Società | l'intervista

Svaneti, terra promessa del freeride

Nick Phaliani racconta le sue avventure su montagne lontane e diverse da quelle alle quali siamo abituati.
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Foto: fb

Nick Phaliani ha 28 anni ed è una guida di montagna georgiana. A dicembre il film documentario che lo vede protagonista, “Kastanistan Snowmads in an imaginary Land without borders”, è stato proiettato al Freeride Filmbase di Innsbruck ed è ora tra i candidati per la best line of the year alla Mountain on Stage Winter Edition. Tra tutte le attività, il freeride e lo sci alpinismo sono la sua passione. Dopo averlo visto sul grande schermo, l’ho incontrato a Mestia, durante una vacanza scialpinistica un po' sui generis nella regione dello Svaneti. Non è stato facile arrivarci, visto che si tratta di un paesino incastonato tra le grandi montagne georgiane del Caucaso, a cavallo tra oriente e occidente e al confine con la Russia. Dista circa quattro ore di auto dal centro abitato più vicino ed è raggiungibile solo attraverso un’unica strada malridotta, che causa di sicuro qualche sospiro a chi la percorre per la prima volta, considerato anche che nella guida audace degli autisti c’è di sicuro un po' di sconsideratezza. Tutto però presto ricompensato, vista la vista mozzafiato che accoglie i visitatori che riescono ad arrivare a Mestia. È infatti difficile non lasciarsi colpire dalle poderose montagne Ushba e Tetnuldi sullo sfondo, che sfiorano entrambe i cinquemila metri e rendono il panorama a dir poco impressionante. Durante un pomeriggio soleggiato, incontro Nick in un bar del centro. Sono curiosa di sentire quali siano le sue prospettive sull’alpinismo e le sue avventure su montagne diverse e lontane da quelle alle quali sono abituata.

salto.bz:Lukmed”, uno degli ultimi film documentari che ti vede protagonista, deve il suo nome agli sci di legno fatti a mano, tipici della regione dello Svaneti, che si usavano in passato per percorrere le strade ghiacciate dei villaggi. Anche tu hai imparato a sciare così?

Il primo impianto sciistico è stato costruito a Mestia nel 2010, quindi quando ero piccolo non c’erano molte altre possibilità per andare a sciare. Il mio primo contatto con la montagna e le mie prime esplorazioni le devo ai miei nonni. Loro mi hanno “iniziato” all’alpinismo, anche se il mio percorso per diventare guida di montagna è iniziato piuttosto tardi, dato che ho ottenuto il certificato internazionale nel 2016.

In Europa hai raggiunto una certa notorietà grazie ai tuoi documentari. “Kastanistan Snowmads In An Imaginary Land Without Borders”, per esempio, racconta la tua storia e quella dello sciatore professionista Fabian Lentsch, che hai conosciuto in passato durante un suo soggiorno a Mestia. Siete partiti insieme una missione sciistica in una zona sperduta della Georgia, che non è mai stata sciata prima. Kastanistan, però, è un nome di fantasia e non ha una posizione geografica precisa. Lo descrivete come un luogo immaginario, una terra perfetta e paradisiaca. Cosa significa questo per te e quale altra esplorazione “reale” che hai fatto si è più avvicinata a questo luogo immaginario?

La terra immaginaria del Kastanistan rappresenta il luogo in cui mi catapulto ogni volta che scio tra le montagne. Per me lo sci è semplicemente pura gioia, pace e armonia. Un luogo fertile per l’amicizia, per l’intensità dei momenti che si vivono assieme. Io sono prima di tutto uno sciatore, però penso di poter dire che una delle mie esplorazioni più significative sia stata la scalata per nulla facile dell’Ushba, la vetta che domina lo Svaneti. Per me e i miei coetanei del villaggio è stata una sorta di rito di iniziazione, nonché l’espressione di un nuovo modo di vivere la montagna rispetto alle generazioni precedenti. Per gli abitanti di Mestia, infatti, Ushba ha un valore in un certo senso mistico e nella cultura locale è stata sempre rappresentata come qualcosa di inavvicinabile e intoccabile. Riuscire ad arrivare in cima è stato anche un modo per dimostrare che vogliamo tornare a relazionarci con la montagna più da vicino, viverla attraverso esplorazioni e avventure, senza limitarci ad osservare le sue cime imponenti dal villaggio.

Con questo vuoi dire che l’alpinismo è un fenomeno nuovo per la tua regione?

No, ci sono stati grandi alpinisti e scalatori anche in passato. Negli anni dell’Unione Sovietica però, la situazione qui era difficilissima: la povertà era estrema e tutto era concentrato sulla sopravvivenza. Quegli anni sono stati un trauma per tutti e, ovviamente, se sei concentrato a sopravvivere, scalare le montagne è un lusso che non ti puoi permettere. In quegli anni c’era stata una grande battuta d’arresto, anche se va comunque detto che ci sono state delle stelle. Michail Chergiani, per esempio, uno die più grandi alpinisti sovietici, veniva proprio da un villaggio qui vicino. A partire dalla mia generazione abbiamo cercato di imprimere una svolta a tutto questo e a riportare nel villaggio l’attenzione sull’alpinismo. Lo svilupparsi del turismo ha senz’altro aiutato. Ha portato una certa crescita economica e i turisti hanno avuto un effetto positivo qui. Basti pensare che è anche grazie alla loro presenza che posso vivere del mio mestiere di guida di montagna e allo stesso tempo dedicarmi all’alpinismo.,

 

Il primo stabilimento sciistico ha aperto a Mestia nel 2010. Il turismo ha iniziato a fiorire in quel periodo?

