In onore della barba di Wirth Anderlan
Chi devono essere i titolari del diritto al Doppelpass è una domanda che i molti che discutono in questi giorni dell’opportunità o meno di inviare la famosa 'letterina' dei 51 ai Ministri dell’Interno e degli Esteri austriaci non si pongono. Non è chiaro perché una questione così centrale sia saltata: se per furbizia, opportunismo, o semplicemente per quell’ottusità che si colloca alla radice di ogni forma di banalizzazione del male.
La domanda più famosa su chi può tornare in patria è il 'chi è ebreo?' (מיהו יהודי?) che affronta il problema dell’identificazione di chi ha diritto di accedere alla legge del ritorno. Si tratta di una questione ancora oggi largamente irrisolta che ha dato luogo a una lunga serie di controversie legali sfociate nel noto caso processuale R(E) v Governing Body of JFS del 2009 che poneva il problema se e in che misura l’interrogativo avesse i connotati del razzismo.
Come nel caso del ritorno degli ebrei in Israele, anche la domanda su chi può avere i titoli per accedere alla doppia cittadinanza austriaca riguarda l'individuazione delle caratteristiche che si focalizzano sulla lingua, la cultura, la genealogia e la società, nonché alla dimensione dei tratti individuali e famigliari che definiscono il titolare della richiesta come tale. Il problema non è come si dice di lana caprina, ma coinvolge direttamente sfere di diritto, politica e etica molto più profonde che arrivano a toccare le basi stesse del vivere civile e sociale.
Mentre il confronto sembra essere oggi concentrato sui modi di promuovere la richiesta al governo austriaco - con i 51 schierati per una soluzione diretta e il Landeshauptmann per un approccio bilaterale – nessuno si chiede cosa significa in pratica stabilire chi può avere diritto a una cittadinanza privilegiata. Quale criterio legale si potrà utilizzare per stabilire chi è il ‘vero’ sudtirolese?
E qui inizia purtroppo un calvario che rischia di travolgere e annientare i quaranta anni di retorica della convivenza e della piccola Europa che hanno accompagnato la crescita e il riconoscimento istituzionale bilaterale e internazionale dell’autonomia provinciale. Che cosa possiamo utilizzare per discriminare il vero dal falso sudtirolese?
Iniziamo con qualcosa di apparentemente facile: la lingua. Fare un test linguistico sulla conoscenza della lingua tedesca significa aprire le porte a milioni di abitanti del pianeta: brasiliani, equadoregni, potenzialmente anche cinesi o arabi poliglotti. Quindi: non si può fare. La dichiarazione linguistica in vigore in provincia non sarebbe anche sufficiente perché con il sistema attualmente vigente ciascuno può affermare una appartenenza diversa in base a una semplice espressione di volontà. Quindi si dovrebbe passare a qualche criterio ulteriore. La religione cattolica potrebbe essere un parametro da considerare se non fosse che oltre a avere perso di appeal tra le nuove generazioni sudtirolesi, l’orientamento religioso per concedere una cittadinanza è un discrimine inaccettabile per le costituzioni italiane e austriache e per i principi di base dell’Unione europea. A questo punto potremmo prendere in considerazione come a suo tempo aveva ipotizzato la patriota Tammerle Atz la cultura. La Tammerle Atz discriminava il vero sudtirolese dalla capacità o meno di cucinare i Kaisersmarren o i canederli e era arrivata al punto da minacciare la chiusura della sua attività ricettiva nel Burgraviato a causa della difficoltà di reclutare cuochi e camerieri locali. Visto il livello della discussione, potrebbe trattarsi di una proposta plausibile, ma certamente anche molto discutibile sotto un profilo giuridico. Anche l’adesione agli Schützen come segno di appartenenza all’autentica cultura sudtirolese presenterebbe qualche problema legale. La barba fino alla base del collo a sua volta potrebbe rappresentare un indicatore di dedizione alla tradizione hoferiana. Ma che cosa accadrebbe per le donne e per le persone con problemi di crescita dei follicoli sul mento e le guance?
