Società | Intervista

"Il carcere? Un universo da riformare"

Le scene di quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sconvolgono e accendono un dibattito pubblico. Fabio Valcanover chiede compassione e riforme radicali.
Santa Maria Capua Vetere
Foto: Domani

I video pubblicati dal quotidiano "Domani" la scorsa settimana che mostrano gli agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere colpire i detenuti indifesi con manganellate violente hanno scosso la coscienza di molti: Scene orribili che, seppur risalenti al 6 aprile del 2020, ancora non hanno trovato una vera risposta. I video, diventati virali, hanno riacceso nuovamente il dibattito pubblico sulla situazione delle carceri italiane. Su questo salto.bz ha parlato con l'avvocato trentino Fabio Valcanover che in passato si è battuto per i diritti dei carcerati e, come membro dei radicali italiani, si è espresso più volte sulla funzione della pena e la gestione delle carceri.

Il video delle violenze in carcere a Santa Maria Capua Vetere (Domani).

 

Salto.bz: Avvocato Valcanover, qualche giorno fa sono stati diffusi i video di quanto è accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove i detenuti sono stati maltrattati in modo feroce e violento dagli agenti della struttura. Che effetto hanno avuto queste immagini su di Lei?

Fabio Valcanover: Sono video che creano dolore. Dolore per tre motivi: per le persone che hanno subito gli atti di violenza, per la degenerazione dell’istituzione, ma anche per le persone che hanno compiuto questi atti di violenza. Immagino che stiano male anche loro.

Sono molti a sapere quello che è accaduto il 6 aprile 2020 ma risulta difficile trovare qualcuno che sia disposto a parlare. Secondo Lei qual è la ragione?

Ci sono stati alcuni passi nelle indagini che ne impediscono la comprensione. Il primo è stato quello di lasciar convivere denuncianti e denunciati sotto lo stesso tetto. Li hanno fatti attendere per tantissimo tempo prima di prendere alcuni provvedimenti. Il secondo passo era quello delle misure cautelari applicate. Queste sono previste in casi di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e nel caso della possibilità di reiterazione del reato. Ma una volta che gli agenti vengono sospesi dalla funzione, il pericolo di reiterazione non dovrebbe esserci. Lascia perplesso la modalità nella quale si sono svolte le indagini.

 

Visto il gran numero di agenti coinvolti, ma anche il fatto che non è la prima volta che si parla di abusi nelle carceri da parte di forze di polizia, è difficile immaginare che si tratti semplicemente di poche "mele marce". Dato questo contesto, che ruolo svolge l'identificazione degli agenti coinvolti?

L’identificazione delle persone coinvolte risponde a un primo criterio giuridico: la responsabilità penale in primo luogo è personale. Poi bisogna vedere qual’è stato il retroscena del reato.

Quali possono essere i meccanismi all’interno delle carceri che contribuiscono a queste violenze?

Il sovraffollamento delle carceri, le strutture che non sono all’altezza, il sovraccarico di finalità e la stessa funzione della pena carceraria… Questi sono elementi che fanno pensare che quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere siano cose che possono succedere e sono accadute in altri casi. E finché non si pone rimedio il rischio che possano ripetersi è reale. Il problema è che il sistema carcerario, che in tanti definiscono "discarica sociale", è in realtà un concentrato di tensioni in questo momento nonchè un microcosmo da riformare da cima a fondo.  

Un articolo sul “Foglio” di Adriano Sofri legava la dignità degli agenti a quella dei detenuti: se degrada l’una, degrada anche l’altra.

Sofri qui rievoca l’ex leader dei radicali, Marco Pannella, che diceva che nel carcere ci sono detenuti e detenenti. La vita delle guardie carcerarie, del personale della polizia penitenziaria, non è una bella vita. Questo non giustifica, ma spiega perché, al netto della situazione, potranno ripetersi – e andranno punite se si ripeteranno – violenze di questo genere. Sono in molti ad irritarsi quando evidenziamo questi aspetti. Ma è semplicemente l’universo del carcere ad essere fatto male. Questo non significa che quello che è accaduto sia giustificabile ma almeno abbiamo elementi in più che ci aiutano a comprenderlo.

 

Per poter parlare di diritti e di principi occorre che succeda qualcosa di brutto.

 

Dove si dovrebbe iniziare a cambiare questo universo del carcere?

