IL "TEMPO" DELL'ANSIA

L'ansia, una parola carica di significati ma, rispetto ai suoi vari contenuti, spesso racchiude una connotazione rivolta verso il futuro. Il suo valore "intrinseco" sembra scomparso di fronte ad una società che, più che gestire, allontana certe (utili) emozioni.
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~~L’ansia ha una funzione determinante, può essere un segnale di avviso sulla rotta da seguire o – nella sua peggior accezione – può diventare la rappresentazione del “nostro” voler metterci continuamente al “posto giusto, al momento giusto”.
La nostra civiltà sta diventando sempre più ansiosa perché sta perdendo il senso del tempo. Come l’ansia del successo personale – “cifra” del futuro - che spesso fa sentire inutili mentre il tempo scorre: quell’inquietudine che si sgancia dai bisogni reali e diventa “ansia di possesso”, a ragionare per il futuro, a sapere se le nostre cose dureranno.
Quando si esalta il tempo si tende ad un eccessivo controllo, in modo quasi patologico. Ecco che l’ansia può rappresentare una malattia della mente di sottostare a tale controllo, una ribellione da parte dell’inconscio.
Infatti, spesso, l’ansioso è colui che ha la mente sempre occupata da fatti, colui che enfatizza con gli amici le cose che fa durante la giornata, dando così potere al tempo.
Tutti i valori della nostra società puntando su quest’ultimo fattore rendono possibile il diramarsi di dell’insinuante paura di perdere tutto, o di far tutto per non perderlo.... L’ansia in questo caso arriva, appunto, in un “secondo”.

L’indipendenza tra spazio e tempo è ciò che distingue il parlare umano dalla comunicazione animale (Leiss, 2000).
Nella mitologia degli aborigeni australiani i principali riferimenti sono il “dove” e lo “spazio”, e non il tempo, giacché per essi è prioritario dove accade un certo fatto, e non quando (Piella, 2002).
Per i cacciatori e i raccoglitori era indispensabile lo spazio, non il tempo. Le attività venivano percepite come un qualcosa di “spaziale”.
Nella denominazione occidentale di “tempo del sonno”, dell’inglese "dream-time", come traduzione del vocabolo locale “alchera”, formato dalla radice per “eterno”, si considera oggi antropologicamente non corretta perché fa riferimento al tempo, e quindi nell’attualità si preferisce la denominazione inglese “dreaming”, ciò che potrebbe tradursi bene in italiano come “sonno” – sogno o, ancora meglio come “eternità”, non attribuendo così significato ad un qualcosa che passa.
La lingua Dakota, ad esempio, non ha parole per designare il tempo. 

Il tempo è preso in seria considerazione fin dagli inizi del sapere scientifico dove gli si dà un incredibile valore: parametro fondamentale per ogni tipo di misurazione, dimensione nella quale si misura un certo evento.
Pensiamo a Newton nell “annus mirabilis”; a G.W. von Leibniz con il “calcolo infinitesimale”;  G. Galilei con le “oscillazione del pendolo” o i “moti dei gravi”; A. Einstein con la “teoria della relatività”; i primi esperimenti sui tempi di reazione di F. Donders. Ma il tempo lo troviamo anche in molti “compartimenti” della metafisica: I. Kant “dal tempo allo spazio”; Hegel “il tempo come divenire intuito”; Bergson “il tempo della scienza come spazializzato”; Heidegger nella sua eccezionale opera “Essere e tempo” fino alla vita di ogni giorno che, da un lato, dà valore assoluto al tempo (dalla citazione frankliniana: “il tempo è denaro”) o - dall’altro lato - lo scredita tramite "bufere" di luoghi comuni, come chi si dedica a raccapriccianti conversazioni perdi-tempo. Infatti, alcuni, per uccidere la propria esistenza affermano di conversare continuamente “tanto per ammazzare il tempo”, fino a quando scoprono di non sapere cosa dire ripiegando sul  “tempo atmosferico” - si chiederanno che "tempo farà domani".
Ma il paradosso più grande è che per quanto possiamo allontanare, rifiutare o indebolire il “tempo” , il tempo vivrà continuamente dentro noi(Ho 30 anni, ma sento di averne 60!).