Politics | Autonomia

Pacchetto o scherzetto?

Divagazioni, nel dì di Halloween, sugli spiritelli malefici che confondono le acque nel dibattito sull'autonomia altoatesina.

Nelle ultime settimane sulla stampa e, di rimbalzo, nel mondo politico sudtirolese è in corso una vivacissima polemica sulla possibilità che le recenti riforme costituzionali in via di definizione in Parlamento possano in qualche modo intaccare la sacralità dell'autonomia altoatesina. Gli argomenti si confrontano e si scontrano in un garbuglio nel quale è difficile rintracciare le tematiche politiche vere e proprie rispetto al riemergere di contrasti personali o di contese sotterranee  ancor meno nobili. Si tratta d'altronde di una discussione che dura ormai da decenni e che riemerge periodicamente quando ci sono obiettivi da colpire o vecchi conti da regolare. Non meriterebbe dunque grande rilievo, se non fosse che offre la possibilità di fare chiarezza in un campo nel quale la confusione regna sovrana anche nel mondo di lingua italiana.

Il fatto è che la questione dell'autonomia e del suo futuro viene troppo spesso affrontata con un approccio totalmente giuridico, dimenticando che invece essa è il prodotto di un processo politico, che può essere maneggiato solo sino a un certo punto con gli strumenti della professione legale.

Per capirci qualcosa di più occorre fissare in modo ben chiaro alcuni punti.

Nel 1946 Italia e Austria (quest'ultima rappresentante degli interessi dei sudtirolesi) concludono un accordo con il quale, come sempre avviene in questi casi, ciascuno dei contraenti rinuncia a qualcosa per ottenere qualcosa d'altro. L'Italia rinuncia ad una parte di sovranità sull'Alto Adige concedendo all'Austria l'impegno a garantire ai sudtirolesi un'ampia autonomia. L'Austria, di contro, rinuncia a far valere le sue pretese sulla revisione del confine del Brennero. L'Italia ottiene così la sicurezza per il suo confine del nord, mentre l'Austria si trova investita del ruolo di potenza tutrice degli interessi dei sudtirolesi.

Naturalmente la questione non si chiude così facilmente. Ci vogliono 25 anni di polemiche, scontri, ricorsi all'ONU, reciproche accuse, perché si arrivi a definire, nel 1969, un concetto di "ampia autonomia" sul quale possano pronunciarsi favorevolmente il Parlamento italiano, quello austriaco il congresso della Suedtiroler Volkspartei, considerata come unica e sola rappresentante degli interessi della minoranza tedesca e ladina. Ci vogliono poi altri vent'anni per attuare nel concreto quelle misure e realizzare quella che noi conosciamo come la seconda autonomia. Quasi mezzo secolo di lavoro per giungere, nel 1992, ad una chiusura della vertenza simboleggiata dal rilascio da parte di Vienna, sempre con l'assenso della SVP, della famosa "quietanza liberatoria".

Quando oggi alcuni politici della Suedtiroler Volkspartei parlano di autonomia in pericolo, dimenticano spesso di fare alcune opportune distinzioni, gettando in un unico calderone, elementi che invece andrebbero tenuti rigorosamente separati.

Ci sono in primo luogo le competenze ottenute in base all'accordo del 1946 e poi via via concretizzate nel corso dei decenni successivi. Questa è la parte dell'autonomia garantita internazionalmente, la cui lesione, anche solo parziale, darebbe luogo ad una riapertura del contenzioso da parte dell'Austria.

Ci sono poi molte altre competenze che si sono sommate a quelle precedenti nel corso soprattutto di questi ultimi decenni. Non si tratta di cose da poco. Si pensi ad esempio a molte competenze in campo energetico o ad alcuni trasferimenti nel settore scolastico. Questi "pezzetti" di autonomia non rientrano tuttavia nel recinto dell'autonomia internazionalmente garantita. Sono stati concessi in base ad una trattativa politica e con una decisione politica potrebbero essere revocati senza che questo possa dar adito ad una riapertura della vertenza internazionale.

