Pascoli e Polo Bibliotecario interetnico e interculturale: la Storia siamo noi.

Ora, le alternative sono due: realizzare il progetto accetando il compromesso nel segno della novità che pur rappresenta e cioè un Polo culturale interetnico e interculturale, oppure ricominciare tutto da capo, sicuri che per 50 anni non si ripresenterà mai più un'occasione del genere perchè a quel punto i finanziamenti saranno dirottati e ogni biblioteca andrà per conto suo. Tertium non datur.
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Foto: insalata-mista studio

Ho capito che ci sono le elezioni a ottobre, ma costruire la discussione sul problema del nuovo polo bibliotecario senza ricordare cos'è successo ieri e cosa succederà domani, mi sembra proprio un metodo sbagliato che identifica la politica solo con la ricerca esasperata del consenso elettorale.

Ed è paradossale che coloro che invocano in modo quasi rabbioso il rispetto della memoria del passato, ignorino in modo troppo disinvolto lo svolgimento dei fatti recenti. A differenza del progetto Benko che nasce ora, quasi come un fungo, da esplicite esigenze speculative con ricadute profonde su tutta la vita cittadina e sul quale il confronto è appena cominciato (sono tra quelli che pensano che un coinvolgimento referendario dei cittadini sulle diverse opzioni sia, forse, necessario e opportuno...), l'idea di riunire tutte le biblioteche provinciali in un unico polo bibliotecario interculturale e interetnico nasce oltre dieci anni fa. E non come un'ennesimo tributo al gigantismo provinciale, ma, al contrario, come progetto innovativo per affontare in modo concreto il drammatico problema della Biblioteca Civica. Occorreva salvaguardare il ruolo culturale della Civica rispetto a tentativi espliciti di liquidarla (come la Tessmann e la Claudia Augusta è centro di sistema, ma è anche plurilingue) trovando una nuova sede adeguata e i finanziamenti necessari. L'occasione d'oro si presentò con il fatto che anche la Tessmann e la Claudia Augusta dovevano trovare una nuova sede. Nacque così il progetto di una biblioteca unica che salvaguardasse le singole istituzioni culturali, ma consentisse agli utenti un'unica interfaccia e la creazione di un luogo interculurale, interetnico, aperto, di nuova concezione (niente a che vedere con la polvere e le ragnatele insomma), destinato all'incontro, alla cultura e alla lettura. Uno spazio nuovo, insomma, crocevia dell'incontro tra culture e generazioni. L'edificio delle Pascoli fu scelto dopo la decisione di realizzare una scuola superiore anche nei nuovi quartieri nel nome del policentrismo superando l'accentramento eccessivo dell'offerta scolastica. Il luogo era baricentrico tra le attuali biblioteche (quindi ideale per gli utenti fidelizzati), a cavallo tra Città vecchia e nuova e ben servito dai mezzi pubblici e da quelli sostenibili. Inoltre, questa scelta consentiva sinergie patrimoniali e finanziarie decisive e un rapporto paritario tra Provincia e Comune.

Quindi, nessuna imposizione della Provincia matrigna questa volta, nè speculazione, ma proprio il contrario. Il problema vero è nato dopo perchè fu commesso un errore e, cioè, nel bando di concorso europeo non fu inserita a sufficienza la salvaguardia dell'edificio in quanto non era formalmente tutelato. All'inizio l'errore fu sottovalutato (e Salghetti e una parte della maggioranza, si arrabbiarono moltissimo...) e si arrivò al concorso dove tutti i progetti tranne uno prevedevano la demolizione integrale del sito. Solo uno dei progetti prevedeva una sua parziale riconversione e non fu giudicato obiettivamente da nessuno il migliore. Sotto le pressioni di una parte dell'opinione pubblica che ricordava lo scempio del Cinema Corso e, nonostante fosse già chiaro che la richiesta di referendum sottoscritta da migliaia e migliaia cittadini sarebbe stata respinta dalla Commisione dei saggi (quindi chi la ripresenta oggi è veramente fuori tempo massimo), dopo varie assemblee, istruttorie e altre raccolte di firme , l'Assessore all'Urbanistica Silvano Bassetti e il Sindaco Spagnolli (e vi furono accese discussioni anche in Giunta e nei partiti di maggioranza, soprattutto nei DS di cui ero Capogruppo per arrivare al ripensamento) annunciarono un improvviso cambio di rotta e dopo alterne vicende, anche giuridiche, si arrivò alla decisione concordata con la Provincia che il progetto Mayr Fingerle, secondo arrivato nel Concorso (in quanto il primo premio non fu assegnato), sarebbe stato modificato.

