Politics | Israele

Non siamo amati e non vogliamo esserlo

Intervista a Sarit Michaeli, portavoce dell’organizzazione israeliana B’Tselem.
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"Non siamo amati e nemmeno vogliamo esserlo", dice Sarit Michaeli, l’israeliana che difende i palestinesi. Di seguito l’intervista fatta da Zdenka Trachtova il 16 Settembre 2014 per il quotidiano di Praga iDnes.cz alla portavoce di B’Tselem - “Centro informativo Israeliano per i diritti dell’uomo” - in occasione della candidatura al premio “Vàclav Havel” che verrà assegnato il 29 Settembre da una giuria parlamentare del Consiglio europeo a Strasburgo con la collaborazione della Biblioteca “Vàclav Havel” e dell’associazione Charta 77. Il premio intende mettere in luce chi si sia distinto in modo particolare nella difesa dei diritti dell’uomo: tra i candidati di questa edizione anche il “Jesuite Refugee Service” di Malta e il difensore dei diritti umani azero Anar Mammadli.

 

          

Michaeli, proveniente da Gerusalemme Est dove è stata attiva come giornalista, lavora per B’Tselem dal 2004. L’organizzazione (www.btselem.org) si pone come obiettivo la vigilanza sul rispetto dei diritti dell’uomo in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza attraverso la raccolta di testimonianze, prevalentemente sotto forma di video, che vengono poi inoltrate alle autorità competenti e attraverso il monitoraggio dei processi scaturiti da queste denunce.

 

Come descriverebbe il vostro lavoro sui territori palestinesi?

Innanzitutto documentiamo i casi di violazione dei diritti umani. Raccogliamo le testimonianze sia delle vittime che dei testimoni, poi verifichiamo i dati e solo dopo li rendiamo pubblici. Questo lo facciamo sia in Cisgiordania che a Gaza, dove però è molto più complicato. Lì, infatti, ci troviamo a lavorare tra divieti e limitazioni.

Il lavoro ci viene reso difficile sia da Hamas, sia dalle unità israeliane. Ad esempio alcuni nostri collaboratori di Gaza non possono entrare in Israele, e viceversa i nostri dipendenti dell’ufficio israeliano non possono entrare a Gaza - perciò tutte le nostre comunicazioni avvengono per forza via mail o telefono. Ci limita anche Hamas, che non ci rende possibile le indagini imponendoci una serie di divieti. Penso però che nonostante tutto il nostro personale faccia un ottimo lavoro. Raccolgono informazioni, girano video, parlano con i testimoni.

È possibile rispettare i diritti umani nei territori occupati?

Nello stato di occupazione militare il rispetto dei diritti fondamentali viene tutelato dal Diritto Internazionale, per cui gli organi di questo dovrebbero imporre il rispetto delle norme vigenti. Inoltre l’occupazione è da intendersi come evento provvisorio - questa però è tutta teoria, noi lavoriamo invece in una realtà concreta. Israele si comporta come se la Cisgiordania fosse un suo territorio: prende i terreni, sfrutta le risorse naturali e costruisce colonie. Allo stesso tempo infrange i diritti umani degli abitanti palestinesi.

Secondo le vostre pagine internet l’obiettivo principale di B’Tselem è ”cambiare la politica israeliana nei territori occupati”. In che modo questa dovrebbe cambiare?

La terza e la quarta generazione di israeliani e palestinesi è ormai nata nella realtà dell’occupazione e non ne conosce un’altra. I palestinesi vivono sotto un duro regime militare, che serve soprattutto agli interessi dei coloni israeliani. Questa situazione in Cisgiordania dura ormai da cinquant’anni, e continuerà probabilmente anche nel futuro visto che si sta radicando sempre più in profondità. Inevitabile conseguenza di questo è proprio il continuo infrangere i diritti umani; solo la fine dell’occupazione potrà risolvere la situazione.

Lei pensa che la soluzione dei due stati indipendenti sia realizzabile?

B’Tselem non cerca di imporre una determinata soluzione per il conflitto, dato che non abbiamo neppure le necessarie conoscenze teoriche e tecniche per poter giudicare la sostenibilità delle diverse possibili risoluzioni - questo è compito della politica. Dal punto di vista del diritto Israele dovrebbe immediatamente interrompere il processo di colonizzazione e abbandonare gli insediamenti costruiti fino ad oggi. Chiaramente su una soluzione del genere dovrebbe però accordarsi direttamente Israele con i palestinesi.

Lei come giudica il comportamento dell’esercito israeliano in Cisgiordania? Cerca di essere una forza neutrale, oppure difende solo i coloni?

Nel regime di segregazione vigente in Cisgiordania i coloni hanno pieni diritti civili, mentre i palestinesi sono sottoposti a un duro controllo militare. Non hanno neppure la possibilità di votare il governo che poi regola le loro vite. Si assiste qui ad una serie di discriminazioni per quanto riguarda l’accesso alle risorse, alla giustizia e a tutto il resto.

Lei personalmente ha mai avuto problemi nei territori palestinesi?

Sì, sono stata arrestata diverse volte mentre riprendevo delle manifestazioni in Cisgiordania. L’esercito israeliano infatti tende a dichiarare come ”zone militari chiuse” i posti dove tradizionalmente si svolgono le manifestazioni. Questo permette ad esso di proibire poi l’accesso ai dimostranti e, nel caso di disobbedienza, di arrestarli.