Ci deve essere un’alternativa al carcere o, comunque, deve arrivare a essere considerato come una soluzione estrema. La pena non deve mica per forza assumere la forma della carcerazione. Esistono tanti altri modi: la giustizia riparativa, la giustizia concettativa… Dobbiamo fare piccoli passi in questa direzione.
Quello che possiamo fare nell’immediato, invece, è intervenire sul sovraffollamento, andare contro l’eccessiva carcerazione preventiva, capire come e quanto le leggi proibizioniste sulla droga ingolfano le carceri… Le carceri sono – e questa è una cosa della quale mi occupo in prima persona – per il 50 o 60 percento piene a causa di alcuni reati correlati al proibizionismo della droga. In più c’è un fiorire di fattispecie penali nuove sempre e costantemente. Ogni categoria, ogni corporazione, ogni numero di soggetti che ha degli interessi che ritiene siano importanti da tutelare interviene con una richiesta di penalizzazione. In questo frangente, le cronache delle ultime settimane ci stanno offrendo un nuovo esempio. Capisco che posso entrare in polemica, ma credo sia necessario discuterne.

A cosa si sta riferendo in particolare?

Al Ddl Zan. Fermo restando che certe condotte siano odiose, esprimo perplessità per la penalizzazione, per il fiorire di fattispecie penali per ogni cosa. Si guarda come soluzione la soluzione penale. Questo non risolve i problemi. Il nostro obiettivo deve essere la riduzione del numero delle carcerazioni. 

Anche riducendo le carcerazioni, almeno nel futuro immediato, è impensabile che il sistema carcere sparisca del tutto. Come si può intervenire per migliorarne le condizioni?

Quello che esiste deve essere fortemente legato e fortemente controllato dalla comunità locale. È fondamentale, che la gestione della pena sia legata alla comunità locale. A questo scopo sarebbe utile creare un provveditorato autonomo per il Trentino-Südtirol con una sede fluttuante fra Trento e Bolzano. Non perché il Trentino-Südtirol sia più bravo del livello nazionale. Ma noi l’autonomia abbiamo dimostrato di saperla gestire bene. Il provveditorato al momento è a Padova e vale per tre regioni: Trentino-Südtirol, Veneto e Friuli Venezia Giulia. È il caso che si rientri nella capacità di gestire per prevenire. Poi andrebbe istituito un garante dei detenuti a tempo pieno in Trentino-Südtirol, andrebbe sbloccato il garante per il carcere del comune di Bolzano… Nessuno può assicurare che queste violenze non accadranno mai più. Ma ci sono delle cose che possono e devono essere fatte.

Passando alla situazione locale. Lei come valuta la situazione nel carcere di Bolzano?

L'ultima visita al carcere di Bolzano l'ho fatta due anni fa. Malgrado tutta la buona volontà del personale e del direttore - l'edificio, per come l'ho trovato, è assolutamente inadeguato. È compito della politica e dei media pressare fortemente il presidente Kompatscher affinché si acceleri o si prosegui con la costruzione del nuovo carcere di Bolzano.

 

Tutto quello che riguarda detenuti e detenenti va cambiato.

 

Quello che succede tra le mura carcerarie spesso non tocca l'opinione pubblica. Viene percepita come una cosa lontana, che non ci riguarda. Adesso con i video pubblicati sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere si sta muovendo qualcosa, ma…

…è esattamente questo il motivo. Per poter parlare di diritti e di principi occorre che succeda qualcosa di brutto. Ci vorrebbe qualcuno in politica con una visione lungimirante, che non guardi all’immediato.

Si parla, però, non solo di sovraffollamenti e condizioni concrete nelle carceri, ma anche di certi elementi legati al mondo del carcere: una certa illusione di impunità che deriva dall’uniforme o dalle stesse gerarchie all'interno delle carceri per esempio. Secondo Lei questi elementi possono contribuire a un ambiente violento nelle carceri?

Questo non lo so e non le so rispondere. C’è bisogno di rispetto per chi fa questo lavoro. Se non c’è l’aria condizionata lo subiscono i detenuti ma anche la polizia penitenziaria. Bisogna avere compassione, soffrire assieme e dividere la sofferenza. Ma bisogna anche riformare l’universo del carcere: formazioni, stipendi, orari, funzione della pena, reati… tutto quello che riguarda detenuti e detenenti va cambiato.