C'è quindi la spinosa questione del finanziamento dell'autonomia. È chiaro che un'autonomia senza finanziamenti è come una macchina senza benzina. Non va avanti di un centimetro. È assai dubbio, però, che la questione possa esser vista nello stesso modo in cui recentemente l'ha inquadrata l'ex presidente della provincia Luis Durnwalder, secondo il quale senza la quota attuale di finanziamento l'autonomia altoatesina perde la sua ragione di esistenza. Negli ultimi decenni, sempre grazie a trattative politiche dal felice esito, la provincia di Bolzano si è assicurata una notevolissima quota di finanziamenti statali. Occorre vedere se questi sono tutti necessari, e in che misura, a far funzionare la macchina dell'autogoverno locale. Per spiegarci meglio recuperiamo una notissima metafora di Silvius Magnago, il quale usava dire che se avesse ritenuto che per l'autonomia fosse stato necessario dare un elicottero a ogni sudtirolese lui l'avrebbe chiesto e ottenuto. Da nessuna parte stava scritto, però, che quell'elicottero dovesse avere i sedili in pelle di coccodrillo albino e i comandi in oro e zaffiri. Anche qui per invocare la lesione dell'autonomia internazionalmente garantita occorrerebbe provare che i fondi eventualmente tagliati dallo Stato al bilancio provinciale erano veramente essenziali per il funzionamento di quelle famose competenze a suo tempo pattuite e concesse.

Nel dibattito di questi giorni riaffiora infine un ultimo elemento che è veramente tipico della mentalità avvocatesca con la quale il problema viene affrontato. Tra gli obiettivi proposti e ribaditi dai politici sudtirolesi c'è quello di "blindare" in eterno l'autonomia e i suoi istituti nei confronti delle possibili ingerenze romane. L'errore è quello di considerare una questione politica alla stregua di un contratto di diritto privato. Questo, con l'inserimento di opportune clausole, può esser messo al sicuro da sviluppi futuri. La storia ci insegna invece che in politica, così come nella vita dell'uomo, è perfettamente illusorio pensare che le cose non possano cambiare. Innanzitutto è fuorviante il coro di alti lài che si alza al cielo tutte le volte che riaffiora all'orizzonte dell'architettura costituzionale italiana qualcosa di simile ai famosi e famigerati "poteri di indirizzo e coordinamento" la cui ombra si proiettò sinistramente sulle fasi finali dell'attuazione del "pacchetto". È abbastanza logico che un potere centrale attraversi delle fasi nelle quali vuole ribadire il suo potere di intervento sulle autonomie locali, soprattutto in una struttura centralistica quella italiana. Questo non significa di per sé lesione dell'autonomia internazionalmente garantita, se non quando questo intervento venga attuato nel concreto.

Bisogna essere chiari. Bisogna dire, anche se questo rischia di gettare nel deliquio buona parte della classe politica sudtirolesi, che esiste persino l'ipotesi che, a fronte di mutate condizioni politiche, sociali ed economiche, Roma decide di metter mano a quella parte di autonomia concessa in base all'accordo del 1946. Avverrà allora che tra due stati democratici, i cui rapporti reciproci sono eccellenti e che sono legati strettamente nell'unione europea, si aprirà di nuovo un contenzioso che potrà essere risolto in modi diversi come ad esempio la trattativa bilaterale o il ricorso ad organismi di giustizia internazionale. Spiace dover dare un dolore ai pasdaran dell'autodeterminazione, ma anche in questo caso le loro speranze sarebbero quasi sicuramente destinate ad essere deluse. Non se ne parlò seriamente nel clima acceso degli anni 60, e men che meno se ne discuterebbe al giorno d'oggi.

La miglior garanzia per il futuro assetto dell'autonomia altoatesina resta insomma quella fornita alla rete di legami che esiste a livello bilaterale e comunitario tra le due democrazie italiana e austriaca. Aiuterebbe anche se questa benedetta autonomia smettesse di esser solo strumento di tutela delle minoranze e risarcimento per un'autodecisione rifiutata e diventasse col tempo patrimonio comune, sentito come cosa propria da tutti coloro che in Alto Adige vivono, a prescindere dall'etnia e dalla lingua. Ma questo, con l'aria che tira a Bolzano, è chieder troppo.

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alfred frei Sun, 11/01/2015 - 08:29

In un momento di vuoto politico, con la SVP e il PD in cerca d'autore, sarebbe il caso che i protagonisti veri - Palermo, Zeller, Bressa e quelli connessi, Kompatscher, Tommasini, Peterlini, Kronbichler, possano esprimersi direttamente sullo stato dell'arte. Anche per evitare che " gli argomenti si confrontano e si scontrano in un garbuglio nel quale è difficile rintracciare le tematiche politiche vere e proprie rispetto al riemergere di contrasti personali o di contese sotterranee ancor meno nobili". I cittadini ne avrebbero tutto il diritto e la democrazia ha bisogno del rispetto delle regole. O no ?

Sun, 11/01/2015 - 08:29 Permalink