danza 2023 ha portato tutto questo in scena, rinunciando magari ad un unico codice estetico più identificativo, scegliendo piuttosto di proporre un panorama più ampio sulle proposte e tendenze della danza internazionale, allargando l’orizzonte a nuove compagnie e toccando tutti questi diversi elementi. 
D’impatto lo spettacolo inaugurale King della compagnia australiana Shean Parker & Company, quasi un musical con coreografie forse meno interessanti, nonostante il loro vocabolario accurato e spettacolare, della voce e la musica dello straordinario cantante Ivo Dimchev. Nell’insieme uno spettacolo che affronta temi pendenti nella società, omofobia e maschilismo tossico, con incantevole libertà.
 

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Foto: Andrea Macchia


Il festival ha riservato un’ampia finestra sulla compagnia Dewey Dell. Estremamente suggestiva la loro Le Sacre du printemps ambientata nel regno animale con scenografie, costumi e luci che creano effetti fantastici e i danzatori che si trasformano in figure stravaganti, sull’incalzante partitura di Stravinskij. A dominare è comunque un effetto di surreale bellezza a cui la coreografia sembra essere infine solo un elemento funzionale.
Due gli eventi proposti in collaborazione rispettivamente con la galleria Ar-ge Kunst e Museion. 
 

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Foto: Andrea Macchia


In Bleah!!! di Annamaria Aimone e Laura Agnusdei,  la coreografa e la sassofonista hanno traportato il linguaggio critico e ironico dell’artista Lucia Marcucci in una coreografia danzata e suonata che includeva lo spazio, interpretando con intelligenza e altrettanta ironia il messaggio originario dell’artista. 
La performance di Moriah Evans Out of and Into: PLOT rappresentata al Museion si integrava letteralmente con la mostra interdisciplinare Plot dell’artista Asad Raza. Con richiami atavici la danza sul terriccio ‘neosoil’ creato dall’artista proponeva movimenti di estrema tensione, di resistenza ed esplosioni liberatorie legate alla figura e ruolo femminile. 
 

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Foto: Andrea Macchia


In PRISMA della coppia di coreografi Iratxe Ansa e Igor Bacovich e la loro compagnia Metamorphosis Dance, è la danza a prendere il sopravvento e, attraverso la fluidità e bellezza dei movimenti in una  coreografia ininterrotta e amplificata dagli specchi che formano la scenografia, a diventare consolatoria per il tema dedicato alle vittime del terrorismo e al superamento doloroso del trauma. 
Travolgente  l’energia dei giovanissimi danzatori del Groupe Grenade nel trittico Demain, c’est loin! La compagnia di bambini e adolescenti con cui la coreografa Josette Baïz lavora da più di trent’anni e provenienti da tutti gli ambienti comprese le banlieue francesi, ha entusiasmato il pubblico bolzanino, particolarmente nel pezzo finale, creato e adattato dal collettivo (LA)HORDE di Marsiglia per i 20 giovani interpreti dai 14 ai 20 anni, che hanno dato una prova di irresistibile forza e danzato letteralmente un manifesto per il diritto al futuro della loro generazione. 
 

E possiamo solo danzare.


Il Rijeka Ballet ha chiuso il festival con Afternoon of a Faun di Maša Kolar e Tchaikovsky di Cayetano Soto. 
La creazione del coreografo spagnolo rivela un compositore inedito, il suo tormento personale e intimo, il dramma di non poter vivere apertamente la sua omosessualità, pena il disprezzo della società. Le coreografie severe, eseguite alla perfezione dai danzatori sul sottofondo della lettura delle lettere di Tchaikovsky alla famiglia, accompagnavano le partiture del compositore,  conosciuto per i grandi balletti dallo Schiaccianoci al Lago di cigni, questa volta non correlate alla danza, esaltandone ancor di più la grande qualità musicale.

 

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Foto: Andrea Macchia


Tutto questo e molto altro è stato il festival quest’anno. Tra tutti e per tutti gli altri appuntamenti con la danza, la Gauthier Dance, ospite quasi obbligata di Bolzano danza e l’attesa performance di Koffi Kôkô che non si era mai esibito a Bolzano. E via via tutti gli altri.
Forse, nel segno dei tempi, è il caso di identificarsi nella figura di una Sibilla cumana, evocata nell’assolo Cuma del coreografo Michele Ifigenia. Come la figura divinatoria femminile interpretata dalla danzatrice, siamo noi stessi, di fronte alla contingenza della guerra e alla minaccia dei cambiamenti da affrontare che appartengono al nostro tempo, nudi e inermi in preda alla possessione e al mistero. E possiamo solo danzare.
 

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Foto: Andrea Macchia