Il tuffo di Klaus
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Con le cronache impegnate nel racconto dei trionfi, delle sconfitte, delle ambasce di un campione altoatesino arrivato sulla vetta del mondo sportivo in giovanissima età, occorre trovare lo spazio per ricordare che, esattamente sessant'anni fa, un miracolo del tutto analogo si verificò in terre lontane.
Era il 18 ottobre del 1964 e un biondo ragazzo di Bolzano, Klaus Dibiasi, vinse la medaglia d'argento dei tuffi dalla piattaforma ai Giochi Olimpici di Tokio. Aveva compiuto da pochi giorni i 17 anni di età ed era arrivato le Olimpiadi con il conforto di un buon risultato ottenuto l'anno prima ai Giochi del Mediterraneo, ma senza essere sicuramente uno dei favoriti. Scrisse quel giorno il capitolo iniziale di una storia che sarebbe durata quasi vent'anni con una pioggia di medaglie e di successi che sembrava non doversi concludere mai. Una storia che aveva le sue radici nella passione e nella bravura di suo padre Karl, che, assieme ad un altro tuffatore bolzanino, Otto Casteiner aveva creato proprio a Bolzano una scuola che sarebbe sopravvissuta alle turbolenze belliche e sarebbe rifiorita nel dopoguerra. Una storia esaltata dalle vittorie di Klaus ma anche da quelle di un giovane piemontese venuto a Bolzano per allenarsi e vincere, ma anche per conoscere sposare un'altra bravissima truffatrice, la figlia di Otto Casteiner Carmen, e per regalare assieme a lei all'Olimpo dei tuffi un'altra grande campionessa: Tania Cagnotto.
Tutto questo era un romanzo ancora da scrivere, in buona parte, quando, in quell'ottobre del 1964 Klaus Dibiasi rientrò a Bolzano con la medaglia olimpica sul petto, accolto come un trionfatore. Era salito sul tetto del mondo e per ringraziarlo gli regalarono il tetto per coprire il trampolino da cui spiccare il volo anche nei mesi invernali. Un investimento che avrebbe garantito alla Dinasty bolzanina dei tuffi un alto reddito in oro, argento e bronzo.