In una seduta tesa, lunga e solenne il Consiglio Comunale di Bolzano discusse e approvò con ampio consenso il compromesso (salvo Unitalia e qualche mugugno opposto di alcuni esponenti Verdi e SVP), destra inclusa (ma allora c'era una personalità del calibro di Pietro Mitolo...) il nuovo progetto di Mayr Fingerle che prevedeva la salvaguardia della facciata e della scalinata, cioè, degli elementi ritenuti fondamentali e identificativi dell'architettura razionalista anche dai contestatori. Ricordo benissimo che il Comune fu duramente criticato da Hans Heiss, Romano Viola e molti altri. Si disse che avevamo messo sull'opera solo un volgare "tanga" che "tutto" lasciava intravedere, o una "foglia di fico" analoga a quelle che il regime fascista metteva per coprire i nudi artistici. Ci fu anche la proposta di spostare il polo sui Prati del Talvera, ma non se ne fece nulla per ovvie ragioni di carattere ambientale e, soprattutto, per non ricominciare da zero aprendo la strada ad un ripensamento della scelta interetnica. Quindi non è vero che non si sia mai discusso, o che non vi sia stata partecipazione. Con grande rispetto della elaborazione culturale di Zoeggeler (che dice cose sacrosante sugli scempi e sugli errori del passato) debbo, anzi, dire che sicuramente il risultato finale presenta molti limiti dal punto di vista dell'estetica architettonica, ma rappresenta, comunque, un compromesso che esplicitamente si pone il problema di rispondere a tutte le sensibilità. L'edificio ricostruito delle vecchie Pascoli, insomma, manterrà gli elementi architettonici fondamentali che tutti conoscono, la scalinata e la facciata, e non sarà oltraggiato da usi speculativi o commerciali, ma diventerà un polo culturale moderno fondamentale per tutto il territorio. Occorre ricordare che siamo ancora in presenza di una trattativa delicata non ancora conclusa sui rapporti gestionali e culturali tra le diverse biblioteche. E che pur essendo stati messi a bilancio i fondi necessari non è ancora conclusa del tutto la trattativa patrimoniale ed economica. Insomma tutto può ancora saltare.

L'obiezione dello "spreco" dei 70 milioni non regge, non solo perchè se ogni singola biblioteca dovesse andare per conto suo i costi sarebbero analoghi, o, addirittura maggiori, ma, soprattutto perchè il rischio concreto di chiusura lo sta correndo la Biblioteca Civica. Anni fa vi fu un grande dibattito sulla realizzazione del nuovo Teatro. E anche allora, c'era chi diceva che era un lusso inutile e che era meglio costruire edilizia sociale. Cultura e servizi pubblici e sociali sono pilastri della stessa città. Senza l'una o senza gli altri le città declinano tristemente e così anche la nostra vita. Semmai, occorre battersi perchè altre promesse mai mantenute siano finalmente realizzate, in particolare, a Bolzano. Diceva Marco Bernardi, Direttore del Teatro Stabile, che con i soldi necessari a costruire pochi chilometri di qualche circonvallazione periferica si potrebbero risolvere tutti problemi della cultura. Vale anche per altri aspetti della vita di un Capoluogo come Bolzano, fortemente "taglieggiato" in questi anni persino nella ripartizione dei fondi per la Finanza Locale. Sono ben altre le cose che si possono tagliare, magari, il vero e proprio "pozzo di San Patrizio" rappresentato dal nostro costosissimo aeroporto. Forse rischio di essere impopolare, ma, come canta De Gregori, la "Storia siamo noi" e, quindi, voglio correre il rischio e assumermi la responsabilità di sostenere che questo progetto con tutti i suoi limiti rappresenta un punto d'incontro fondamentale tra culture, generazioni e sensibilità, inclusa quella di correggere in modo discutibilissimo, ma significativo gli errori iniziali e salvaguardare nei modi che sono stati possibili le testimonianze dell'architettura razionalista.

Guido Margheri