La soluzione rimanente è lo screening genealogico. Da quante generazioni una persona ha parenti e famigliari che vivono in provincia di Bolzano. Il richiamo alla memoria della selezione genealogica della razza rimanda alle famigerate Leggi di Norimberga emanate nel 1935: la legge per la cittadinanza del Reich e la Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco. Il problema della Germania nazista è simile a quello della provincia di Bolzano. Riconoscere gli ebrei così come riconoscere i sudtirolesi non è semplice perché con la modernizzazione molti di loro hanno abbandonato le tradizioni, celebrano meno le ricorrenze, parlano più lingue, alcuni hanno sposato italiani, inglesi o persino medio-orientali. Per definire il vero ebreo, i nazisti non avevano basi scientificamente valide per cui si servirono della genealogia arrivando a considerare ebreo chiunque avesse tre o più nonni nati nella comunità religiosa ebraica.
La logica genealogica come strumento di riconoscimento del vero sudtirolese assume già solo nell’immaginazione connotati caricaturali. Immaginiamo gli Hosp, gli Achammer, i Gatterer (momentaneamente distolti dagli affari della SAD), i Pahl e le Klotz incamiciati in divise di laboratorio armeggiare con ampolle di sangue da analizzare. Quale è la percentuale di globuli rossi doc appartenenti al vero sudtirolese? Prendiamo un figlio di una famiglia multilingue: il sangue puro è metà di quello che circola nel corpo. E’ sufficiente per stabilire se la persona può richiedere e ottenere la cittadinanza? Oppure non basta? Poi risalendo lungo le generazioni, la situazione rischierebbe di essere ancora più ingarbugliata. Le percentuali di sangue sudtirolese diventerebbero sempre più difficili da calcolare.
Prendiamo per esempio uno Sven Knoll qualunque. I lineamenti non sono quelli di un meridionale, gli occhi sono azzurri, i capelli biondi, la fronte alta probabilmente simbolo di un'intelligenza superiore, ma come è il sangue? Per quante generazioni addietro può davvero garantire? E se saltasse fuori che nel suo corpo ci fosse una quota di plasma francese o russo? O moldavo? O magari, andando indietro per alcuni secoli, addirittura africano? Cosa dovremmo fare? Toglierli la doppia cittadinanza o lasciargliela?
E visto che ci siamo, affondiamo il bisturi ancora un pò più in profondità. Ipotizziamo che un residente di madre lingua italiana abbia avuto tra i suoi nonni una persona nata nel vecchio Tirolo asburgico: una parte di un impero che prima di essere sciolto e di perdere i suoi pezzi a favore degli stati usciti vincitori dalla prima guerra mondiale era multilingue. Come la mettiamo? Possiamo dire che i suoi antenati non appartenevano all’Impero austroungarico e quindi non abbia titolo di fare richiesta di ritorno per quanto simbolico alla madre patria? Si può dire che questa persona non abbia il diritto di decidere se ritornare alla vecchia madre patria in virtù delle sue antiche origini e virtù?
Chi deciderà dunque chi potrà accedere alla cittadinanza austriaca si troverà di fronte a un compito piuttosto gravoso. Perchè alla fine della retorica che ammorba gli animi e le menti di tanti abitanti della nostra bella provincia stabilire chi è cittadino di uno Stato in una Europa che si vuole avere sempre meno confini in base a lingua o genealogia rischia di non di essere mezzo per superare muri, ma strumento di edificazione di barriere di sangue e suolo destinate a alimentare solo nuove incomprensioni e conflitti.
Hanna Arendt ha scritto molti anni fa un libro intitolato ‘La banalità del male’ che terminava con la celebre constatazione secondo cui il male non è mai ‘radicale’, non possiede né la profondità né la dimensione demoniaca. Esso rischia però lo stesso di invadere e devastare il mondo perché sfida il pensiero. Il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di interrogarsi sulle conseguenze delle decisioni, di andare a fondo ai problemi. Il male invece è banale in quanto irriflesso, superficiale, si affida alle convenzioni senza domandarsi cosa comporta nell’attualità la loro applicazione, pensa che giusto e sbagliato siano categorie dello spirito a cui ottusamente si immola.
Una suonata di ottoni e trombe in onore della barba del Comandante Wirth Anderlan forse rasserenerà gli animi dei combattivi supporter del doppio passaporto. Ma per chi si domanda che cosa voglia dire distinguere tra chi è sudtirolese e chi non nel 2019, più che di un suono si tratta di un rumore sinistro di cui si farebbe volentieri a meno.
Se l'intenzione era quella di
Se l'intenzione era quella di far cadere il livello della discussione più in basso di quanto avrebbero potuto gli Schützen e l'STF, l'esperimento mi sembra riuscito.