Noi rispettiamo sempre le regole, per cui quando io e i miei collaboratori veniamo invitati ad andare via eseguiamo l’ordine, nonostante la nostra totale contrarietà a questa politica. Ciò nonostante le forze di sicurezza spesso abusano del loro potere e arrestano anche chi sta in realtà già andando via. A testimonianza del fatto che io sia sempre stata arrestata in modo immotivato, basta far presente come sia sempre stata subito liberata senza vedere aprirsi un solo processo contro di me.

Chi controlla il rispetto effettivo dei diritti umani dovrebbe avere accesso anche alle aree chiuse, ma le forze israeliane non riconoscono lo status speciale di queste figure di cooperazione.

I tribunali israeliani intervengono nelle situazioni di occupazione di territori palestinesi?

La situazione è complicata. L’alta corte Israeliana ha rifiutato di occuparsi della liceità delle colonie dato che considera la questione come politica. Si esprime solo nei casi in cui a venire occupati siano territori privati di cittadini palestinesi; quando a venir occupata è la terra pubblica ne rimane invece fuori.

Sul lungo termine l’alta corte dimostra evidentemente una cattiva volontà ad intervenire, come anche tutto il sistema giudiziario di Israele. Sono stati trattati diversi casi in cui degli Israeliani hanno occupato delle terre di palestinesi, ma la terra solo in rarissimi casi è ritornata davvero ai legittimi proprietari. Va anche considerato che di solito i palestinesi rifiutano gli indennizzi economici perché in questo modo rischierebbero di dare legittimità alle colonie.

Che rapporto ha B’Tselem con il governo israeliano attuale?

Complicato. Da una lato alcuni esponenti del governo prendono noi e le nostre critiche in modo molto serio. Altri però tendono piuttosto ad attaccarci. Usano il loro potere politico per screditarci e renderci il lavoro impossibile. Tutto ciò fa parte dell’onda antidemocratica che attraversa Israele negli ultimi anni.

Qual è invece il sostegno alla vostra organizzazione da parte della società civile?

Non è certo un segreto il fatto che B’Tselem non sia proprio amata dalla società Israeliana. Non penso neppure che questo debba essere l’obiettivo di un’organizzazione umanitaria. Bisogna però ricordare che ci sono molti israeliani che ci sostengono, per i quali l’autocritica è parte imprescindibile di una democrazia. Noi siamo orgogliosi di esser parte di questa società civile di Israele.

I vostri oppositori sono invece delle sfere nazionaliste e religiose, o sbaglio?

Nella società Israeliana religione, etnia, classi e politica sono aspetti molto integrati. I movimenti dei coloni sono di solito fortemente religiosi - non è però tutto così banale, non si deve ridurre ogni cosa a questo. Anche nei circoli religiosi infatti ci sono diverse persone che difendono i diritti umani dei palestinesi, ad esempio i Rabbini per i diritti umani.

Come viene vista la vostra attività dai palestinesi stessi?

Penso che generalmente abbiamo una buona immagine nella società palestinese, cosa sensata dato che la maggior parte del nostro lavoro sta nel difendere i loro diritti. Ciò non significa però che loro siano d’accordo con tutto ciò che diciamo, o che i nostri rapporti siano privi di ogni problema. Penso però che ci accettino per il modo pratico in cui portiamo alla luce le loro storie di mancato rispetto dei loro diritti fondamentali. Il nostro progetto video non dipende solo dalla collaborazione con duecento volontari palestinesi, ma anche da quella di tutti i loro familiari e conoscenti.

Negli ultimi scontri a Gaza è morto un gran numero di civili. Cosa dice della giustificazione di Israele, secondo cui sia impossibile evitare di colpire i civili dal momento che Hamas li usa come scudi umani?

Noi critichiamo continuamente Hamas per l’infrazione dei diritti umani, ma dare a questo gruppo tutta la colpa dell’enorme numero di vittime di Gaza è sbagliato sia dal punto di vista del diritto che da quello della morale. Hamas attacca davvero la popolazione civile di Israele, ed è inoltre attiva tra i civili palestinesi e tra di essi nasconde le proprie armi. Per tutto ciò è sicuramente responsabile Hamas. Questo però non libera il governo di Israele e i militari dello stesso Stato dalle responsabilità derivanti dalle proprie scelte.

La vostra organizzazione è composta da palestinesi e da israeliani. Come sono i loro rapporti?

B’Tselem è un’organizzazione israeliana con dipendenti ebrei e arabi - israeliani e palestinesi. Naturalmente nell’organizzazione trovano spazio diverse idee e visioni. Ci troviamo però sempre tutti d’accordo nel credere nell’universalità dei diritti dell’uomo e della verità, così come nella nostra professionalità e missione.

B’Tselem è stata nominata per il premio “Vàclav Havel” per i diritti dell’uomo. È conosciuta anche tra i palestinesi ed israeliani la figura di Havel?

Assolutamente sì, anche se non posso dire precisamente quanto sia conosciuto il suo nome nella società palestinese. In ogni caso posso dire che in Israele è molto famoso per via della sue battaglie contro i totalitarismi e per la democrazia.

 

(Originale tratto da www.idnes.cz, intervista di Zdenka Trachtovà, 16.09.2014)