Si, nel periodo sovietico non c’era nulla di tutto questo. Mestia era solo campi e bestiame. Lo sviluppo del turismo, lo dico con un certo orgoglio, è merito della mia generazione e ci stiamo impegnando molto per farlo crescere. C’è un grosso limite dovuto alla carenza di infrastrutture, che rende Mestia ancora molto difficile da raggiungere. Il fatto di essere così isolati geograficamente ha anche i suoi pregi però: siamo immuni dal turismo di massa e non vedo il rischio che questo posto si trasformi in un luna-park.

Sei nato a Mestia e attualmente vivi qui. È un paesino molto piccolo e isolato dall’esterno, hai mai sentito la voglia di andare a vivere da un’altra parte?

Ho completato tutta la mia formazione in Georgia e ho sempre vissuto a Mestia. Per me ogni angolo di questo villaggio è casa e sono convinto che sarà sempre così. Qui conosco tutto e tutti e allo stesso tempo c’è ancora tanto ignoto: lo Svaneti è una regione selvaggia, c’è così tanto da esplorare. Non ho mai avuto l’irrequietudine di voler andare via. Del resto, pochi amici se ne sono andati. I miei coetanei per lo più sono rimasti, anche perché ora abbiamo tanto lavoro con il turismo. Natura, amici, feste assieme, non penso mi manchi nulla. Durante i miei viaggi ho visto altri posti e diverse altre montagne. Ho diversi amici nelle Alpi, per esempio. Mi piace però sempre ritornare.

I tuoi sogni?

Se posso continuare a sciare e ad aiutare, attraverso il mio lavoro come guida, tante persone ad approfondire il loro rapporto con le montagne, sono felice. In ogni caso, sono fortemente legati a questa terra e, pensando al turismo nelle Alpi, sogno che anche Mestia possa diventare più attrattiva, un giorno. Qui non abbiamo niente da invidiare, servono però degli investimenti importanti. Ovviamente per quanto riguarda le infrastrutture, ma anche per cose più piccole. Con riferimento allo sci, non abbiamo un bollettino valanghe, per esempio. Mi piacerebbe se qui si potesse sviluppare un turismo sostenibile, che rispetti l’ambiente e che allo stesso tempo ci aiuti ad evitare che in futuro si ripresentino situazioni di stento come quelle vissute negli anni di dominio sovietico.

E quali problemi pensi questa sfida si troverà a dover fronteggiare?

C’è un problema ambientale e uno politico. Il primo è dovuto al cambiamento climatico. Per quanto mi riguarda, io non avevo visto mai un anno caldo come questo. Normalmente noi guide arriviamo a gennaio già esauste per la stagione sciistica, che inizia già a novembre. Mestia ha sempre avuto nevicate in abbondanza, ora invece il nuovo anno è iniziato e non c’è ancora stata una nevicata seria. In paese si dice che queste temperature eccessive siano dovute ai bombardamenti in Ucraina, ma per me è assolutamente palese che si tratti di cambiamento climatico. Ciò causa perdite enormi, considerando che Mestia è una località sciistica abbastanza popolare e che ora, però, tutti gli impianti sono ancora chiusi. L’attività invernale di guida è assai ridotta: le escursioni con gli sci si limitano ormai a qualche instancabile turista che si fa trasportare con la jeep da taxisti improvvisati fino alla cima delle montagne, per scendere poi in uno slalom di sassi e neve bagnata da un sole che a noi sembrerebbe primaverile. Tutto questo mi rende triste e mi preoccupa molto.

Se posso continuare a sciare e ad aiutare, attraverso il mio lavoro come guida, tante persone ad approfondire il loro rapporto con le montagne, sono felice.

E qual è il problema politico?

Il problema politico invece riguarda le tensioni con la Russia, paese con il quale siamo stati recentemente in guerra e al quale non abbiamo ancora perdonato l’aggressività. Qui in ogni bar c’è una bandiera Ucraina, per noi è chiaro da che parte stare. Le ripercussioni dell’attuale conflitto sono molto evidenti a Mestia, dato che i turisti invernali sono da sempre per lo più russi e tra la popolazione locale c’è ora un po' di diffidenza e malcontento. Va poi anche detto che, come avrai notato, i russi che si vedono per strada non hanno tutti l’aria di semplici turisti: ci sono tante persone che sono scappate perché contrarie al regime di Putin. Il confine, del resto, è vicinissimo.

Quindi come vivi l’alpinismo? Quali sono i tuoi valori?

Innanzitutto non sono uno di quelli disposti a mettere in gioco la sicurezza. Queste montagne le vedi, sono possenti e vanno rispettate: è necessario approcciarvisi con modestia, rispetto e consapevolezza del pericolo. Rispettarle poi, significa anche rendersi conto dell’impatto che l’uomo può avere su di esse e ciò si ripercuote sul modello di turismo di montagna che si vuole portare avanti, che non stravolga l’equilibrio dell’ambiente.Per me vivere la montagna, inoltre, è intrinsecamente legato alla mia attività di guida. La cosa che più preferisco è offrirmi come accompagnatore per le persone, per aiutarle a vivere le loro avventure e uscire dalla loro zona di confort, conoscendo paure e limiti.Tutto queste cose assieme formano i miei valori, direi.

Ringrazio Nick e la nostra conversazione si chiude con il tipico rituale caucasico: un bicchierino di Chacha, l’acquavite georgiana. Il bellissimo alfabeto arzigogolato resta un mistero per me e la lingua incomprensibile. In Georgia, però, non si può non imparare una parola: vakhtanguri, cin cin.