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SVP come un Pacman
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Sul percorso museale che lunedì aprirà il Monumento alla Vittoria alla cittadinanza bolzanina, il noto storico Giorgio delle Donne sembra nutrire qualche perplessità. Per lo storico contemporaneo, la SVP sta lentamente fagocitando quello che resta di «italiano» a Bolzano, utilizzando i grimaldelli della storicizzazione e della storia condivisa.
Delle Donne, forse la storicizzazione non andava fatta?
«No, non dico questo, il percorso di storicizzazione, in una terra contesa come la nostra, è sempre necessario. Sul monumento alla Vittoria di Bolzano, in particolare, pesa sia il diritto di abitazione sia la memoria del passato. Il problema è nelle modalità attraverso le quali si cerca di risolvere la tensione tra gruppi etnici che condividono una terra di confine ma usano il passato per finalità meramente politiche».
Ma il monumento non è chiaramente un'opera che segna una divisione etnica?
«Il monumento ha un significato preciso, perché segna il passaggio d'appartenenza di una terra, ma ha anche altri significati. Infatti, riprende tanti simboli. Oggi sappiamo che Mussolini voleva un monumento a Cesare Battisti, ma la famiglia si oppose e alla fine la scelta andò sulla vittoria della Prima Guerra Mondiale. Il monumento ha dei fasci, è vero, ma ricorda anche i morti irredentisti, c'è un Cristo redento, presenta parole polisemiche e si riferisce alla vittoria in un'epoca dove non esisteva il fascismo».
Comunque, è un'opera che segna l'avvenuta occupazione di una terra. Va spiegato?
«Il fascismo era metodico, non lasciava nulla al caso. La prima pietra venne posata il 12 luglio del 1926 e l'inaugurazione si fece esattamente due anni dopo, perché comunque Mussolini voleva celebrare Battisti. Il monumento va spiegato, ma dubito che la Commissione possa avere portato elementi diversi da quelli ormai già noti a tutti. Sono funzionari, non Mandrake!».
Però, il mandante di un'opera di storicizzazione come questa deve essere pubblico, no?
«Si e devo dire che sicuramente la Commissione di oggi lavora meglio di quella che anni fa propose ingenuamente di scavare alla ricerca del precedente monumento austriaco, senza sapere che nel 26 venne fatto saltare. Allora la Commissione era politica, oggi sono dei funzionari».
E' una critica verso la Commissione composta da funzionari?
«Quello che mi stupisce è il fatto che la Commissione non si sia mai confrontata con l'opinione pubblica o con il Consiglio Comunale, o anche magari solo con la Commissione Cultura di Bolzano. Per questo dico che non si tratta di una storia condivisa, ma di un mandato politico realizzato da funzionari».
Quindi, è una storicizzazione non condivisa?
«Certo, e questo fa parte della solita retorica della storia condivisa che va avanti da anni. Lo dico sempre all'amico Spagnolli, quando gli ricordo il Concorso di idee per la storicizzazione del bassorilievo del Duce in Piazza Tribunale. Pagarono 20.000Euro e alla fine Durnwalder disse che non se ne sarebbe fatto nulla, perché il bassorilievo andava coperto. Oggi c'è Kompatscher e parla di storicizzazione, ma ancora una volta sarà la SVP a decidere, quella che controlla anche il Consiglio Comunale di Bolzano».
Se a decidere è sempre la SVP, chi ci rimette?
«La popolazione di madrelingua italiana. Basta vedere il depauperamento degli italiani nei posti che contano, basta ricordare la vicenda dei toponimi e dei cartelli monolingue, basta controllare chi conta nell'economia. Questo non ha nulla a che vedere con la retorica della storia condivisa. E' una condivisione imposta, semmai».
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